In un tempo di spostamenti di massa e di emigrazioni colossali, è consuetudine ormai dividere l’umanità in due blocchi: chi ha i documenti e chi non ce li ha, gli irregolari. Vi sono poi altri tipi di divisione basati su un assunto burocratico: comunitari ed extracomunitari e, all’interno dei due blocchi, quelli di serie A e quelli di serie B. Comunitari di serie A: inglesi, francesi, tedeschi (italiani forse); Comunitari di serie B: rumeni. Extracomunitari di serie A: svizzeri (e sì, sono proprio “extracomunitari”), americani degli Stati Uniti. Serie B: il resto del mondo. Come si vede, non bastano neppure più i documenti ma ciò che l’opinione pubblica pensa dei possessori dei documenti. Così accade che per un rumeno che commette un omicidio (rumeno di etnia Rom per la precisione) tutto il popolo è condannato; se un’americana (extracomunitaria di serie A) è accusata dell’uccisione di una ragazza inglese (comunitaria di serie A) riesce a farla passare liscia nell’opinione pubblica anche a un africano, che normalmente avrebbe trascinato nella polvere tutto il continente africano se fosse stato accusato da solo di qualche delitto!
Pensiamo bene all’assurdità del modo in cui viene gestita l’informazione e di come ci lasciamo condizionare da poteri che hanno solo l’interesse a far approvare misure di repressione per scopi politici pre-elettorali. Il mondo purtroppo va così ma i cristiani dove si vogliono collocare? Qual è il documento d’identità che il cristiano possiede?
Leggendo la Scrittura ci imbattiamo in un testo che il popolo ebraico recita a Pasqua e che parla della figura di Abramo, del quale anche noi cristiani, spiritualmente, siamo figli. Ascoltiamolo: “Mio padre era un Arameo errante; scese in Egitto, vi stette come un forestiero con poca gente e vi diventò una nazione grande, forte e numerosa. Gli Egiziani ci maltrattarono, ci umiliarono e ci imposero una dura schiavitù. Allora gridammo al Signore, al Dio dei nostri padri, e il Signore ascoltò la nostra voce, vide la nostra umiliazione, la nostra miseria e la nostra oppressione; il Signore ci fece uscire dall’Egitto con mano potente e con braccio teso, spargendo terrore e operando segni e prodigi, e ci condusse in questo luogo e ci diede questo paese, dove scorre latte e miele” (Dt 26,5-9). E’ un testo che anche l’italiano medio (credente e non) potrebbe fare proprio, in quanto i nostri bisnonni, nonni e genitori sono stati emigranti nello stesso modo di quelli che vengono in Italia, sono stati sfruttati, accusati collettivamente di crimini commessi da singoli, sono stati oggetto di linciaggio e trattati da bestie persino dai nostri “colleghi” comunitari (provate a farvi raccontare che cosa significa abitare in una baracca stile campo di concentramento in una zona industriale tedesca). La consapevolezza del popolo ebraico di essere nato da un atto di liberazione dalla schiavitù da parte di Dio era così forte che è diventata parte integrante dei comandamenti, sacri anche per noi cristiani: “Osserva il giorno di sabato per santificarlo, come il Signore Dio tuo ti ha comandato. Sei giorni faticherai e farai ogni lavoro, ma il settimo giorno è il sabato per il Signore tuo Dio: non fare lavoro alcuno né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo bue, né il tuo asino, né alcuna delle tue bestie, né il forestiero, che sta entro le tue porte, perché il tuo schiavo e la tua schiava si riposino come te. Ricordati che sei stato schiavo nel paese d’Egitto e che il Signore tuo Dio ti ha fatto uscire di là con mano potente e braccio teso; perciò il Signore tuo Dio ti ordina di osservare il giorno di sabato” (Dt 5,12-15).
