Perché marilyn
12 Gennaio 2024
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Perché marilyn

Il sole ancora non tramontava al 12035 di Brentwood nel West Los Angeles, il 4 agosto del 1962. Il silenzio rimuginava sovrano nei vialetti del quartiere quando, senza sirena, un’ambulanza s’inoltrò. Dentro vi erano due infermieri ed un inequivocabile corpo di donna con i capelli biondi. Contestata, dopo, da moltissime testimonianze, quest’ ambulanza passa fra l’esserci e il non esserci: vuota/piena. Dentro l’ambulanza, non c’è nessuno. Almeno così dicono. Eppure doveva comparire un corpo, una capigliatura bionda, un viso bianco. Lei l’aveva detto e l’ aveva scritto poco tempo prima “sola, sola, sono sempre sola, comunque sia”. Ed aveva anche parlato con un fotografo, negli ultimi mesi e gli aveva confessato – “Sei mai stato in una casa di quaranta stanze? Bene, moltiplica per quaranta la mia solitudine”: da qui inizia il giallo sulla morte di Marilyn Monroe.
La stranezza dell’ambulanza vuota/piena è quasi l’emblema per la diva del momento che solo un anno prima, costruendo la sua casa, aveva inciso su una mattonella “cursum perficio” sto finendo il mio percorso. La diva più amata e più bella del mondo vive la vita come in un film.
Passava dall’essere idolatrata all’essere considerata una puttana. Il potere delle Major cinematografiche, le sue esperienze con gli uomini, il bere, le droghe per combattere un’insonnia perenne e una endometriosi dolorosissima che la portava a continui aborti e dolori lancinanti, fecero sì che Marilyn Monroe, la donna più amata dal mondo, fosse in realtà una povera infelice.
Norma Jeane Mortenson Baker Monroe, nasce il 1° giugno 1926 a Los Angeles, sin da subito incontra la parte buia del mondo. La madre, Gladys Pearl Monroe, soffre di gravi disturbi mentali che la portano ad entrare ed uscire ripetutamente dagli ospedali psichiatrici. Norma, ancora bambina, viene inviata come un pacco postale presso diverse famiglie affidatarie. In quegli anni subisce una violenza che viene tacitata dalla madre adottiva.
Inizia da qui a costruirsi, pezzo per pezzo, il vero sogno di Marilyn: ancor prima di recitare, ancora prima di desiderare ruoli che le rendessero giustizia e rispetto, ancora prima di conoscere il cinema, Marilyn desidera appartenere a qualcuno che si prenda cura di lei, come mai nessuno aveva fatto prima. “Non ero mai felice, non contavo sulla felicità, tranne che nel matrimonio”.
A soli sedici anni viene fatta sposare con il ventunenne James Dougherty, suo vicino di casa. Proprio in quel periodo, David Conover, fotografo incaricato di documentare il lavoro femminile, nota l’appariscente bellezza della non ancora Marilyn, impiegata presso un’industria aeronautica produttrice di paracaduti. Donover la convince a buttarsi nel mondo della moda e da lì ad essere notata dal cinema il passo è brevissimo. È il 1946, la Fox la nota, Norma sceglie di diventare un’altra e abbandona quella vita che non l’aveva mai premiata. Diventa quindi Marylin Monroe, si tinge i capelli di quel biondo indimenticabile e mette fine a quel matrimonio arrivato troppo presto.
Parte con piccoli ruoli da comparsa in Orchidea bionda (Ladies of the chorus) e Una notte sui tetti (Love happy) nel 1949, nel 1950 è in Eva contro Eva e nel 1952 ne Il magnifico scherzo (Monkeys Business) con i grandi Cary Grant e Ginger Rogers.
Marilyn è inarrestabile e nello stesso anno ottiene il suo primo ruolo da protagonista con La tua bocca brucia e il successo diventa mondiale con Niagara. Arrivano poi tantissimi altri ruoli, è in Come sposare un milionario e in quell’intramontabile abito rosa in Gli uomini preferiscono le bionde di Howard Hawks, di cui tutti ricordiamo la performance canora di Diamonds are a girl’s best friend.
