Lo chiamano Italian sounding [pronuncia: italian saunding], ma sappiamo in realtà cosa sia?
L’espressione che sta prendendo piede negli ultimi tempi ha a che fare con la nostra nazione, ma non in termini positivi in quanto si riferisce ad una strategia commerciale che crea danni all’immagine del “bel paese”.
Tale pratica consiste nell’utilizzo di nomi, etichette, foto di prodotti tipici della gastronomia italiana – che è noto essere molto apprezzata e richiesta all’estero – applicati a prodotti, che italiani non sono, per metterli in commercio! Per gli esperti del settore l’Italia è il paese più colpito dalla contraffazione alimentare ed all’estero accade che vengano venduti prodotti e bevande utilizzando in maniera impropria parole, marchi e ricette che richiamano l’Italia.
Contraffazione imitativa possiamo definirla, e linguisticamente il verbo sound [pronuncia: saund] veicola perfettamente tale significato in quanto traduce l’italiano “sembrare” nell’accezione “acustica” – sembrare dal suono, dal nome appunto!
A che cosa potrebbero farvi pensare denominazioni del tipo Tinboonzola e Cambozola? Ovviamente al noto formaggio Gorgonzola, che però non viene prodotto in Italia settentrionale. Per non parlare del sempre più copiato Parmesan che non ha niente del prodotto Dop nostrano, ma è semplicemente un “tarocco” del vero Parmigiano, stagionato nella lontana Argentina o addirittura in Giappone! Se invece si resta in Europa sarà sempre possibile assaporare, nel Regno Unito o in Germania, una mozzarella di bufala, interamente prodotta in loco!
Ricorrere ad una denominazione fittizia equivale al rilascio di una patente ingannevole, come è stata definita, ad uno ‘scherzo’ che – ahinoi – costituisce un colossale affare, con introiti per molti imprenditori risiedenti in altre nazioni. I dati statistici, però, rivelano anche parallelamente l’ingresso in Italia di grandi quantità di prodotti alimentari esteri venduti come italiani – quasi il cinque per cento della nostra produzione agricola! Oltre agli ingenti danni sul piano economico, il fenomeno dell’Italian sounding influisce negativamente sull’immagine nazionale e provoca anche il modificarsi di quel corredo di sapori e di odori che è nato ed appartiene solamente al nostro paese.
Quanto oggi il denominare sia importante lo possiamo comprendere con facilità. Si stenta a ritrovare intorno a noi la consapevolezza di un uso attento delle parole: l’italian sounding è metafora di un linguaggio ingannevole, del sotterfugio, dell’insincerità. Un nome falso per un prodotto falsificato, elogio dell’apparenza e della maschera.
E il nostro sguardo potrebbe volgersi altrove, ad una società che stenta a ritrovare la giusta direzione, ad una comunità umana che si affidi alla sincerità della comunicazione senza ricorrere ad infingimenti. È necessario che il nostro torni ad essere un linguaggio concreto, legato alle cose e alle persone, riflettuto non gridato, pacato non aggressivo e ingiurioso. È a rischio il nostro vivere in uno stato civile, in un consesso di persone che guardi al bene e alla tutela di tutti. Come sostiene Roberta De Monticelli “o ci salviamo con il mondo come appare – non solo con i suoi colori e i suoi sapori, ma anche con le sue qualità di valore e disvalore, con le cose preziose che contiene e devono essere protette, e quelle che gridano vendetta e devono essere cambiate – o di noi non si salva niente, neanche nel ricordo”.
Il nostro patrimonio alimentare ci sfugge di mano, inabissato sotto etichette fittizie che richiamano formalmente la nostra tradizione; la vita politica e sociale ricorre sempre più ad un linguaggio riduttivo e grossolano per mascherare l’assenza di idealità e di proposte.
Soltanto qualche anno fa Gustavo Zagrebelsky affermava: “Oggi è politicamente corretto il dileggio, l’aggressione verbale, la volgarità, la scurrilità. È politicamente corretta la semplificazione, fino alla banalizzazione dei problemi comuni. Sono politicamente corretti la rassicurazione ad ogni costo, l’occultamento delle difficoltà, le promesse dell’impossibile, la blandizia dei vizi pubblici e privati proposti come virtù … proprio il linguaggio plebeo è diventato quel ‘politicamente corretto’ dal quale dobbiamo liberarci”. Che cosa è cambiato? ☺
Lo chiamano Italian sounding [pronuncia: italian saunding], ma sappiamo in realtà cosa sia?