C’è poi un “segno particolare” ulteriore, scritto sul documento d’identità del cristiano, ed è la croce di Gesù il quale, come ci ricorda sempre la Scrittura, ha assunto la forma dell’emarginato, fino a subire la morte degli schiavi: “Cristo Gesù pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce” (Fil 2,6-8). La presa di distanza a cui si assiste nell’Italia cattolica, dagli emarginati della storia, evidenzia come ormai per molti “cristiani” la croce di Cristo sia un documento falsificato dalla strumentalizzazione che se ne è fatta, assurto a simbolo di poteri forti e di appartenenza alla serie A. ☺
mike.tartaglia@virgilio.it
In un tempo di spostamenti di massa e di emigrazioni colossali, è consuetudine ormai dividere l’umanità in due blocchi: chi ha i documenti e chi non ce li ha, gli irregolari. Vi sono poi altri tipi di divisione basati su un assunto burocratico: comunitari ed extracomunitari e, all’interno dei due blocchi, quelli di serie A e quelli di serie B. Comunitari di serie A: inglesi, francesi, tedeschi (italiani forse); Comunitari di serie B: rumeni. Extracomunitari di serie A: svizzeri (e sì, sono proprio “extracomunitari”), americani degli Stati Uniti. Serie B: il resto del mondo. Come si vede, non bastano neppure più i documenti ma ciò che l’opinione pubblica pensa dei possessori dei documenti. Così accade che per un rumeno che commette un omicidio (rumeno di etnia Rom per la precisione) tutto il popolo è condannato; se un’americana (extracomunitaria di serie A) è accusata dell’uccisione di una ragazza inglese (comunitaria di serie A) riesce a farla passare liscia nell’opinione pubblica anche a un africano, che normalmente avrebbe trascinato nella polvere tutto il continente africano se fosse stato accusato da solo di qualche delitto!
Pensiamo bene all’assurdità del modo in cui viene gestita l’informazione e di come ci lasciamo condizionare da poteri che hanno solo l’interesse a far approvare misure di repressione per scopi politici pre-elettorali. Il mondo purtroppo va così ma i cristiani dove si vogliono collocare? Qual è il documento d’identità che il cristiano possiede?
Leggendo la Scrittura ci imbattiamo in un testo che il popolo ebraico recita a Pasqua e che parla della figura di Abramo, del quale anche noi cristiani, spiritualmente, siamo figli. Ascoltiamolo: “Mio padre era un Arameo errante; scese in Egitto, vi stette come un forestiero con poca gente e vi diventò una nazione grande, forte e numerosa. Gli Egiziani ci maltrattarono, ci umiliarono e ci imposero una dura schiavitù. Allora gridammo al Signore, al Dio dei nostri padri, e il Signore ascoltò la nostra voce, vide la nostra umiliazione, la nostra miseria e la nostra oppressione; il Signore ci fece uscire dall’Egitto con mano potente e con braccio teso, spargendo terrore e operando segni e prodigi, e ci condusse in questo luogo e ci diede questo paese, dove scorre latte e miele” (Dt 26,5-9). E’ un testo che anche l’italiano medio (credente e non) potrebbe fare proprio, in quanto i nostri bisnonni, nonni e genitori sono stati emigranti nello stesso modo di quelli che vengono in Italia, sono stati sfruttati, accusati collettivamente di crimini commessi da singoli, sono stati oggetto di linciaggio e trattati da bestie persino dai nostri “colleghi” comunitari (provate a farvi raccontare che cosa significa abitare in una baracca stile campo di concentramento in una zona industriale tedesca). La consapevolezza del popolo ebraico di essere nato da un atto di liberazione dalla schiavitù da parte di Dio era così forte che è diventata parte integrante dei comandamenti, sacri anche per noi cristiani: “Osserva il giorno di sabato per santificarlo, come il Signore Dio tuo ti ha comandato. Sei giorni faticherai e farai ogni lavoro, ma il settimo giorno è il sabato per il Signore tuo Dio: non fare lavoro alcuno né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo bue, né il tuo asino, né alcuna delle tue bestie, né il forestiero, che sta entro le tue porte, perché il tuo schiavo e la tua schiava si riposino come te. Ricordati che sei stato schiavo nel paese d’Egitto e che il Signore tuo Dio ti ha fatto uscire di là con mano potente e braccio teso; perciò il Signore tuo Dio ti ordina di osservare il giorno di sabato” (Dt 5,12-15).
