Nell’ambito dei più recenti orizzonti della cultura e del linguaggio in economia si è fatto spazio il concetto di capitale umano e sociale. Per dirla in breve e ricorrendo ai nomi di grandi esperti in tale ambito, Coleman e Putman, il capitale umano e sociale costituisce un concreto arricchimento del concetto di capitale materiale in quanto dà peso alle capacità di investimento e di successo del singolo individuo e, in aggiunta, pone nel giusto rilievo i legami e le relazioni che si creano fra individui e gruppi che operano per l’attuazione di un disegno di crescita di una realtà sociale, anche in termini di qualità della vita. Ed ecco che una scienza che è tra quelle che più sono insidiate da un materialismo, spesso asservito alle ambizioni di singoli, approda ad orizzonti culturali che, imprevedibilmente, orientano verso il senso di “comunità”.
La recente stagione elettorale ha rilasciato segnali molto suadenti di alcune frange di popolo che comincia ad alzare il capo e a destarsi per rivendicare il senso di comunità in allerta sulle disposizioni provenienti da fronti ideologici purtroppo distaccatisi dai problemi concreti del popolo, o lobby di potere che ripropongono le logiche longeve dei ricatti clientelari. Siamo riusciti a subire una normativa elettorale anticostituzionale che non ha trovato in sede politica una iniziativa, sia pure di parte, che ne cancellasse definitivamente la persistenza e fornisse un segnale, di provenienza anche istituzionale, tale da restituire senso e peso alla democrazia reale in Italia oggi. Mentre ci sentiamo tutti coinvolti nei rituali celebrativi dei sessant’anni dalla formulazione della Carta Costituzionale.
I cenni di rivalsa manifestatisi tra la gente nei confronti della politica segnano forse l’inizio di una nuova primavera? Lo speriamo. Si tratta di segnali incoraggianti per dare il via ad una nuova stagione di dinamiche politiche ma anche per rilanciare valori e strategie di azione per l’universo composito dell’associazionismo di volontariato, di promozione e di cooperazione sociale.
È tempo che si riscoprano anche su questo fronte le antiche storie che hanno fatto di questo universo un fattore di evoluzione della cultura di convivenza civile, a partire da un modello economico fondato sulla solidarietà e la condivisione. Rileggendo le pagine della storia del nostro Paese riscopriamo come fu l’iniziativa di gruppi di cittadini, che diede il via alla nascita di una economia e di una finanza centrata sul senso della solidarietà, della cooperazione, dell’antiusura e della lotta allo sfruttamento. I Monti di Pietà furono i padri delle banche, anche se queste ultime non ne ereditarono solo i meriti… Così accadde nell’universo dell’assistenza per i più deboli, della sanità e dell’istruzione popolare. Nella storia d’Italia troviamo germi di cultura e di imprese che alimentarono il senso di comunità, di solidarietà e di fraternità. E lo stato, la politica e i potenti stessi non poterono ignorarlo.
Se oggi l’antipolitica, di cui si è spregevolmente parlato da parte della stampa, del potere e dei… liberi pensatori (si fa per dire!) nei mesi scorsi, è la volontà espressa di restituire il potere decisionale al popolo sovrano, è giunto il tempo di resistere alle pretese di una politica che ci ha espropriato di esso. E allora cittadini singoli e gruppi ritornino ad operare sul terreno concreto della piazza e del territorio. Ad operare. Non a ciarlare.
Di recente si è svolto nella sala Celestino V in Campobasso un incontro tra cittadini e gruppi allo scopo di far nascere anche in Molise l’associazione fondata da don Ciotti, “Libera”, che da anni porta avanti in tutto il paese la lotta contro la criminalità organizzata e che si batte con grande impegno per il recupero e la valorizzazione dei terreni confiscati alle mafie. Ebbene in quella sede è coralmente emersa la volontà di adoperarsi, cittadini singoli e gruppi impegnati, per concretizzare tale idea che, nel prossimo autunno, andrà a concretizzarsi.
