potere o potenzialità?  di Silvio Malic
3 Dicembre 2011 Share

potere o potenzialità? di Silvio Malic

 

 

“Se è vero che il trono della democrazia è oggi vuoto – non vi siede né il popolo, né lo Stato, né il soggetto, né i partiti (da parte sua, il capitalismo non è interessato a definirsi democratico perché si reputa oggettivo e naturale, eterno e superiore alla politica) – è vero anche che quel trono c’è ancora. Nel bene e nel male. Si tratta di capire  se quel trono è solo un simulacro e se siamo in realtà davanti alla crisi finale della democrazia moderna – cioè della politica moderna -, se le sue contraddizioni originarie stanno esplodendo irrimediabilmente, se ha già dato quel che poteva dare, o se, invece, la crisi nasca proprio dal fatto che la democrazia non ha ancora esaurito il proprio compito e che il suo futuro è solo l’avvenire di un’illusione; se il senso civico è sostituito dalla manipolazione mediatica, se la crazia (il potere) non è del demos, del popolo, ma di altre istanze di dominio; se l’agonia della democrazia fa tutt’uno col declino della civiltà occidentale verso l’inciviltà, o se, invece, è possibile, e come, innescare il meccanismo virtuoso che vede la democrazia rilanciata proprio dall’esigenza di superare le proprie difficoltà” (C. Galli, Il disagio della democrazia, p.71).

La lunga citazione ci introduce ad una riflessione  sul sistema del potere delle democrazie occidentali, mentre avvertiamo il disagio della democrazia. Un disagio non contro la democrazia, bensì provocato dalla democrazia, dalle sue istituzioni politiche e dalla sua realtà sociale, oggi, in quella parte del mondo, tra cui l’Italia, che l’ha da tempo raggiunta e che si chiede se l’ha anche superata o travolta. Un disagio duplice: in primo luogo soggettivo, di quel soggetto che dovrebbe esserne cittadino sovrano; in secondo luogo, un disagio anche oggettivo e strutturale. Nasce dalla inadeguatezza dei suoi istituti a mantenere le proprie promesse, ad essere all’altezza del proprio obiettivo umanistico, a dare a ciascuno uguale libertà, uguali diritti, uguali dignità. La democrazia è travolta dalle trasformazioni del mondo.

Retaggio culturale

In Italia, inoltre, abbiamo forti radici di antidemocrazia: pensiamo al machiavellismo, alla tradizione di Guicciardini, il particolare, alla tradizione letteralmente gerarchica della nostra mentalità culturale, dove gerarchica non vuole dire potere dell’anziano, ma il potere di chi è più consumato nell’uso del potere, e lo trattiene il più possibile. È il modello Molise, il modello Italia, dove un candidato di un’area che ha vinto, era il vice di quello dell’altra, magari accompagnato da slogan tipo: “Da 15 anni al servizio …”. Insediato nel potere, da lì si dice ai giovani che non devono più pensare al posto fisso, che la precarietà irrobustisce.

Altra fonte antidemocratica, vero diserbante per lo spirito del popolo, è un cattolicesimo infedele. Esso offre un quadro di senso complessivo alla vita: la nascita, la morte, il matrimonio, le scelte sessuali; dà una spiegazione a tutto, però molti dei suoi si consentono il cinismo per cui il bene è nell’aldilà, qui c’è il potere, e più ne prendi più sei bravo, potrai sempre dire che l’hai fatto per scopi morali, magari per il Regno di Dio.

Una tradizione culturale, abitata da tali démoni, non vede in alcun modo la democrazia come incontro tra le generazioni, tra uomo e  donna, con la natura, né risulta animata dalla fondamentale scelta di nonviolenza, unico vero fondamento delle democrazie. Il primo effetto nefasto di queste radici velenose è che continuiamo a pensare la democrazia secondo il paradigma della guerra, come prosecuzione della guerra. Chi vince non fa prigionieri. In secondo luogo, noi pensiamo alla politica come interesse a stabilizzare, radicalizzare il dominio: il dominio deve riprodursi, altrimenti la democrazia inizia davvero a crescere. Terzo elemento: riteniamo, pensando di fare una scelta di laicità, che in politica la verità non c’entra. Invece, la soglia di una politica altra si chiama non menzogna e richiede la prassi virtuosa di non falsificare il rapporto con la realtà. Pensiamo al fatto che quelli che vogliono privatizzare tutto e non vogliono neanche il vincolo del codice penale, si chiamano i moderati e quelli che si vendono per qualsiasi gioco si chiamano i responsabili. L’ultimo frutto velenoso di questa mentalità è credere che la politica sia un mestiere; è una grande truffa, perché così i cittadini non sono più cittadini, ma appena numeri nei sondaggi o semplici tele-spettatori.

