Rut allarga i confini d’Israele
1 Aprile 2016
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Rut allarga i confini d’Israele

Il libro di Rut è letto in Israele in occasione della festa di Pentecoste o delle Settimane, festa di pellegrinaggio originariamente collegata alla mietitura del grano e dell’orzo e poi connessa alla celebrazione dell’alleanza sinaitica. Esso narra la vicenda di Rut, una straniera che diventa figlia di Israele. Sebbene il libro prenda il nome da Rut, a livello narrativo chi intraprende l’azione è Noemi, sua suocera. Partita con la famiglia da Betlemme verso il paese di Moab per sfuggire alla carestia, Noemi perde il marito e i due figli e, rimasta solo con le nuore Orpa e Rut, decide di far ritorno nella sua terra d’origine. A lei si accompagna soltanto Rut, ferma nel proposito di non infrangere il legame che la unisce alla suocera e, attraverso di lei, al popolo di Israele e al Signore.

Il racconto, ambientato nel periodo dei Giudici, entra nel vivo quando compare sulla scena Booz, un ricco proprietario terriero parente del defunto marito di Noemi, padrone del campo nel quale Rut va a spigolare per assicurare a sua suocera e a sé il sostentamento necessario. Booz, attratto dalla generosità e dai sentimenti della donna, decide di sposarla avvalendosi del diritto di riscatto previsto dalla legge del levirato. Dal loro matrimonio nasce un figlio, Obed, che la genealogia, posta alla fine del libro, annovera tra i progenitori di Davide, il grande re di Israele. Per questo, Rut ha un posto anche tra gli antenati di Gesù, tra le madri di Israele annoverate da Matteo (Mt 1,5).

Il motivo di fondo che attraversa il racconto è quello della fedeltà fondata sui vincoli dell’alleanza. La Provvidenza divina fa sì che le vicende dolorose della vita si volgano in bene: così Rut la straniera può diventare progenitrice di Davide e dello stesso Messia. Il rispetto verso gli anziani, l’amore e la delicatezza nei rapporti familiari, la pietà verso i poveri, l’apertura verso lo straniero sono tratti inconfondibili e avvincenti del vivace tessuto narrativo del libro. Si tratta di un testo religioso, il cui intento principale è quello di alimentare la fede nella Provvidenza e di tener viva la speranza messianica. L’autore protesta contro un certo nazionalismo troppo rigido che proibiva i matrimoni con donne straniere (cf. Esd 9–10; Ne 13,23-27).

Desta notevole stupore per i lettori la dedizione che una nuora mostra verso sua suocera, dedizione che si scontra con il proverbiale conflitto che questo tipo di relazione porta con sé. Dopo la morte di suo marito, Rut potrebbe tornare dalla sua gente, a Moab, e formarsi una nuova famiglia. Sceglie invece di restare con sua suocera e si dà da fare non solo per mantenerla, ma per restituire a questa madre che ha perso i figli la dignità di una discendenza. Booz è affascinato da questo atto di ḥesed (misericordia) di Rut e su di lei invoca la ricompensa da parte del Signore, una ricompensa che si esprime attraverso il triplice dono del pane, di uno sposo e anche di un figlio, che segna l’avvento della gioia e della lode a Dio perché nato da una nuora che ama sua suocera e che vale per lei “più di sette figli” (Rt 4,15).

È possibile per una nuora mutarsi in figlia o in amica di sua suocera, non solo in risposta alla bontà della propria suocera, ma grazie alla scelta di immedesimarsi con lei. Questa scelta apre la via a un’apertura di orizzonti e a una moltiplicazione di affetti che si sperimenta nell’amore. Amare il proprio marito o la propria moglie significa infatti abbracciare tutta la sua storia personale e tutta la trama di relazioni in cui l’altro è inserito.

 

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