Strage e potere
8 Febbraio 2021
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Strage e potere

2 Agosto 1980, oltre quarant’anni fa. Per quanto piccola allora, conservo un ricordo preciso di quel giorno: era il clou dell’estate e noi bambini, in regime di libertà incondizionata, eravamo impegnati in continue scorribande dalla piazza alla casa dei nonni, dal gioco a pane, olio e pomodoro al gioco a sfinimento, mentre gli adulti, mamma, babbo, i nonni, gli altri “grandi” erano stranamente seri e compresi e non parlavano che del “fatto” successo a Bologna e della zia Lina, operaia in una fabbrica milanese, che quella mattina avrebbe dovuto prendere il treno destinato a transitare intorno alle dieci e mezza del mattino per la stazione di Bologna. Dalla zia si ricevette una telefonata solo a tarda sera: per puro accidente aveva perso il treno e stava bene. Ricordo anche qualche fotogramma in bianco e nero di quel giorno e dei successivi: il cumulo di macerie polverose davanti alla stazione di Bologna e l’affanno dei soccorritori intenti a recuperare i corpi delle vittime, protetti il naso e la bocca dalle mascherine.

Perché era questo il “fatto” successo: una bomba nascosta in una valigia abbandonata nella sala d’aspetto della seconda classe della stazione di Bologna alle 10.25 del 2 agosto 1980 era stata fatta esplodere, provocando il crollo dell’ala ovest dell’edificio, investendo il treno Ancona-Basilea che si trovava in sosta sul primo binario, distruggendo il parcheggio antistante la stazione e, soprattutto, causando la morte di 85 persone ed il ferimento o la mutilazione di altre 200.

L’esplosivo, si appurò in seguito, era di fabbricazione militare.

La strage di Bologna è stata il più grave dei numerosi episodi che hanno funestato la storia patria specie negli anni ‘70 e ‘80 del Novecento e che, avvolti tuttora da una caligine untuosa, lasciano intravedere solo per fessure e a sprazzi collusioni di interessi le meno pensabili, contorsioni ideologiche le più ardite, depistaggi di sorta, violenza ad ogni modo: alla gran parte di noi cittadini italiani, infatti, non è stata mai consentita una lettura lucida, una conoscenza e coscienza consapevoli di quella storia, che pure ci riguarda. Tra le molte ferite infette della nostra boriosa democrazia.

Qualche luce in più sulla strage di Bologna a me è venuta, manco a dirlo, da un romanzo, Strage, del bolognese Loriano Macchiavelli. Lo inseguivo da tempo questo romanzo e ho faticato a trovarlo. Del resto neanche sapevo della complessa vicenda editoriale che lo ha accompagnato: il libro, che sulla bomba della stazione di Bologna del 2 agosto 1980 racconta una versione scomoda che, per quanto fantasiosa, si avvicina evidentemente alla realtà, rimase sul mercato per pochissimi giorni, dal 28 maggio al 3 giugno del 1990, poiché qualcuno, riconoscendosi tra i protagonisti della vicenda e ritenendosi in tal modo oltraggiato, aveva fatto causa e ottenuto il sequestro del volume.

Lo stesso autore Loriano Macchiavelli ha poi riferito in proposito di aver passato mesi d’inferno, stretto tra le lettere minatorie che lo raggiungevano e la paura di perdere la causa e di essere costretto a pagare la cifra enorme chiesta dal querelante; il 15 ottobre del 1991, però, il tribunale di Milano decise l’assoluzione di Macchiavelli con la motivazione principale che l’autore “aveva semplicemente esercitato il diritto di cronaca e di critica garantito dall’articolo 21 della Costituzione”; solo nel 2010, in occasione del trentesimo anniversario della strage di Bologna, Einaudi ha deciso di pubblicare il volume (va detto, tra le righe, che l’editore Rizzoli, non appena cominciata la causa giudiziaria, aveva mandato al macero l’opera).

L’edizione Einaudi di Strage, dopo una breve e calorosamente ironica “storia del romanzo ad uso del lettore” per parte di Macchiavelli, si apre con l’interessante prefazione di Libero Mancuso, magistrato che per anni ha cercato la verità sulla strage: solamente dieci anni fa, dunque, Mancuso vi affermava apertamente che a trent’anni dalla strage non era ancora stata fatta luce sui mandanti della strage stessa, “tenuti al riparo dai giudici attraverso le trame intossicanti di falsi servitori dello stato e servitori di trame piduiste”. Sempre nel corso di suddetta prefazione, Mancuso parlava dell’opera come di un “un magnifico romanzo, denso di colpi di scena e di sorprendenti intuizioni che contendono alle verità faticosamente ricostruite in tante sentenze, plausibilità, razionalità, verità”.

In effetti, vestito del garbo sornione di Macchiavelli, la cui voce è nella narrazione affidata a Jules Quicher esperto in problemi di sicurezza svizzero (sotto il cui pseudonimo, peraltro, era stata da Macchiavelli pubblicata la prima edizione di Strage), il romanzo intreccia con assoluta coerenza drammatica avventure mirabolanti ed ipotesi eversive di raffinatezza bizantina e, mai trascurando di ricordare i momenti drammatici vissuti dalla città di Bologna e le numerose prove di generosità e solidarietà che anche allora la città seppe dare, coinvolge il lettore all’interno di una trama a perdifiato, fatta di connessioni tra mafia, gerarchie militari, terroristi, uomini dei servizi, massoni, banchieri dalle mani poco pulite, frange deviate della Chiesa, vertici della politica nazionale che avrebbero fornito chi l’opera, chi la mente, chi la capacità economica, chi l’ascendente politico utili alla realizzazione di un disegno dai confini non meglio precisati, ma, e leggendo lo si avverte con una vertigine di freddo, sicuramente spropositati.

Chiestogli se ritenesse che Strage avesse conosciuto un destino editoriale tanto avverso per via dell’ipotesi scomoda sul potere in Italia che nel libro emerge con forza, Macchiavelli ha risposto: “Sì, è quello che io penso. In questo Paese, dai rapporti deviati tra settori di politica, mafia, massoneria e Chiesa, nasce un nucleo che sprigiona una potenza inaudita … Sono quelli che hanno davvero il potere e non hanno nessuna intenzione di farselo togliere. Di loro, soprattutto di quelli che si muovono nel mondo della politica, non sappiamo e non diciamo mai abbastanza”.

O no?☺

 

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