Nella sua tipologia dei cambiamenti politici Aristotele presenta due possibili alternative, la sostituzione e la modificazione, che, tradotte in termini a noi più familiari, equivalgono a rivoluzione e riforma. Queste categorie derivano ad Aristotele dalle sue speculazioni sul mutamento in ambito fisico. Le cose in natura cambiano secondo il principio di generazione e corruzione oppure secondo il principio di alterazione. Il primo processo implica un cambio di sostanza, mentre il secondo comporta un cambio di una sostanza. La differenza è che il primo distrugge l’identità della cosa che muta, mentre il secondo la preserva.
Questa analisi del cambiamento può essere applicata non solo alle piante e agli animali, ma anche alle città, che Aristotele considera organismi naturali. In questo senso la rivoluzione mira alla sostituzione perché pone fine ad una città e ne fa nascere una nuova, diversa per sostanza rispetto a quella che è stata sostituita (ad esempio, quando un regime oligarchico sostituisce quello democratico). Una città invece mantiene la propria identità quando la sua costituzione è soltanto modificata. Un secolo dopo la Costituzione degli Ateniesi Aristotele formula quindi, in modo “scienti- fico”, l’alternativa tra riforma e rivoluzione che aveva caratterizzato i di- versi progetti politici dei critici interni e dei critici esterni della democrazia, nell’Atene del V secolo. Ma si tratta di un’alternativa che si è riproposta frequentemente nella storia, soprattutto in quella tragica del XX sec. Che sia giunto il momento di superarla?
Fare la rivoluzione è sempre esaltante e pericoloso. Fare. Ma al di là di tutto, il problema è che fare la rivoluzione, oggi, è un imperativo morale irrinunciabile. Allora iniziamo da una rivoluzione che può sembrare inutile ma che sottende ben altro: la rivoluzione del linguaggio. Attenzione. Le parole sono creature delicate.
Le parole definiscono chi le usa. Noi siamo le parole che usiamo. Ogni giorno, tutto il giorno, intorno a noi vengono violentate le parole. Per sciatteria, per malafede, o per veri e propri crimini. Non linguistici: politici. Chi maltratta quello spazio condiviso che è il linguaggio, maltratta la comunità, la cosa pubblica. Anche usarle con cura è politica. Quella vera, quella che possiamo e dobbiamo fare tutti.
Il vero snobismo non è quello attribuito ai colti: è quello di chi riversa sulla cosiddetta “gente” parole vuote, spazzatura televisiva, falsità. C’è solo disprezzo per il popolo, in chi crea la propria fortuna togliendo al popolo la cultura, la lingua, le parole!
Riprendiamocele, le parole, maneggiamole con cautela, con il rispetto che meritano. Che meritiamo. ☺
ninive@aliceposta.it
Nella sua tipologia dei cambiamenti politici Aristotele presenta due possibili alternative, la sostituzione e la modificazione, che, tradotte in termini a noi più familiari, equivalgono a rivoluzione e riforma. Queste categorie derivano ad Aristotele dalle sue speculazioni sul mutamento in ambito fisico. Le cose in natura cambiano secondo il principio di generazione e corruzione oppure secondo il principio di alterazione. Il primo processo implica un cambio di sostanza, mentre il secondo comporta un cambio di una sostanza. La differenza è che il primo distrugge l’identità della cosa che muta, mentre il secondo la preserva.
Questa analisi del cambiamento può essere applicata non solo alle piante e agli animali, ma anche alle città, che Aristotele considera organismi naturali. In questo senso la rivoluzione mira alla sostituzione perché pone fine ad una città e ne fa nascere una nuova, diversa per sostanza rispetto a quella che è stata sostituita (ad esempio, quando un regime oligarchico sostituisce quello democratico). Una città invece mantiene la propria identità quando la sua costituzione è soltanto modificata. Un secolo dopo la Costituzione degli Ateniesi Aristotele formula quindi, in modo “scienti- fico”, l’alternativa tra riforma e rivoluzione che aveva caratterizzato i di- versi progetti politici dei critici interni e dei critici esterni della democrazia, nell’Atene del V secolo. Ma si tratta di un’alternativa che si è riproposta frequentemente nella storia, soprattutto in quella tragica del XX sec. Che sia giunto il momento di superarla?