L’espressione che sta prendendo piede negli ultimi tempi ha a che fare con la nostra nazione, ma non in termini positivi in quanto si riferisce ad una strategia commerciale che crea danni all’immagine del “bel paese”.
Tale pratica consiste nell’utilizzo di nomi, etichette, foto di prodotti tipici della gastronomia italiana – che è noto essere molto apprezzata e richiesta all’estero – applicati a prodotti, che italiani non sono, per metterli in commercio! Per gli esperti del settore l’Italia è il paese più colpito dalla contraffazione alimentare ed all’estero accade che vengano venduti prodotti e bevande utilizzando in maniera impropria parole, marchi e ricette che richiamano l’Italia.
Contraffazione imitativa possiamo definirla, e linguisticamente il verbo sound [pronuncia: saund] veicola perfettamente tale significato in quanto traduce l’italiano “sembrare” nell’accezione “acustica” – sembrare dal suono, dal nome appunto!
A che cosa potrebbero farvi pensare denominazioni del tipo Tinboonzola e Cambozola? Ovviamente al noto formaggio Gorgonzola, che però non viene prodotto in Italia settentrionale. Per non parlare del sempre più copiato Parmesan che non ha niente del prodotto Dop nostrano, ma è semplicemente un “tarocco” del vero Parmigiano, stagionato nella lontana Argentina o addirittura in Giappone! Se invece si resta in Europa sarà sempre possibile assaporare, nel Regno Unito o in Germania, una mozzarella di bufala, interamente prodotta in loco!
Ricorrere ad una denominazione fittizia equivale al rilascio di una patente ingannevole, come è stata definita, ad uno ‘scherzo’ che – ahinoi – costituisce un colossale affare, con introiti per molti imprenditori risiedenti in altre nazioni. I dati statistici, però, rivelano anche parallelamente l’ingresso in Italia di grandi quantità di prodotti alimentari esteri venduti come italiani – quasi il cinque per cento della nostra produzione agricola! Oltre agli ingenti danni sul piano economico, il fenomeno dell’Italian sounding influisce negativamente sull’immagine nazionale e provoca anche il modificarsi di quel corredo di sapori e di odori che è nato ed appartiene solamente al nostro paese.
Quanto oggi il denominare sia importante lo possiamo comprendere con facilità. Si stenta a ritrovare intorno a noi la consapevolezza di un uso attento delle parole: l’italian sounding è metafora di un linguaggio ingannevole, del sotterfugio, dell’insincerità. Un nome falso per un prodotto falsificato, elogio dell’apparenza e della maschera.
E il nostro sguardo potrebbe volgersi altrove, ad una società che stenta a ritrovare la giusta direzione, ad una comunità umana che si affidi alla sincerità della comunicazione senza ricorrere ad infingimenti. È necessario che il nostro torni ad essere un linguaggio concreto, legato alle cose e alle persone, riflettuto non gridato, pacato non aggressivo e ingiurioso. È a rischio il nostro vivere in uno stato civile, in un consesso di persone che guardi al bene e alla tutela di tutti. Come sostiene Roberta De Monticelli “o ci salviamo con il mondo come appare – non solo con i suoi colori e i suoi sapori, ma anche con le sue qualità di valore e disvalore, con le cose preziose che contiene e devono essere protette, e quelle che gridano vendetta e devono essere cambiate – o di noi non si salva niente, neanche nel ricordo”.
Il nostro patrimonio alimentare ci sfugge di mano, inabissato sotto etichette fittizie che richiamano formalmente la nostra tradizione; la vita politica e sociale ricorre sempre più ad un linguaggio riduttivo e grossolano per mascherare l’assenza di idealità e di proposte.
Soltanto qualche anno fa Gustavo Zagrebelsky affermava: “Oggi è politicamente corretto il dileggio, l’aggressione verbale, la volgarità, la scurrilità. È politicamente corretta la semplificazione, fino alla banalizzazione dei problemi comuni. Sono politicamente corretti la rassicurazione ad ogni costo, l’occultamento delle difficoltà, le promesse dell’impossibile, la blandizia dei vizi pubblici e privati proposti come virtù … proprio il linguaggio plebeo è diventato quel ‘politicamente corretto’ dal quale dobbiamo liberarci”. Che cosa è cambiato? ☺
Lo chiamano Italian sounding [pronuncia: italian saunding], ma sappiamo in realtà cosa sia?