C’è poi un “segno particolare” ulteriore, scritto sul documento d’identità del cristiano, ed è la croce di Gesù il quale, come ci ricorda sempre la Scrittura, ha assunto la forma dell’emarginato, fino a subire la morte degli schiavi: “Cristo Gesù pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce” (Fil 2,6-8). La presa di distanza a cui si assiste nell’Italia cattolica, dagli emarginati della storia, evidenzia come ormai per molti “cristiani” la croce di Cristo sia un documento falsificato dalla strumentalizzazione che se ne è fatta, assurto a simbolo di poteri forti e di appartenenza alla serie A. ☺
In un tempo di spostamenti di massa e di emigrazioni colossali, è consuetudine ormai dividere l’umanità in due blocchi: chi ha i documenti e chi non ce li ha, gli irregolari. Vi sono poi altri tipi di divisione basati su un assunto burocratico: comunitari ed extracomunitari e, all’interno dei due blocchi, quelli di serie A e quelli di serie B. Comunitari di serie A: inglesi, francesi, tedeschi (italiani forse); Comunitari di serie B: rumeni. Extracomunitari di serie A: svizzeri (e sì, sono proprio “extracomunitari”), americani degli Stati Uniti. Serie B: il resto del mondo. Come si vede, non bastano neppure più i documenti ma ciò che l’opinione pubblica pensa dei possessori dei documenti. Così accade che per un rumeno che commette un omicidio (rumeno di etnia Rom per la precisione) tutto il popolo è condannato; se un’americana (extracomunitaria di serie A) è accusata dell’uccisione di una ragazza inglese (comunitaria di serie A) riesce a farla passare liscia nell’opinione pubblica anche a un africano, che normalmente avrebbe trascinato nella polvere tutto il continente africano se fosse stato accusato da solo di qualche delitto!
Pensiamo bene all’assurdità del modo in cui viene gestita l’informazione e di come ci lasciamo condizionare da poteri che hanno solo l’interesse a far approvare misure di repressione per scopi politici pre-elettorali. Il mondo purtroppo va così ma i cristiani dove si vogliono collocare? Qual è il documento d’identità che il cristiano possiede?
Leggendo la Scrittura ci imbattiamo in un testo che il popolo ebraico recita a Pasqua e che parla della figura di Abramo, del quale anche noi cristiani, spiritualmente, siamo figli. Ascoltiamolo: “Mio padre era un Arameo errante; scese in Egitto, vi stette come un forestiero con poca gente e vi diventò una nazione grande, forte e numerosa. Gli Egiziani ci maltrattarono, ci umiliarono e ci imposero una dura schiavitù. Allora gridammo al Signore, al Dio dei nostri padri, e il Signore ascoltò la nostra voce, vide la nostra umiliazione, la nostra miseria e la nostra oppressione; il Signore ci fece uscire dall’Egitto con mano potente e con braccio teso, spargendo terrore e operando segni e prodigi, e ci condusse in questo luogo e ci diede questo paese, dove scorre latte e miele” (Dt 26,5-9). E’ un testo che anche l’italiano medio (credente e non) potrebbe fare proprio, in quanto i nostri bisnonni, nonni e genitori sono stati emigranti nello stesso modo di quelli che vengono in Italia, sono stati sfruttati, accusati collettivamente di crimini commessi da singoli, sono stati oggetto di linciaggio e trattati da bestie persino dai nostri “colleghi” comunitari (provate a farvi raccontare che cosa significa abitare in una baracca stile campo di concentramento in una zona industriale tedesca). La consapevolezza del popolo ebraico di essere nato da un atto di liberazione dalla schiavitù da parte di Dio era così forte che è diventata parte integrante dei comandamenti, sacri anche per noi cristiani: “Osserva il giorno di sabato per santificarlo, come il Signore Dio tuo ti ha comandato. Sei giorni faticherai e farai ogni lavoro, ma il settimo giorno è il sabato per il Signore tuo Dio: non fare lavoro alcuno né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo bue, né il tuo asino, né alcuna delle tue bestie, né il forestiero, che sta entro le tue porte, perché il tuo schiavo e la tua schiava si riposino come te. Ricordati che sei stato schiavo nel paese d’Egitto e che il Signore tuo Dio ti ha fatto uscire di là con mano potente e braccio teso; perciò il Signore tuo Dio ti ordina di osservare il giorno di sabato” (Dt 5,12-15).
C’è poi un “segno particolare” ulteriore, scritto sul documento d’identità del cristiano, ed è la croce di Gesù il quale, come ci ricorda sempre la Scrittura, ha assunto la forma dell’emarginato, fino a subire la morte degli schiavi: “Cristo Gesù pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce” (Fil 2,6-8). La presa di distanza a cui si assiste nell’Italia cattolica, dagli emarginati della storia, evidenzia come ormai per molti “cristiani” la croce di Cristo sia un documento falsificato dalla strumentalizzazione che se ne è fatta, assurto a simbolo di poteri forti e di appartenenza alla serie A. ☺
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