Fare la rivoluzione è sempre esaltante e pericoloso. Fare. Ma al di là di tutto, il problema è che fare la rivoluzione, oggi, è un imperativo morale irrinunciabile. Allora iniziamo da una rivoluzione che può sembrare inutile ma che sottende ben altro: la rivoluzione del linguaggio. Attenzione. Le parole sono creature delicate.
Le parole definiscono chi le usa. Noi siamo le parole che usiamo. Ogni giorno, tutto il giorno, intorno a noi vengono violentate le parole. Per sciatteria, per malafede, o per veri e propri crimini. Non linguistici: politici. Chi maltratta quello spazio condiviso che è il linguaggio, maltratta la comunità, la cosa pubblica. Anche usarle con cura è politica. Quella vera, quella che possiamo e dobbiamo fare tutti.
Il vero snobismo non è quello attribuito ai colti: è quello di chi riversa sulla cosiddetta “gente” parole vuote, spazzatura televisiva, falsità. C’è solo disprezzo per il popolo, in chi crea la propria fortuna togliendo al popolo la cultura, la lingua, le parole!
Riprendiamocele, le parole, maneggiamole con cautela, con il rispetto che meritano. Che meritiamo. ☺
Nella sua tipologia dei cambiamenti politici Aristotele presenta due possibili alternative, la sostituzione e la modificazione, che, tradotte in termini a noi più familiari, equivalgono a rivoluzione e riforma. Queste categorie derivano ad Aristotele dalle sue speculazioni sul mutamento in ambito fisico. Le cose in natura cambiano secondo il principio di generazione e corruzione oppure secondo il principio di alterazione. Il primo processo implica un cambio di sostanza, mentre il secondo comporta un cambio di una sostanza. La differenza è che il primo distrugge l’identità della cosa che muta, mentre il secondo la preserva.
Questa analisi del cambiamento può essere applicata non solo alle piante e agli animali, ma anche alle città, che Aristotele considera organismi naturali. In questo senso la rivoluzione mira alla sostituzione perché pone fine ad una città e ne fa nascere una nuova, diversa per sostanza rispetto a quella che è stata sostituita (ad esempio, quando un regime oligarchico sostituisce quello democratico). Una città invece mantiene la propria identità quando la sua costituzione è soltanto modificata. Un secolo dopo la Costituzione degli Ateniesi Aristotele formula quindi, in modo “scienti- fico”, l’alternativa tra riforma e rivoluzione che aveva caratterizzato i di- versi progetti politici dei critici interni e dei critici esterni della democrazia, nell’Atene del V secolo. Ma si tratta di un’alternativa che si è riproposta frequentemente nella storia, soprattutto in quella tragica del XX sec. Che sia giunto il momento di superarla?
Fare la rivoluzione è sempre esaltante e pericoloso. Fare. Ma al di là di tutto, il problema è che fare la rivoluzione, oggi, è un imperativo morale irrinunciabile. Allora iniziamo da una rivoluzione che può sembrare inutile ma che sottende ben altro: la rivoluzione del linguaggio. Attenzione. Le parole sono creature delicate.
Le parole definiscono chi le usa. Noi siamo le parole che usiamo. Ogni giorno, tutto il giorno, intorno a noi vengono violentate le parole. Per sciatteria, per malafede, o per veri e propri crimini. Non linguistici: politici. Chi maltratta quello spazio condiviso che è il linguaggio, maltratta la comunità, la cosa pubblica. Anche usarle con cura è politica. Quella vera, quella che possiamo e dobbiamo fare tutti.
Il vero snobismo non è quello attribuito ai colti: è quello di chi riversa sulla cosiddetta “gente” parole vuote, spazzatura televisiva, falsità. C’è solo disprezzo per il popolo, in chi crea la propria fortuna togliendo al popolo la cultura, la lingua, le parole!
Riprendiamocele, le parole, maneggiamole con cautela, con il rispetto che meritano. Che meritiamo. ☺
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