Dopo La magnifica preda e Quando la moglie è in vacanza di Billy Wilder, Marilyn Monroe ormai è ovunque una star, una diva di fama mondiale seguita, adorata e acclamata da tutti.
Le viene perdonato l’essere stata una call girl, l’avere posato nuda, (confessando che aveva bisogno di quei soldi per tirare avanti), le sue nebulose amicizie e rapporti con produttori e uomini di potere, i suoi capricci sul set, l’essere una ritardataria perenne, un’indecisa su tutto, il suo ubriacarsi, il suo presentarsi piena di medicine e alcool, la sua inaffidabilità, secondo molti la sua stupidaggine. L’oca bionda trionfa per la sua bellezza e sensualità.
Ma é così? Al di là delle centinaia di uomini che hanno dichiarato di essere stati con lei, di essersi sposati con lei, di aver avuto rapporti con lei, quali sono stati i suoi amori? Chi fra i suoi uomini l’ha protetta e tutelata?
È Joe di Maggio? Lo sposa nel 1954, creando idolatria proprio in America, perché si uniscono due sogni: lei che va a dormire con cinque gocce di Chanel numero 5 e lui che è il numero 5 della passione americana del baseball del New York yankees. Dopo un anno di insistenti corteggiamenti e dichiarazioni da parte di Joe, si sposano.
Si comincia con grazia e con sorrisi. È Marilyn a interessarsi di lui, a curare lui, a pensare di poter fare la mogliettina, anche se dalla prima sera, quando dopo il lungo giro di applausi, entrano in un triste motel con la TV già accesa, capisce che qualcosa forse non va. La TV è sempre accesa, non c’è nessuna parola, nessuna cura delle cose, nessuna cura per lei, se non un’idolatria, per la propria donna: tutta sua. Joe non rispetta quello che lei fa. Ben presto, dalla Corea, quando Marylin va a cantare per i soldati, dalla scena di Quando la moglie é in vacanza, dove il vestito per una vampata d’aria calda si alza fino agli occhi di Marylin, e compaiono le sue bellissime gambe, il suo bellissimo corpo, Joe s’incupisce di gelosia. Certo è che il giorno dopo la truccatrice deve sempre più nascondere i lividi che Marilyn ha. Dura 9 mesi il matrimonio e finsce con i lividi e con i pianti di Marilyn di fronte ai giornalisti, mentre Joe scappa via.
È Arthur Miller? Il secondo marito, l’intellettuale, il politicizzato, l’uomo che lei amava e idolatrava come se potesse essere la figura del padre mai avuto, ma che la potesse tutelare e proteggere? È forse ancora più dannoso per Marilyn. “Non le userai, vero? Promettimi che non userai mai le nostre parole” chiede Marylin, “Non mettere mai su scrittura quello di cui noi parliamo”, ed invece sotto l’implacabile sole del Nevada, nel deserto, a girare Gli spostati con Jon Huston, lei è inquieta.
Lei sa, capisce: interpreta Rosalyne, l’amante di Clark e lei sente come un fuoco, è suo padre ma non lo è. Lei vuol essere solo amata, protetta, si stringe senza malizia fra le sue braccia. Alla battuta di lui “Sei la donna più triste che abbia conosciuto” sa già cosa deve rispondere, “Tu sei l’unico che mi abbia detto un cosa del genere”: erano le loro parole, il loro vivere. Anche Arthur l’ha tradita, da tempo: dalle pagine di un diario che lei aveva scoperto, dopo solo tre mesi di matrimonio, dove l’intellettuale si lamentava degli errori grammaticali di M. e aveva paura che non potesse essere alla sua altezza (una lama di coltello avrebbe fatto meno male…) e dal bambino perso durante le riprese de Gli spostati (il film è importante, lo devi fare!). I bambini erano la sua passione, ma forze maggiori o di natura la facevano sempre abortire. Si sentiva abusata.
Dopo l’aborto il crollo, il disamore di Arthur, l’avventura con Yves Montand, i vari tentativi di suicidio, le lavande gastriche, i ricoveri più o meno seri in clinica per esaurimento. Le sue ribellioni, Joe di Maggio che arriva sempre a salvarla, il disinteresse delle case di produzione tese solo a non pagare se le fosse successo qualcosa di definitivo durante la lavorazione di un film, i medici corrotti che le distribuiscono come caramelle il nembutal ed il cloridato, i vari amici, amanti, amori che la fotografano, stanno con lei, la fanno ridere, ridono, ma non si fermano mai a dirle: – ora sono con te, basta. Io sto con te -. Anche il suo matrimonio con Miller fallisce.
