Perché sono indignato
22 Aprile 2016
laFonteTV (3191 articles)
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Perché sono indignato

Me lo sono chiesto una infinità di volte perché io sia sempre (o da sempre!) indignato; vorrei proprio conoscerne la ragione. Poi, al passaggio successivo, cioè a quello che mi permette di pensarci su almeno un poco, mi dico anche un’altra cosa, che sia superfluo, e forse anche vano, chiederselo con insistenza. Infatti, a considerare con lucidità la questione, ho immediatamente dato una risposta almeno al primo stadio della parola “indignazione”: sono innanzitutto indignato, perché so per certo che l’indignazione, come sentimento universalmente conosciuto, è percentualmente maggioritaria nel nostro paese. Qui, però, nel nostro paese, come capita nel paese della cuccagna, la maggioranza non conta niente. Questa amara costatazione è dimostrata dalla ridicola, abnorme ma densa di nubi, discussione parlamentare sulla riforma costituzionale, per la quale una minoranza del paese, peraltro asservita alle banche e alla mascotte che le rappresenta, sta tentando di modificare la Costituzione secondo il classico schema neoliberista, per il quale il popolo e le sue rappresentanze istituzionali non debbono avere nessuna voce e nessuna capacità di rallentare il cammino delle marionette al governo, che, da alcuni anni ha il precipuo compito di tutelare gli interessi delle lobby bancarie. E questa è una macroindignazione, “aprioristica”, se così possiamo definirla, alimentata dal fatto che si sta modificando la Carta Costituzionale, fondamento della nostra democrazia, e l’italiano medio nemmeno se n’è accorto, gabbato com’è,  e privato dell’elemento fondamentale di cui lui ha bisogno, cioè la democrazia nel/del Paese. Turlupinato e reso schiavo, il cittadino non si accorge di tale condizione, ma si comporta come quei compagni di Ulisse, che, nell’isola della maga Circe, mutati in porci, non hanno voluto (o almeno per un tempo molto lungo) ritornare nella condizione di uomini, perché stavano troppo bene come “porci”, sempre a mangiare bucce e residui schifosi e a rotolarsi nella loro stessa merda (è questa la rilettura delle vicende di Ulisse e dei suoi compagni da parte di alcuni autori del Novecento).

Ma la mia indignazione non ha freni se pensiamo ai dislivelli che la crisi economica ha determinato in questi anni: da un lato, ci sono i sempre più poveri e miserabili (ai residenti si aggiungono anche gli immigrati che premono ai confini del paradiso virtuale, l’opulento Occidente e il Nord del mondo!); da un altro, ci sono i più abbienti, che diventano sempre più egoisti e pericolosi socialmente, perché alla loro avarizia e ingordigia aggiungono un odio di classe pericolosamente esiziale per la collettività (da loro così considerati) degli “straccioni”. Ma quello che emerge in misura preoccupante è che alla povertà materiale si aggiunge quella spirituale, ovvero un tremendo calo di tensione etica e civile, che sta rendendo il popolo italiano (ma anche tutte le altre nazioni europee)  avaro, egoista e mendace anche (come esempio abbiamo avuto Silvio Berlusconi e oggi Renzi che vende i cocci come caramelle). La nostra classe dirigente e gran parte del popolo italiano, dunque, stanno diventando immorali, mendaci, egoisti, caratteristiche (ma c’è un’infinità di altre ragioni che noi tralasciamo, magari anche più consistenti) che eticamente possiamo definire proprie dei servi.  Ma poi, l’ indignazione cresce a dismisura nel momento in cui ci caliamo nella nostra regione, dove negli ultimi anni vige il comportamento del camaleonte e del trasformismo più ributtante. Infatti, siamo governati da una classe politica che conosce bene come si debba fare il “salto della quaglia” per rimanere sempre a galla, che conosce bene il comportamento del trasformismo, cosa che consente di essere alla ribalta dell’agone politico per tutte le stagioni.

E che ti fa questa classe politica? Contribuisce alla distruzione del paesaggio, del territorio; non fa nulla (o, quanto meno, molto poco!) per una differente ipotesi di sviluppo (ammesso ma non concesso che sia stata capace questa classe politica negli ultimi decenni di fare uno straccio di programmazione economica, industriale, culturale) e di valorizzazione armonica del territorio e delle sue potenziali, virtuose economie (ma qualcosa le Regioni potrebbero pure fare in maniera differente dalle indicazioni del  governo centrale, quelle legate allo “Sblocca Italia”, un po’ come è successo per il prossimo referendum su No Triv); privilegia la sanità privata alla quale elargisce più di quello che le spetterebbe per norma sancita anche dal buon senso (di costituzionale memoria!); non argina la corruzione dilagante anche nella nostra regione né pone una barriera al diffuso malaffare. Soprattutto, e in questo modo fa acuire i livelli dell’indignazione, questa classe politica regionale fa di tutto per allontanarsi dal popolo che è visto come una gomena, come un’àncora che frena e immobilizza la sua presunta operosità.

Ma che fare allora? Sicuramente stare (o rimanere per quanti ci sono da decenni!) tra la gente e sensibilizzarla sui grandi e piccoli temi che accompagnano la quotidianità del cittadino.

Ma soprattutto bisogna ricordare a tutti che la partita non è affatto chiusa e che la Storia non è finita per niente. È vero che oggi vincitrice è la finanza, che sono le banche a dominare il mondo, avendo nelle proprie mani la ricchezza, gli strumenti per accrescerla e soprattutto le popolazioni cadute in un letargo civile da fare spavento. Ma la linea di tendenza può cambiare, stando, per esempio, fra la gente e parlando un altro linguaggio (quello di chi soffre e di chi si vede negare i diritti fondamentali e inalienabili, secondo quanto è scritto nella nostra Costituzione), che può scaturire dall’esperienza e dalla formazione culturale e civile di ciascuno di noi.

All’indomani della promulgazione della Carta Costituzionale Pietro Calamandrei paragona le origini della Resistenza all’improvviso sbocciare della primavera. La Resistenza è la primavera della nostra Repubblica. Ebbene, anche Libera prepara da 21 anni la sua Primavera, che è stata il 21 marzo scorso, la Primavera della Memoria delle vittime innocenti di tutte le mafie, la Primavera del nuovo amore per la “politica”, che deve vedere il coinvolgimento responsabile e disinteressato di tutte/i le/i cittadine/i, verso le vicende della “res publica”, la Primavera che deve ridare linfa e vitalità alla passione civile, a quella passione politica che ha caratterizzato tanti decenni del Novecento.

Non è facile riprendere il cammino, ma lo dobbiamo fare per noi e per le giovani generazioni che hanno bisogno di esempi e di motivazioni. Siamo ancora qui per questo, nonostante decenni di sconfitte e di contraccolpi terribilmente violenti.

Ma al di là di tutto, continuiamo a gridare forte Hasta la victoria siempre!

 

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