Politica e democrazia

La democrazia, anche dei partiti, dei sindacati, delle amministrazioni, non può vivere se nel circuito dei territori non ci sono realtà comunitarie capaci di assumersi una quota di responsabilità per il bene comune. Quando una comunità si rende responsabile della cura di un territorio, c’è finalmente l’elemento concreto, cioè il soggetto.

La politica è la presa in cura di questa convivenza, perciò l’arte della politica. Anziché l’interesse sistemico a stabilizzare il dominio, è la cura del bene comune; anziché la pura menzogna o la costruzione della realtà secondo l’interesse di parte, è il riconoscimento della realtà attraverso la prassi della non menzogna, a cui si può aggiungere, quando necessario, il pentimento: la rinascita in cui si avverte propria la sofferenza prodotta, convertendosi alle vittime. Ciò che poi ripugna della società contemporanea è il vedere che ogni cosa, per non dire ogni persona, è in vendita. Non solo le merci, i servizi, ma anche le idee, l’arte, i libri, le persone, le convinzioni, i sentimenti: tutto è stato trasformato in merce, compreso l’uomo nella sua interezza, con tutte le sue facoltà e potenzialità. Tutto è nelle mani di chi compra e vende nell’assoluto del  mercato, criterio unico delle attività umane degradate a pura funzione efficace per il mercato e per il suo mantenimento.

Potenzialità, non potenza

L’occidentale implode nella propria cultura di potere perché inficiato dall’idea maschile di potenza: l’efficacia a tutti i costi, senza distinguere fini e senso dai mezzi. Potenza, naturalmente, di alcuni contro altri, non universalizzata né condivisa. Il maschio si misura con la vita solo quando il figlio, espulso dall’utero, appare, viene alla luce, è un individuo di fronte a sé, da poter prendere in mano. La gestante ha l’esperienza della compresenza impegnativa, pacifica e vitale del feto, indisponibile al di lei potere nell’autonomo sviluppo, ma sensibile alla relazione sana e attenta. Lo stile di vita della donna, l’alimentazione, la serenità psichica – ci rivelano le scienze della psiche – influisce e condiziona lo sviluppo del bambino. Nella variante femminile – potenzialità e fecondità al posto della potenza – si afferma la mitezza: la forza di reggere gli eventi e la loro sequenza senza moltiplicare lacerazioni o distanze, ma custodendo e consentendo la vita in un rapporto stretto con essa. La vita, concetto non astratto, è la comunità dei viventi, nello spazio e nel tempo. Sì, ciascuno è unico, ma appunto nella partecipazione a questa relazionalità che è di tutto il mondo, di tutta la comunità dei viventi. Poi c’è il cammino possibile della realtà, perché la realtà è un viaggio. È la realtà che preme per nascere, come dice S. Paolo a proposito della natura: geme per nascere, fino a una realtà liberata, dove ogni forma di male sia superabile. Il male non è necessario, è solo un livello della realtà; c’è un livello più profondo: la realtà di tutti, la compresenza di tutti;  il nocciolo della realtà è la vita in comunione o fratellanza.

Potere e servizio

Malgrado tutto non è persa la speranza, purché consapevoli di essere sulla soglia in cui urge smettere con le illusioni: abbandonarle è la premessa indispensabile per togliere di mezzo le circostanze creatrici di illusioni. La fondamentale illusione del tempo presente è continuare a sognare un potere onnipotente capace di dare soluzione alle sofferenze senza immaginare di farsi guida di un cammino comune, nel quale ci si onori nel ritenere privilegio indispensabile la presenza e il contributo specifico di ognuno, perciò si fa servo della custodia tenace del diritto di ogni vivente e di ogni essere ed, infine, promotore dello sviluppo specifico e comunitario del mondo. ☺

 

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