rivolta il debito      di Antonio De Lellis
31 Gennaio 2012 Share

rivolta il debito di Antonio De Lellis

 

L’appello per "Un Audit dei cittadini sul debito pubblico", che ha già oltrepassato le 40 mila adesioni in Francia, in Italia ha raggiunto oltre duemila, ma è solo all’inizio.

La proposta è finalizzata a creare una commissione in grado di visionare il debito, come è stato contratto, a favore di chi e di quali interessi. "Noi vogliamo fare nostra questa proposta – si legge nell’appello italiano – per rivedere in profondità l’entità del debito pubblico italiano accumulato nel tempo…”. Una proposta che serve per impostare un’altra politica economica, improntata alla redistribuzione della ricchezza, alla valorizzazione dei beni comuni, del lavoro, del welfare, dell’ambiente, contro gli interessi del profitto e della speculazione finanziaria. Una politica economica per il 99% contro l’1% del pianeta.

  Dividendo i 1.911 miliardi di euro di debito pubblico italiano (al 31 luglio 2011) per i 60 milioni di cittadini ne deriva un debito personale per ognuno di noi di 31.863 euro. Chi possiede il credito? Piccoli risparmiatori? Principalmente Italiani? No. Secondo i dati della Banca d’Italia solo il 13% del debito italiano è posseduto da privati residenti in Italia, il 26,8% è nelle mani di “istituzioni finanziarie monetarie”, il 13,5% da assicurazioni e fondi pensione, il 3,65% direttamente dalla Banca d’Italia e il 43% è nelle mani di soggetti non residenti, cioè all’estero, presumibilmente grandi istituzioni finanziarie

La questione del pagamento del debito costituisce sicuramente un tabu. È presentato dai capi di Stato e di governo, dalla Banca Centrale Europea (BCE), dal Fondo Monetario Internazionale (FMI), dalla Commissione Europea (CE) e dalla stampa dominante come ineludibile, indiscutibile, doveroso. I cittadini/e dovrebbero rassegnarsi a pagare. L’unica discussione possibile riguarda la maniera di modulare la distribuzione dei sacrifici indispensabili per concretizzare gli strumenti di bilancio che consentano di mantenere l’impegno assunto dal paese indebitato. I governi che hanno ottenuto prestiti sono stati eletti democraticamente, per cui le azioni effettuate sono legittime. Quindi, bisogna pagare.

L’audit civico è uno strumento per eliminare questo tabu. Esso consente a uno strato crescente della popolazione di rendersi conto del processo di indebitamento di un paese, di analizzare criticamente la politica di indebitamento da parte delle autorità del paese.

L’audit non è da esperti

Esercitare l’audit non è un compito riservato agli esperti. Ognuno di noi può parteciparvi e lavorare per portare alla luce del sole il processo dell’indebitamento pubblico. Nel 2011, si è messo in moto in Francia un collettivo nazionale per l’audit civico del debito pubblico (www.audit-citoyen.org), che raggruppa numerosi movimenti sociali e politici, e l’appello alla sua costituzione è stato sottoscritto da diverse decine di migliaia di persone

Il campo d’intervento di un audit del debito pubblico è infinitamente promettente e non ha nulla a che vedere con la caricatura che lo riduce a una semplice verifica di cifre effettuata da contabili di routine. L’audit ha anche una funzione eminentemente politica: la trasparenza e il controllo democratico dello Stato e dei governi da parte dei cittadini. Il diritto dei cittadini di verificare le azioni di coloro che li governano, di informarsi su tutto quel che riguarda la gestione, gli obiettivi e le motivazioni di queste, è insito nella democrazia stessa.

Il fatto che i governanti si oppongano all’idea che dei cittadini osino realizzare un audit civico è rivelatore di una democrazia molto malata che, per altro verso, non cessa di bombardarci attraverso i mezzi di comunicazione di massa con la retorica sulla trasparenza.

