Semi
La poesia che segue è tratta dalla raccolta di Alessandro Fo, Filo spinato (Einaudi 2021) e, più precisamente, dalla seconda parte del libro, Muto carcere, che prende spunto dal suo volontariato culturale nell’istituto di pena di Ranza-San Gimignano (SI). In presa diretta e senza ombra di retorica i versi presentano le dure condizioni di reclusione di un detenuto che racconta in prima persona l’ esperienza della pena aggiuntiva di dieci mesi di isolamento, con un inatteso finale. Il titolo della poesia è ispirato, pur nella diversità dei contesti, a due versi di Dante: “secondo che i poeti hanno per fermo/ si ristorar di seme di formiche” (InfernoXXIX 63-64).
Laura de Noves
Dieci mesi durò l’isolamento.
Mi ero fatto amiche le formiche.
Le conoscevo ormai una per una.
Ci mettevo le fette di salame:
loro uscivano dalle loro tane
per venire da me.
Ci avevo solo
un vecchio numero di «Famiglia cristiana».
Tutto mi avevano tolto: TV, radio,
libri, tutto quanto.
Lo nascondevo dentro le mutande
e alla perquisizione
non lo trovavano.
Lo sapevo a memoria. Pure la Redazione,
i numeri di telefono.
L’ora d’aria era in un quadrato
di tre metri per tre di cemento.
Solo pareti, e sopra di me il cielo,
ma pure fra quel cielo e me una grata.
Per dieci mesi.
Per dieci mesi.
E poi alla fine mi concessero i libri.
Libri per modo di dire. Biblioteca
dell’Isolamento. Carta straccia,
vecchi, senza più la copertina,
romanzi fatti a pezzi, che attaccavo
da dove capitava.
Ma quando ho avuto i libri
– non la televisione: proprio i libri dico –
quei libri putrefatti, sbrindellati,
be’, su quei libri, per la felicità, io ho pianto.