Lo chiamano Italian sounding [pronuncia: italian saunding], ma sappiamo in realtà cosa sia?
L’espressione che sta prendendo piede negli ultimi tempi ha a che fare con la nostra nazione, ma non in termini positivi in quanto si riferisce ad una strategia commerciale che crea danni all’immagine del “bel paese”.
Tale pratica consiste nell’utilizzo di nomi, etichette, foto di prodotti tipici della gastronomia italiana – che è noto essere molto apprezzata e richiesta all’estero – applicati a prodotti, che italiani non sono, per metterli in commercio! Per gli esperti del settore l’Italia è il paese più colpito dalla contraffazione alimentare ed all’estero accade che vengano venduti prodotti e bevande utilizzando in maniera impropria parole, marchi e ricette che richiamano l’Italia.
Contraffazione imitativa possiamo definirla, e linguisticamente il verbo sound [pronuncia: saund] veicola perfettamente tale significato in quanto traduce l’italiano “sembrare” nell’accezione “acustica” – sembrare dal suono, dal nome appunto!
A che cosa potrebbero farvi pensare denominazioni del tipo Tinboonzola e Cambozola? Ovviamente al noto formaggio Gorgonzola, che però non viene prodotto in Italia settentrionale. Per non parlare del sempre più copiato Parmesan che non ha niente del prodotto Dop nostrano, ma è semplicemente un “tarocco” del vero Parmigiano, stagionato nella lontana Argentina o addirittura in Giappone! Se invece si resta in Europa sarà sempre possibile assaporare, nel Regno Unito o in Germania, una mozzarella di bufala, interamente prodotta in loco!
Ricorrere ad una denominazione fittizia equivale al rilascio di una patente ingannevole, come è stata definita, ad uno ‘scherzo’ che – ahinoi – costituisce un colossale affare, con introiti per molti imprenditori risiedenti in altre nazioni. I dati statistici, però, rivelano anche parallelamente l’ingresso in Italia di grandi quantità di prodotti alimentari esteri venduti come italiani – quasi il cinque per cento della nostra produzione agricola! Oltre agli ingenti danni sul piano economico, il fenomeno dell’Italian sounding influisce negativamente sull’immagine nazionale e provoca anche il modificarsi di quel corredo di sapori e di odori che è nato ed appartiene solamente al nostro paese.
Quanto oggi il denominare sia importante lo possiamo comprendere con facilità. Si stenta a ritrovare intorno a noi la consapevolezza di un uso attento delle parole: l’italian sounding è metafora di un linguaggio ingannevole, del sotterfugio, dell’insincerità. Un nome falso per un prodotto falsificato, elogio dell’apparenza e della maschera.
E il nostro sguardo potrebbe volgersi altrove, ad una società che stenta a ritrovare la giusta direzione, ad una comunità umana che si affidi alla sincerità della comunicazione senza ricorrere ad infingimenti. È necessario che il nostro torni ad essere un linguaggio concreto, legato alle cose e alle persone, riflettuto non gridato, pacato non aggressivo e ingiurioso. È a rischio il nostro vivere in uno stato civile, in un consesso di persone che guardi al bene e alla tutela di tutti. Come sostiene Roberta De Monticelli “o ci salviamo con il mondo come appare – non solo con i suoi colori e i suoi sapori, ma anche con le sue qualità di valore e disvalore, con le cose preziose che contiene e devono essere protette, e quelle che gridano vendetta e devono essere cambiate – o di noi non si salva niente, neanche nel ricordo”.
Il nostro patrimonio alimentare ci sfugge di mano, inabissato sotto etichette fittizie che richiamano formalmente la nostra tradizione; la vita politica e sociale ricorre sempre più ad un linguaggio riduttivo e grossolano per mascherare l’assenza di idealità e di proposte.
Soltanto qualche anno fa Gustavo Zagrebelsky affermava: “Oggi è politicamente corretto il dileggio, l’aggressione verbale, la volgarità, la scurrilità. È politicamente corretta la semplificazione, fino alla banalizzazione dei problemi comuni. Sono politicamente corretti la rassicurazione ad ogni costo, l’occultamento delle difficoltà, le promesse dell’impossibile, la blandizia dei vizi pubblici e privati proposti come virtù … proprio il linguaggio plebeo è diventato quel ‘politicamente corretto’ dal quale dobbiamo liberarci”. Che cosa è cambiato? ☺
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