Siamo nel ‘61. Arriva il periodo più brutto della sua vita: dopo il ricovero in clinica psichiatrica con il salvataggio da parte di Joe, non lavora per tutto l’anno, ma continua ad avere rapporti equivoci con personaggi equivoci: Frank Sinatra noto per i suoi rapporti con la mafia, e Giamcana, noto boss mafioso. Sinatra e Peter Lawford, cognato di John Kennedy sono i mezzani, certamente, per l’ultimo suo periodo di vita distribuito fra i fratelli John e Bob Kennedy.
John, il predatore, l’uomo che non poteva stare nemmeno un giorno senza fare sesso con una, due donne, John che possedeva una tara fatale, una hamartia, che lo rendeva vulnerabile all’assassinio da parte della criminalità organizzata (Robert Bakely esperto). La tara fatale era l’ossessione per le donne. Nel 1961/62 questa tara ed i rapporti con Marilyn da parte dei due fratelli misero a rischio la loro sicurezza ma anche quella di Marilyn. Sia la mafia che la CIA misero in atto tutto quello che potevano per ricatti, ritorsioni, per arrivare anche alla messa a tacere di voci scomode (Marilyn fu una voce scomoda?).
La casa di Los Angeles era piena di cimici, i suoi due telefoni erano controllati da ogni parte, i suoi sospiri, incontri amorosi, registrati in ogni attimo. Per questo quando Peter Lawfrod nel maggio del ‘62 presenta alla Madison Square di New York – “Ecco a lei, signor Presidente la donna più bella del mondo” e compare Marilyn in un vestito tempestato di diamanti, su di lei cucito che le permette appena di respirare – e lei barcollando arriva al microfono per sussurrare “Happy Birthday Mr. President”, nessuno si sorprende. La stessa Jackie Kennedy, pur non andando, conosce bene Marilyn e la tara fatale del marito.
E l’integerrimo e fedelissimo Bob? Cattolicissimo, padre di sei o sette figli, scambia con il fratello frasi di politica e donne; scambi voluti e uggiolati dal vecchio padre Jo che di queste imprese è stato il patriarca. Marilyn cade nel gioco del mezzano Frank Sinatra, dello squalo John, del tenero Bob per cui prepara un colloquio politico la prima volta che s’incontrano discutendo animatamente di sostegno alle persone più deboli e dell’operazione su Cuba. Parole difficili, discorsi, incontri spiati. Forse anche un bambino atteso, lei che si illude, dice a tutti che “il generale” la sposerà, che lei sarà felice. Il limite è superato: i Kennedy, pur incuranti delle loro azioni, vengono bloccati dai servizi segreti, dai giornalisti amici, dai politicanti. Vengono diffidati: Marilyn parla troppo, parla con tutti, devono non vederla più, farla tacere.
John già da tempo è lontano, Bob si fa vedere ancora, anche quel maledetto giorno, il 4 agosto del 1962, è a Los Angeles alle 19,30. Poche parole e va via. Forse compare di nuovo la notte, quando viene annunciato, verso le tre, che Marilyn è morta.
Meglio tralasciare l’orrore e la stu- pefazione sulle ore tenute oscurate, su Marilyn che si uccide ma non sappiamo come. L’avvelenamento potrebbe essere avvenuto con un clisma, dato che il colon è color porpora. Tutto scompare tranne che le foto dell’autopsia che girano subito per far vedere i suoi biondi capelli appiccicati ed unti, il suo viso sfigurato e tumefatto. Lei non è più lei.
Meglio dimenticare. Al di là delle foto-terribili, ricordiamo lei, le sue parole, le sue poesie, i suoi film. Marilyn chiedeva di brillare di luce propria, non della luce altrui. “In fondo quello che noi stelle chiediamo è soltanto il nostro diritto a brillare” (Marilyn Monroe).☺

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