poesia e impegno civile
21 Marzo 2010 Share

poesia e impegno civile

 

Nei giorni scorsi, IV anniversario dalla scomparsa del poeta – senatore a vita Mario Luzi, si sono tenute molte commemorazioni in suo onore.

Il 28 febbraio scorso, a Pienza, il Centro Studi Mario Luzi “La Barca” ne ha  ricordato la figura e l’opera in contemporanea alla presentazione del libro Mario Luzi, Lasciami, non trattenermi, poesie ultime, edito da Garzanti. Il volume raccoglie, a cura di Stefano Verdino, una cospicua quantità di inediti e contributi ancora sconosciuti ai lettori ed è testimonianza postuma di una volontà comunicativa che continua ad agire in virtù della particolare forza della parola poetica di questo autore.

Il mio pensiero è tornato a Luzi uomo e letterato, nel senso più ampio del termine, soprattutto a proposito del Monologo di un servo di scena, qui riportato a pag. 2 e pubblicato nel libello Parlate da Interlinea, in occasione dell’ottantanovesi- mo compleanno di Luzi. Vi figurano raccolti alcuni esempi di poesia civile, incentrati sul tema della morte come oltraggio alla sacralità della vita. Così connotata, essa disumanizza uno stato che dovrebbe palesarsi secondo la naturalezza degli eventi terreni, parte di un ordine generale dell’universo che distrugge e poi ricrea continuamente nella sua eterna metamorfosi. Tale processo non contempla la morte civile, sotto forma di carcerazione o coercizione a vita, non prevede la morte iniqua, generata dalla guerra che stravolge i rapporti fra gli uomini come accade, ci ricorda Luzi, nel conflitto israelo-palestinese, oppure la morte come condanna di una giustizia che si arroga qui un falso diritto, sotto forma di un autodafè cinquecentesco. La scelta di chiamare in causa un processo dell’Inquisizione si pone, più in generale, come denuncia della necessità di abolire in tutto il mondo la pena di morte.

Ma tornando al Monologo di un servo di scena, scritto in memoria di Pasolini, vanno fatte delle precisazioni per comprendere il legame che univa nello specifico queste due personalità che a prima vista sembrano aver in comune, oltre al dono di comporre vera poesia, solo le origini cattoliche della loro formazione.

Verso la metà degli anni ’50, quando il ricordo delle atrocità della guerra era ancora fresco, dalle pagine de “La Chimera”, rivista diretta da Enrico Vallecchi, Luzi aveva partecipato al fitto dibattito sui problemi suscitati dalla crisi del neorealismo, intrattenuto con la rivista “Officina” di Pasolini, Leonetti e Roversi, culturalmente legata all’impegno politico di stampo marxista.

In sostanza veniva rimproverato a Luzi, parimenti agli altri scrittori vicini a lui, di fare una poesia accademica, non schierata a sostegno di chi lottava per questioni civili, disinteressata ai problemi della vita concreta, autocelebrativa e avulsa da qualsiasi aggancio storico. La posizione di Pasolini nei confronti di Luzi era perentoria, come si può vedere in questi versi: “Questi servi (neanche pagati) che ti circondano, / chi sono? A che vera necessità rispondono? / Tu taci, dietro a loro, con la faccia di chi fa poesie: / ma essi non sono i tuoi apostoli, sono le tue spie.” (P.P. Pasolini, A Luzi, La religione del mio tempo, Garzanti,1961).

Parafrasando Luzi, a “onore del vero” però, non si può negare che ambedue avessero ottime argomentazioni e che Luzi stesso non abbia cercato poi di fare in parte ammenda ed abbia anche dimostrato, nell’arco della sua lunga vita, quale fosse il tipo di impegno che sottostava alla sua attività poetico-lette- raria. L’ermetismo degli esordi, nel suo apparente disimpegno, aveva avuto un valore resistenziale. Il codice poetico, criptico e ricercato, era stato un modo per comunicare sfuggendo alla censura fascista e aveva così permesso alla poesia italiana non solo di sopravvivere, ma di emanciparsi dal provincialismo.

Ciò che è avvenuto poi è stato per Luzi un proseguire, un crescere e maturare al passo con i tempi, tanto da divenire quel grande poeta che è, non solo formalmente, ma per lo spessore della saggezza della sua voce che sempre ci illumina e guida la nostra fede nella certezza della speranza.

Si è discusso molto sulla morte o meno della poesia, sull’effettivo valore che può avere a tutt’oggi. Sicuramente la poesia ha e avrà sempre ragione d’essere, come ci hanno insegnato sia Pasolini che Luzi, se sarà capace di continuare ad essere coscienza di sé e del proprio tempo, sincera denuncia delle storture e coraggiosa testimonianza dei sentimenti, degli ideali e dell’agire umano, contrastando così quel perverso processo della storia che tende a tritare e vanificare gli accadimenti dentro la sua macina e, spesso, ci fa ricordare l’inutile o il dannoso e ci rende dimentichi di quelle lezioni che ci dovrebbero servire nel nostro progredire verso un futuro migliore. ☺

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