Che sia anche questo un avvio di stagione perché l’associazionismo di terzo settore esca dal proprio orticello per tessere rapporti, per ampliare e arricchire la rete di relazioni all’interno del territorio molisano? Auspicio contenuto all’interno del Manifesto del Terzo Settore del Molise che venne reso pubblico all’atto della sua nascita. Or sono tre anni.
Siamo stimolati a muoverci per dar prova di ascolto del segnale pervenuto in questi ultimi mesi di una presa di distanza da una politica decisamente senescente in tema di democrazia e partecipazione. Tale voce deve trovare terreno fertile tra i soggetti che della solidarietà hanno fatto il cardine del loro agire per promuovere nuove linee di sviluppo in Molise con l’intenzione di rilanciare energie giovanili costrette alla fuga, radicandole sul territorio e ancorandole a valori di grande spessore storico e di grande attualità anche in termini di prospettive di futuro.
Ancor più la cosa dovrebbe premerci per porre concreti modelli alternativi al fenomeno di bullismo che ormai dilaga in ogni spazio geografico e che riduce gli spazi di una speranza che va rilanciata non con i sermoni ma con modelli concreti di spirito comunitario che faccia riscoprire a noi tutti la grande valenza valoriale e operativa del “fare gruppo”.
Non cade a sproposito il richiamo ad un uomo che con la testimonianza concreta e con il pagare di persona si prestò a dimostrare con i fatti che occorre farsi carico degli altri per dare segnali di discontinuità propositiva in una società che aveva del tutto scaricato i problemi dei deboli e degli emarginati. Don Lorenzo Milani con il suo “I care”, non pose solo in questione alcune prassi consolidate nella società e nella stessa Chiesa italiana quando scelse la strada del recupero del senso di responsabilità attraverso la testimonianza concreta… anche se scomoda. Convinto che :”Gli uomini che sbagliano invecchiano e muoiono: quelli che hanno ragione non invecchiano”. Così scriveva ad un sacerdote amico di La Spezia.
Hanno ragione gli omertosi che passano la vita… facendosi i fatti loro o quei giovani di Calabria che scrivono: “… se perderemo noi perderà tutto il paese. Se invece vinceremo in Calabria, allora vorrà dire che è possibile un’Italia più giusta e normale”? Di questi giovani radio e TV parlano poco. Essi hanno molto da insegnarci. Andiamo avanti interloquendo con le istituzioni e la politica ma non con il volto ripiegato e il cappello in mano . ☺
le.leone@tiscali.it
Nell’ambito dei più recenti orizzonti della cultura e del linguaggio in economia si è fatto spazio il concetto di capitale umano e sociale. Per dirla in breve e ricorrendo ai nomi di grandi esperti in tale ambito, Coleman e Putman, il capitale umano e sociale costituisce un concreto arricchimento del concetto di capitale materiale in quanto dà peso alle capacità di investimento e di successo del singolo individuo e, in aggiunta, pone nel giusto rilievo i legami e le relazioni che si creano fra individui e gruppi che operano per l’attuazione di un disegno di crescita di una realtà sociale, anche in termini di qualità della vita. Ed ecco che una scienza che è tra quelle che più sono insidiate da un materialismo, spesso asservito alle ambizioni di singoli, approda ad orizzonti culturali che, imprevedibilmente, orientano verso il senso di “comunità”.
La recente stagione elettorale ha rilasciato segnali molto suadenti di alcune frange di popolo che comincia ad alzare il capo e a destarsi per rivendicare il senso di comunità in allerta sulle disposizioni provenienti da fronti ideologici purtroppo distaccatisi dai problemi concreti del popolo, o lobby di potere che ripropongono le logiche longeve dei ricatti clientelari. Siamo riusciti a subire una normativa elettorale anticostituzionale che non ha trovato in sede politica una iniziativa, sia pure di parte, che ne cancellasse definitivamente la persistenza e fornisse un segnale, di provenienza anche istituzionale, tale da restituire senso e peso alla democrazia reale in Italia oggi. Mentre ci sentiamo tutti coinvolti nei rituali celebrativi dei sessant’anni dalla formulazione della Carta Costituzionale.
