Samira, una madre
8 Luglio 2021
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Samira, una madre

Il corridoio scavato nella notte

tra l’antica bayt e il sicomòro

(trincea di libertà tra le rovine)

era l’azzurro confine dei profughi

sull’orizzonte dei cedri

fuga dalla viltà della guerra

sentiero di vita nuova.

L’anziana madre raccolta in preghiera

nella bianca casa ridotta a brandelli

al di là della linea di fronte

fissava, straniera nel silenzio,

le mani del figlio protese

per l’ultimo saluto, tra la gente

che correva oltre la siepe

verso le distese di monti

mentre dai solchi del viso rugoso

calde lacrime carezzavano la polvere. Era la fine!

(Un mesto rituale di uomini e donne, silenti

spogliati della loro storia).

 

Samìra restava. Sola nel tormento

vegliava il sonno dei padri

aspettando l’infinita alba

avvolta nell’orgoglio di donna coraggio

ostaggio di una speranza sopita

gli occhi fieri, grandi

nello spavento dell’essere preda.

Intorno il vuoto e le macerie.

Il corpo oltraggiato e stanco

sostava sull’uscio della sua memoria

raccolto nei veli di seta bianca

sfiorato dal soffice vento

che muoveva i sogni di libertà.

La pietà, negli occhi languidi di Samìra

sul figlio lontano. Senza ritorno.

Senza pace quella casa oltre il confine

senza più luce. Eppure un’altra primavera.

 

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