Pluriclassi
6 Gennaio 2015 Share

Pluriclassi

Vicini, ormai, alla scadenza per le iscrizioni al prossimo anno scolastico, il 2015/2016, si torna a riflettere sulla complessa e problematica realtà delle pluriclassi, da alcuni anni nuovamente al centro di un dibattito che vede contrapposte due posizioni nettamente differenti: una favorevole, in nome di un rinnovamento metodologico cui le pluriclassi offrirebbero una bella opportunità (che nasconde, però, spesso l’esigenza di salvare alcune piccole scuole ad ogni costo, per non impoverire le comunità di riferimento); e un’altra contraria, per una serie di motivazioni di ordine didattico che ci sembrano valide. Proviamo a capirne di più, proponendo il nostro punto di vista e allargando lo sguardo anche oltre confine.

A livello europeo ed internazionale, negli ultimi vent’anni, il dibattito su vantaggi e svantaggi delle pluriclassi è tornato d’attualità in tutti i moderni sistemi d’ istruzione. L’Unesco ne ha promosso l’adozione nelle regioni in via di sviluppo, e diversi paesi occidentali – tra cui Francia e Stati Uniti – hanno cercato di integrare questo modello pedagogico nel loro sistema scolastico.

In Svizzera, addirittura, alcuni istituti hanno fatto delle pluriclassi il loro credo, convinti che la diversità rappresenti una ricchezza sulla quale puntare. Qui, le pluriclassi vengono vissute come una potenziale risorsa per i bambini che le frequentano e come una ricchezza per il territorio, come buona pratica di personalizzazione dell’ insegnamento, ossia di una scuola “su misura”, dove le competenze, abilità e conoscenze, i ritmi di apprendimento e l’ organizzazione didattica sono predisposti in modo da assecondare e soddisfare le esigenze delle diversità personali, riconosciute e documentate. Alcuni cantoni, tra cui quello di Friburgo, hanno così introdotto degli atelier specializzati per formare i giovani insegnanti alla gestione di una classe a più livelli. “Alla base vi è una chiara filosofia pedagogica: ogni bambino ha il proprio ritmo di apprendimento, che è spesso indipendente dall’età biologica”, commenta il professor Olivier Maulini. “Far convivere allievi di età diversa riproduce un modello di tipo famigliare e permette lo sviluppo di competenze sociali che sono particolarmente valorizzate in alcune realtà, come quella rurale”. L’età, dunque, in una pluriclasse smette così di essere un fattore discriminante e la competizione lascia il posto alla collaborazione.

Ma si tratta sempre di una scelta pedagogica? Sembra proprio di no, anche nella civile e moderna Svizzera, come afferma il professor Olivier Maulini, della facoltà di scienze dell’educazione di Ginevra, che tira in ballo fattori economici, sociali, politici.

Se attraversiamo poi il confine e arriviamo in Italia, scopriamo anzitutto che la formazione dei “pluridocenti” non è così accurata come a Barbareche (nel canton Friburgo), ma va? E poi che è un fatto che la recente diffusione delle pluriclassi nelle aree a bassa densità di popolazione, successiva alla riforma Gelmini, ha caricato la già debole struttura delle scuole delle aree interne del nostro Paese (e della nostra piccola regione) di un ulteriore elemento di debolezza e problematicità.

Il nuovo punto nodale della formazione delle pluriclassi sono i numeri: avere una pluriclasse di massimo 12 alunni, come era prima del 2009 (e della Gelmini!), è ben diverso che avere pluriclassi di massimo 18 alunni. Inoltre esse vengono solitamente costituite soltanto in base ad esigenze numeriche, senza seguire un minimo di criterio didattico-organizzativo: non è difficile imbattersi in una pluriclasse che accorpa tutte le cinque classi della scuola primaria o tutte e tre della scuola secondaria di I grado, e che dunque abbina alunni tenuti a studiare argomenti disciplinari di studio alquanto differenti, attraverso metodi altrettanti differenti. La personalizzazione va bene, ma fino a che punto bisogna dimenticare l’omogeneità di un gruppo classe?

Non è di quest’avviso il ministro Giannini che di recente ha affermato che “le pluriclassi devono essere protette, perché rappresentano un presidio fondamentale, in alcuni luoghi”. La soluzione per il Ministro sta nell’impegno del Governo legato all’organico funzionale previsto nelle linee guida espresse nel documento La Buona Scuola, di cui ci siamo occupati negli ultimi numeri.

È vero che le scuole, in molte zone del nostro paese e della nostra stessa regione, vengono vissute come l’ultimo servizio rimasto (si pensi, ad esempio, ai nostri paesi di montagna), gli unici spazi di aggregazione e di formazione, come tali indispensabili per la “sopravvivenza” della comunità. Ma va anche detto che la scelta della pluriclasse molto spesso non è accompagnata da una riflessione pedagogica in termini di qualità dell’offerta formativa, quanto piuttosto come una strenue difesa dell’esistente, non ancorata ad elementi di progettualità. Spesso diviene una “non scelta”, che consente di rinviare all’infinito la proposta di nuove soluzioni organizzative fra i diversi comuni e che, per salvare la scuola, penalizza chi c’è dentro.

“La mia esperienza di pluriclasse – ci racconta la professoressa Francesca, che preferisce restare nell’anonimato – è stata molto faticosa. Il lavoro di un docente diventa molto più gravoso, anzitutto perché il tempo è ridotto: quello che di solito puoi destinare ad un singolo gruppo lo devi spalmare su due o tre gruppi, ed è difficile farlo bene. In secondo luogo, sono fermamente convinta che ogni fascia di età, specialmente nella scuola secondaria di I grado, debba avere la sua autonomia e fare il suo percorso: un bambino della prima media ha esigenze infinitamente diverse da un ragazzo della terza”.

Quando le chiediamo se è possibile procedere insieme, fa un sospiro: “Beh, di rado. Io ho cercato di trovare punti di contatto fra tutti e tre i percorsi ogni volta che la mia disciplina, l’Italiano, lo consentiva”.

E qui tornano in mente le parole di Julien Clenin, formatore all’alta scuola pedagogica (ASP) dei cantoni di Berna, Giura e Neuchâtel: “La verità è che è difficile portare avanti un progetto più costoso in termini di energia e di tempo quando non riposa su una chiara filosofia pedagogica, sulla volontà di mettere il bambino al centro del proprio insegnamento e di fornire ai maestri gli strumenti necessari per farlo”.☺

 

eoc

eoc