
Studiare i bitcoin
Verso la fine degli anni ’80 del secolo scorso, un gruppo di attivisti, principalmente matematici e informatici, riteneva che la privacy fosse un diritto sempre più in pericolo e che l’uso della crittografia potesse rappresentare un valido strumento di cambiamento sociale e politico. “La privacy è necessaria per una società aperta nell’era elettronica. La privacy non è segretezza”, così scriveva Eric Hugesnel nel 1993 in quello che è conosciuto come il The “Cypherpunk” Manifesto, e attenzione, siamo negli anni ’90: non solo i social network non sono stati neanche lontanamente concepiti, ma la stessa internet è qualcosa di noto solo agli esperti del settore, solitamente occhialuti muniti di barba e con i capelli raccolti in una lunga coda. Cypherpunk è il termine con cui questi attivisti si identificavano, etimologicamente l’ unione di cypher (cifrario) e cyberpunk (il genere narrativo incentrato sulla critica ad uno sviluppo incontrollato della tecnologia). I Cypherpunk si scambiavano opinioni e codice sorgente tramite un’apposita mailing list, e se finora quanto raccontato sembrerebbe riguardare una parentesi socio-nerd di scarso interesse storico, sappiate che tra gli autori di queste mail spiccava un tale Julian Assange.
La visione dei Cypherpunk era di natura marcatamente pratica: “cypherpunkwrite code” è uno dei motti tratti dal manifesto sopra citato. Scrivere in codice, rilasciare gratuitamente applicativi volti a tutelare la privacy dei potenziali utenti è tra gli obiettivi principali del movimento. E a scrivere in codice in modo particolarmente brillante ci pensa un tale Satoshi Nakamoto, che nel 2008 pubblica su una mailing list di crittografia (metzdowd.com) un articolo intitolato “Bitcoin: A Peer-to-Peer Electronic Cash System”, divenuto noto come “Bitcoin white paper”. Non si sa chi sia, se sia una singola persona o un collettivo, da dove pubblica e dove risiede: la figura è completamente misteriosa. Nel white paper, tuttavia, Satoshi Nakamoto propone un sistema di pagamento digitale open source, completamente decentralizzato e che non necessita di alcuna autorità centrale che funga da intermediario: questo sistema è chiamato bitcoin. Ma ormai parliamo del 2008, internet inizia ad essere alla portata di tutti, i pagamenti online non sono più operazioni da fantascienza e l’internet banking si rivela uno strumento comodissimo per evitare lunghe file agli sportelli; in sostanza, il denaro digitale non è più una novità. Difatti, la peculiarità del bitcoin non è il fatto di essere una valuta esclusivamente digitale, ma è la sua progettazione orientata alla tutela della privacy dell’utente.
Quando pago l’abbonamento a la fonte tramite bonifico on line, magari non me ne accorgo, magari me ne dimentico, ma sto chiedendo alla banca che ha in custodia i miei soldi di spostare la somma da me scelta verso il conto corrente del periodico (dunque verso un’altra banca). Ho scritto forse un’ovvietà, ma è proprio qui che bisogna fermarsi e analizzare meglio la situazione. Facciamo uno sforzo e immaginiamo che a vincere le prossime elezioni sia un governo di ultradestra che odia gli immigrati e attua politiche sfacciatamente razziste. Bene, il periodico la fonte è notoriamente critico verso politiche simili, e la sua stampa viene dunque vietata. Ma si sa, il direttore è un tipo abbastanza ostinato, e continua a stampare e diffondere il giornale. Il governo come mossa successiva ordina dunque alle banche di bloccare i pagamenti verso la fonte e di bloccare il conto corrente del periodico. Il giornale si trova così senza fondi e senza possibilità di continuare le stampe. La situazione sembrerebbe senza soluzione, ed è qui che entra in gioco il bitcoin.
Questa criptovaluta è stata pensata proprio per situazioni simili: la fonte potrebbe iniziare a ricevere pagamenti in bitcoin e stavolta nessuno potrebbe bloccare le transazioni (non c’è nessuna autorità che fa da intermediario), nessuno potrebbe risalire all’identità di chi continua a finanziare il giornale (ogni transazione è crittografata e i pagamenti avvengono in forma anonima), nessuno potrebbe spegnere il server su cui le transazioni vengono registrate (perché la rete bitcoin è decentralizzata, non esiste nessun server centrale depositario del registro delle transazioni, tecnicamente si dice che il protocollo è peer-to-peer). È per questo genere di situazioni che il bitcoin è stato pensato, e in scenari simili bitcoin si è rivelato uno strumento prezioso.
Quando nel 2010 ad Assange fu bloccato il conto in banca, a seguito dello scandalo WikiLeaks, nessuno poté impedire che ricevesse donazioni in bitcoin. L’iperinflazione causata dal governo Maduro in Venezuela portò la popolazione a cercare rifugio in un mezzo di scambio non controllabile dai poteri centrali, dato che il governo bloccò di fatto le transazioni internazionali: dal 2018 iniziò una vera e propria corsa al bitcoin che continua ancora oggi.
Sono solo un paio di esempi che meritano un doveroso approfondimento, ma li presento per comunicare un concetto abbastanza semplice: il bitcoin non è una moneta pensata per l’ occidentale privilegiato, convinto che il cibo nasca nei supermercati e che le transazioni monetarie libere siano un diritto innato immutabile. Il bitcoin è una moneta che può rappresentare un mezzo di lotta e di riscatto per quei Paesi in cui predominano governi dittatoriali e liberticidi, dove tutelare la privacy è questione di vita o di morte, dove le libertà più elementari sono negate. Purtroppo, tutto questo nelle nostre comode zone è spesso offuscato, la nostra sete di guadagno facile ci porta ad essere accecati solo da una cosa: il prezzo del bitcoin. È vero, un bitcoin nel 2008 non valeva praticamente nulla. Nel 2010 ci fu una famosa transazione in cui con 10.000 bitcoin vennero acquistate due pizze (per i curiosi, googolate “Laszlo Hanyecz pizza”).
Oggi un bitcoin vale circa 83.000 euro, e con questo ho detto tutto: la portata sociale e rivoluzionaria che questa criptovaluta racchiude nel suo codice sparisce dietro la frenesia che l’occidentale medio ha nell’acquistare bitcoin sperando che il prezzo continui a crescere. Da qui la necessità di raccontarvi un po’ la sua storia, concludendo con una nota importante: facciamo attenzione nel distinguere bitcoin dalle altre criptovalute, dato che ne nascono a centinaia e hanno solitamente vita breve, spesso sponsorizzate da qualche azienda che vuole utilizzarle a scopo di lucro. Vi lascio con un motto diffuso tra i bitcoiner: “i bitcoin non si comprano, si studiano”. Imparare a conoscere questa tecnologia oggi è più importante che mai!☺