I cenni di rivalsa manifestatisi tra la gente nei confronti della politica segnano forse l’inizio di una nuova primavera? Lo speriamo. Si tratta di segnali incoraggianti per dare il via ad una nuova stagione di dinamiche politiche ma anche per rilanciare valori e strategie di azione per l’universo composito dell’associazionismo di volontariato, di promozione e di cooperazione sociale.
È tempo che si riscoprano anche su questo fronte le antiche storie che hanno fatto di questo universo un fattore di evoluzione della cultura di convivenza civile, a partire da un modello economico fondato sulla solidarietà e la condivisione. Rileggendo le pagine della storia del nostro Paese riscopriamo come fu l’iniziativa di gruppi di cittadini, che diede il via alla nascita di una economia e di una finanza centrata sul senso della solidarietà, della cooperazione, dell’antiusura e della lotta allo sfruttamento. I Monti di Pietà furono i padri delle banche, anche se queste ultime non ne ereditarono solo i meriti… Così accadde nell’universo dell’assistenza per i più deboli, della sanità e dell’istruzione popolare. Nella storia d’Italia troviamo germi di cultura e di imprese che alimentarono il senso di comunità, di solidarietà e di fraternità. E lo stato, la politica e i potenti stessi non poterono ignorarlo.
Se oggi l’antipolitica, di cui si è spregevolmente parlato da parte della stampa, del potere e dei… liberi pensatori (si fa per dire!) nei mesi scorsi, è la volontà espressa di restituire il potere decisionale al popolo sovrano, è giunto il tempo di resistere alle pretese di una politica che ci ha espropriato di esso. E allora cittadini singoli e gruppi ritornino ad operare sul terreno concreto della piazza e del territorio. Ad operare. Non a ciarlare.
Di recente si è svolto nella sala Celestino V in Campobasso un incontro tra cittadini e gruppi allo scopo di far nascere anche in Molise l’associazione fondata da don Ciotti, “Libera”, che da anni porta avanti in tutto il paese la lotta contro la criminalità organizzata e che si batte con grande impegno per il recupero e la valorizzazione dei terreni confiscati alle mafie. Ebbene in quella sede è coralmente emersa la volontà di adoperarsi, cittadini singoli e gruppi impegnati, per concretizzare tale idea che, nel prossimo autunno, andrà a concretizzarsi.
Che sia anche questo un avvio di stagione perché l’associazionismo di terzo settore esca dal proprio orticello per tessere rapporti, per ampliare e arricchire la rete di relazioni all’interno del territorio molisano? Auspicio contenuto all’interno del Manifesto del Terzo Settore del Molise che venne reso pubblico all’atto della sua nascita. Or sono tre anni.
Siamo stimolati a muoverci per dar prova di ascolto del segnale pervenuto in questi ultimi mesi di una presa di distanza da una politica decisamente senescente in tema di democrazia e partecipazione. Tale voce deve trovare terreno fertile tra i soggetti che della solidarietà hanno fatto il cardine del loro agire per promuovere nuove linee di sviluppo in Molise con l’intenzione di rilanciare energie giovanili costrette alla fuga, radicandole sul territorio e ancorandole a valori di grande spessore storico e di grande attualità anche in termini di prospettive di futuro.
Ancor più la cosa dovrebbe premerci per porre concreti modelli alternativi al fenomeno di bullismo che ormai dilaga in ogni spazio geografico e che riduce gli spazi di una speranza che va rilanciata non con i sermoni ma con modelli concreti di spirito comunitario che faccia riscoprire a noi tutti la grande valenza valoriale e operativa del “fare gruppo”.