L’audit e il debito illegittimo

La realizzazione di un audit civico del debito pubblico, accompagnato, grazie alla mobilitazione popolare, dalla soppressione del rimborso del debito stesso, deve sfociare nell’annullamento/ripudio della parte illegittima dello stesso e nella drastica riduzione del debito che resta.

Non si tratta di sostenere gli alleggerimenti del debito decisi dai creditori. Specie perché implicano pesanti contropartite. L’annullamento, che diventa allora un ripudio ad opera del paese debitore, è un gesto sovrano unilaterale molto forte.

Perché lo Stato indebitato deve ridurre radicalmente il proprio debito pubblico procedendo ad annullare i debiti illegittimi? In primo luogo per motivi di equità sociale, ma anche per ragioni economiche che tutti possono capire e far proprie. Se ci si limita infatti alla politica di rilancio della domanda pubblica, insieme a una riforma fiscale redistributiva, le raccolte fiscali in più verranno risucchiate dal rimborso del debito pubblico. I contributi imposti alle famiglie più ricche e alle grandi imprese private (nazionali o straniere) saranno ampiamente compensati dalla rendita che queste ricavano dalle obbligazioni di Stato di cui sono di gran lunga le principali detentrici e beneficiarie (ragion per cui non vogliono sentir parlare di un annullamento del debito).

Bisogna dunque assolutamente annullare una parte molto grande del debito pubblico. La dimensione di questa parte dipenderà dal livello di coscienza della popolazione vittima del sistema del debito, dagli sviluppi della crisi economica e politica e, soprattutto, dai concreti rapporti di forza che si costruiscono nelle strade, nelle pubbliche piazze e nei luoghi di lavoro attraverso mobilitazioni presenti e future. La drastica riduzione del debito pubblico è condizione indispensabile ma non sufficiente per fare uscire dalla crisi i paesi dell’Unione Europea. Sono indispensabili misure complementari: ad es. riforma fiscale redistributiva, trasferimento in ambito pubblico del settore delle finanze, ri-socializzazione di altri settori economici chiave, riduzione dell’orario di lavoro a parità di paga con ripercussioni sull’occupazione. ☺

adelellis@virgilio.it

 

 

L’appello francese

“Noi viviamo al di sopra dei nostri mezzi”, questo è il ritornello che ci viene ripetuto dai grandi media. Ora “occorre rimborsare il debito” ci si ripete mattina e sera. “Non abbiamo scelte, occorre rassicurare i mercati finanziari, salvare la buona reputazione, la tripla A”.

Non accettiamo questi discorsi colpevolizzanti. Non vogliamo assistere da spettatori alla rimessa in discussione di tutto ciò che ha reso ancora vivibile le nostre società, anche in Europa.

 Abbiamo speso troppo per la scuola e la sanità oppure i benefici fiscali e sociali dopo venti anni hanno prosciugato i bilanci? Questo debito è stato contratto nell’interesse generale oppure può essere considerato in parte come illegittimo? Chi possiede questi titoli e approfitta dell’austerità? Perché gli Stati devono essere obbligati a indebitarsi presso i mercati finanziari e le banche mentre queste possono farsi concedere prestiti direttamente e a un costo più basso dalla Banca centrale europea?

Non accettiamo che queste questioni siano eluse o affrontate alle nostre spalle da esperti ufficiali sotto l’influenza delle lobbies economiche e finanziarie.

Vogliamo dire la nostra nel quadro di un ampio dibattito democratico che deciderà del nostro avvenire comune.

Noi ci mobiliteremo nelle nostre città, nei nostri luoghi di lavoro, lanciando l’idea di un grande audit del debito pubblico.

Vogliamo creare sul piano nazionale e locale dei collettivi per un audit dei cittadini, con i nostri sindacati e associazioni, con esperti indipendenti, con i nostri colleghi, i vicini, i concittadini.

Prenderemo in mano i nostri destini perché la democrazia riviva.

(Appello per un audit dei cittadini sul debito pubblico)

 

 

 

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