Non cade a sproposito il richiamo ad un uomo che con la testimonianza concreta e con il pagare di persona si prestò a dimostrare con i fatti che occorre farsi carico degli altri per dare segnali di discontinuità propositiva in una società che aveva del tutto scaricato i problemi dei deboli e degli emarginati. Don Lorenzo Milani con il suo “I care”, non pose solo in questione alcune prassi consolidate nella società e nella stessa Chiesa italiana quando scelse la strada del recupero del senso di responsabilità attraverso la testimonianza concreta… anche se scomoda. Convinto che :”Gli uomini che sbagliano invecchiano e muoiono: quelli che hanno ragione non invecchiano”. Così scriveva ad un sacerdote amico di La Spezia.
Hanno ragione gli omertosi che passano la vita… facendosi i fatti loro o quei giovani di Calabria che scrivono: “… se perderemo noi perderà tutto il paese. Se invece vinceremo in Calabria, allora vorrà dire che è possibile un’Italia più giusta e normale”? Di questi giovani radio e TV parlano poco. Essi hanno molto da insegnarci. Andiamo avanti interloquendo con le istituzioni e la politica ma non con il volto ripiegato e il cappello in mano . ☺
Nell’ambito dei più recenti orizzonti della cultura e del linguaggio in economia si è fatto spazio il concetto di capitale umano e sociale. Per dirla in breve e ricorrendo ai nomi di grandi esperti in tale ambito, Coleman e Putman, il capitale umano e sociale costituisce un concreto arricchimento del concetto di capitale materiale in quanto dà peso alle capacità di investimento e di successo del singolo individuo e, in aggiunta, pone nel giusto rilievo i legami e le relazioni che si creano fra individui e gruppi che operano per l’attuazione di un disegno di crescita di una realtà sociale, anche in termini di qualità della vita. Ed ecco che una scienza che è tra quelle che più sono insidiate da un materialismo, spesso asservito alle ambizioni di singoli, approda ad orizzonti culturali che, imprevedibilmente, orientano verso il senso di “comunità”.
La recente stagione elettorale ha rilasciato segnali molto suadenti di alcune frange di popolo che comincia ad alzare il capo e a destarsi per rivendicare il senso di comunità in allerta sulle disposizioni provenienti da fronti ideologici purtroppo distaccatisi dai problemi concreti del popolo, o lobby di potere che ripropongono le logiche longeve dei ricatti clientelari. Siamo riusciti a subire una normativa elettorale anticostituzionale che non ha trovato in sede politica una iniziativa, sia pure di parte, che ne cancellasse definitivamente la persistenza e fornisse un segnale, di provenienza anche istituzionale, tale da restituire senso e peso alla democrazia reale in Italia oggi. Mentre ci sentiamo tutti coinvolti nei rituali celebrativi dei sessant’anni dalla formulazione della Carta Costituzionale.
I cenni di rivalsa manifestatisi tra la gente nei confronti della politica segnano forse l’inizio di una nuova primavera? Lo speriamo. Si tratta di segnali incoraggianti per dare il via ad una nuova stagione di dinamiche politiche ma anche per rilanciare valori e strategie di azione per l’universo composito dell’associazionismo di volontariato, di promozione e di cooperazione sociale.
È tempo che si riscoprano anche su questo fronte le antiche storie che hanno fatto di questo universo un fattore di evoluzione della cultura di convivenza civile, a partire da un modello economico fondato sulla solidarietà e la condivisione. Rileggendo le pagine della storia del nostro Paese riscopriamo come fu l’iniziativa di gruppi di cittadini, che diede il via alla nascita di una economia e di una finanza centrata sul senso della solidarietà, della cooperazione, dell’antiusura e della lotta allo sfruttamento. I Monti di Pietà furono i padri delle banche, anche se queste ultime non ne ereditarono solo i meriti… Così accadde nell’universo dell’assistenza per i più deboli, della sanità e dell’istruzione popolare. Nella storia d’Italia troviamo germi di cultura e di imprese che alimentarono il senso di comunità, di solidarietà e di fraternità. E lo stato, la politica e i potenti stessi non poterono ignorarlo.
Se oggi l’antipolitica, di cui si è spregevolmente parlato da parte della stampa, del potere e dei… liberi pensatori (si fa per dire!) nei mesi scorsi, è la volontà espressa di restituire il potere decisionale al popolo sovrano, è giunto il tempo di resistere alle pretese di una politica che ci ha espropriato di esso. E allora cittadini singoli e gruppi ritornino ad operare sul terreno concreto della piazza e del territorio. Ad operare. Non a ciarlare.
Di recente si è svolto nella sala Celestino V in Campobasso un incontro tra cittadini e gruppi allo scopo di far nascere anche in Molise l’associazione fondata da don Ciotti, “Libera”, che da anni porta avanti in tutto il paese la lotta contro la criminalità organizzata e che si batte con grande impegno per il recupero e la valorizzazione dei terreni confiscati alle mafie. Ebbene in quella sede è coralmente emersa la volontà di adoperarsi, cittadini singoli e gruppi impegnati, per concretizzare tale idea che, nel prossimo autunno, andrà a concretizzarsi.
Che sia anche questo un avvio di stagione perché l’associazionismo di terzo settore esca dal proprio orticello per tessere rapporti, per ampliare e arricchire la rete di relazioni all’interno del territorio molisano? Auspicio contenuto all’interno del Manifesto del Terzo Settore del Molise che venne reso pubblico all’atto della sua nascita. Or sono tre anni.
Siamo stimolati a muoverci per dar prova di ascolto del segnale pervenuto in questi ultimi mesi di una presa di distanza da una politica decisamente senescente in tema di democrazia e partecipazione. Tale voce deve trovare terreno fertile tra i soggetti che della solidarietà hanno fatto il cardine del loro agire per promuovere nuove linee di sviluppo in Molise con l’intenzione di rilanciare energie giovanili costrette alla fuga, radicandole sul territorio e ancorandole a valori di grande spessore storico e di grande attualità anche in termini di prospettive di futuro.
Ancor più la cosa dovrebbe premerci per porre concreti modelli alternativi al fenomeno di bullismo che ormai dilaga in ogni spazio geografico e che riduce gli spazi di una speranza che va rilanciata non con i sermoni ma con modelli concreti di spirito comunitario che faccia riscoprire a noi tutti la grande valenza valoriale e operativa del “fare gruppo”.
Non cade a sproposito il richiamo ad un uomo che con la testimonianza concreta e con il pagare di persona si prestò a dimostrare con i fatti che occorre farsi carico degli altri per dare segnali di discontinuità propositiva in una società che aveva del tutto scaricato i problemi dei deboli e degli emarginati. Don Lorenzo Milani con il suo “I care”, non pose solo in questione alcune prassi consolidate nella società e nella stessa Chiesa italiana quando scelse la strada del recupero del senso di responsabilità attraverso la testimonianza concreta… anche se scomoda. Convinto che :”Gli uomini che sbagliano invecchiano e muoiono: quelli che hanno ragione non invecchiano”. Così scriveva ad un sacerdote amico di La Spezia.
Hanno ragione gli omertosi che passano la vita… facendosi i fatti loro o quei giovani di Calabria che scrivono: “… se perderemo noi perderà tutto il paese. Se invece vinceremo in Calabria, allora vorrà dire che è possibile un’Italia più giusta e normale”? Di questi giovani radio e TV parlano poco. Essi hanno molto da insegnarci. Andiamo avanti interloquendo con le istituzioni e la politica ma non con il volto ripiegato e il cappello in mano . ☺
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