Lo spettacolo offerto dalla conclusione delle assemblee (in inglese conventions [pronuncia: convenscions] dei due partiti politici americani, democratico e repubblicano, per la designazione dei candidati alla carica di Presidente degli Stati Uniti d’America, attraverso i mezzi di comunicazione, si è svolto sulla scia di alcune parole dominanti, accomunate dalla stessa radice semantica: lead [pronuncia: lid], leader [pronuncia: lider], leadership [pronuncia: liderscip].
Leader, dal verbo lead che significa guidare, condurre, è un sostantivo – come intuibile dal suffisso -er. La lingua italiana preferisce utilizzare questo termine in numerosi e vari contesti. Il vocabolo inglese, infatti, assomma diversi significati, tutti inerenti persone che esercitano una funzione di traino, ammaestramento, competenza accertata rispetto ad altri, nei settori della vita sociale più disparati, dall’arte all’insegnamento, al lavoro, alla politica. Per esempio, il direttore o il primo violino di un’orche- stra sono leader; si utilizza lo stesso vocabolo per indicare la persona che ha dato il via ad un movimento di opinione oppure per l’editoriale di un quotidiano.
Noi italiani facciamo un uso frequente del termine inglese soprattutto perché esso risente meno di ambiguità semantica. Capo, dirigente, guida, esponente, condottiero, se non addirittura duce, risultano sinonimi piuttosto riduttivi, che non esprimono appieno la funzione cui si vuol far riferimento. Lo stesso dicasi per leadership (dove il suffisso -ship [pronuncia: scip] lungi dal significare “nave”, sta ad indicare che il sostantivo è astratto). Per leadership si intende l’azione che un leader svolge, relativamente all’ambito in cui opera. Essa equivale a proporre idee, esercitare influenza al fine di ottenere la modifica di certi comportamenti; in altri termini può definirsi una “relazione” tra il leader ed i suoi seguaci o sostenitori. Vocabolo onnicomprensivo, leadership sta ad indicare l’arte di indurre il consenso, l’esercizio di condizionamenti, una forma di persuasione, la relazione di potere, uno strumento per raggiungere l’obiettivo.
Sia leader che leadership sembrano tradire un atteggiamento che privilegia l’iniziativa del singolo, il desiderio di primeggiare, la volontà di porsi al di sopra delle masse.
Le elezioni americane sono soltanto un esempio, anche se di stretta attualità perché avranno luogo in novembre, di come la società contemporanea si sia consolidata, attraverso i leader, nella prassi di democrazia rappresentativa. Dalla rivoluzione francese in poi, come precisato nella “Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino”, la sovranità appartiene al popolo che la esercita sia direttamente, sia per mezzo dei suoi rappresentanti. Con il tempo il “sia direttamente” sembra scomparso e sono rimasti solo “i rappresentanti”. A volte scompaiono anche i rappresentanti per cedere il posto a colui che riesce a stabilire il proprio primato, a fornire originalità di idee, ad individuare obiettivi da raggiungere. E parliamo sempre di democrazia!
Come vi suona l’idea che con ogni probabilità, al vertice delle democrazie occidentali, cioè negli USA, ad avere il potere negli ultimi anni e nei prossimi, sono state e saranno sostanzialmente due famiglie, Bush e Clinton? Non è una forma perversa di nostalgia per le care vecchie dinastie? E decidere democraticamente, come si è fatto in Italia, di farsi guidare, semplicemente, dall’uo- mo più ricco del paese, non è una forma infantile di autoconfutazione nostalgica, di ri- pensamento tardivo? Cos’è quest’assur- da forma di degenerazione per cui si ripristina, in modo mascherato, il nemico che si era vinto? (A. Baricco, I barbari).
Ancora una domanda, oltre quelle che si è posto lo scrittore piemontese: ma i totalitarismi non erano un retaggio dei secoli passati?
Ah, saperlo! ☺
dario.carlone@tiscali.it
Lo spettacolo offerto dalla conclusione delle assemblee (in inglese conventions [pronuncia: convenscions] dei due partiti politici americani, democratico e repubblicano, per la designazione dei candidati alla carica di Presidente degli Stati Uniti d’America, attraverso i mezzi di comunicazione, si è svolto sulla scia di alcune parole dominanti, accomunate dalla stessa radice semantica: lead [pronuncia: lid], leader [pronuncia: lider], leadership [pronuncia: liderscip].
Leader, dal verbo lead che significa guidare, condurre, è un sostantivo – come intuibile dal suffisso -er. La lingua italiana preferisce utilizzare questo termine in numerosi e vari contesti. Il vocabolo inglese, infatti, assomma diversi significati, tutti inerenti persone che esercitano una funzione di traino, ammaestramento, competenza accertata rispetto ad altri, nei settori della vita sociale più disparati, dall’arte all’insegnamento, al lavoro, alla politica. Per esempio, il direttore o il primo violino di un’orche- stra sono leader; si utilizza lo stesso vocabolo per indicare la persona che ha dato il via ad un movimento di opinione oppure per l’editoriale di un quotidiano.
Noi italiani facciamo un uso frequente del termine inglese soprattutto perché esso risente meno di ambiguità semantica. Capo, dirigente, guida, esponente, condottiero, se non addirittura duce, risultano sinonimi piuttosto riduttivi, che non esprimono appieno la funzione cui si vuol far riferimento. Lo stesso dicasi per leadership (dove il suffisso -ship [pronuncia: scip] lungi dal significare “nave”, sta ad indicare che il sostantivo è astratto). Per leadership si intende l’azione che un leader svolge, relativamente all’ambito in cui opera. Essa equivale a proporre idee, esercitare influenza al fine di ottenere la modifica di certi comportamenti; in altri termini può definirsi una “relazione” tra il leader ed i suoi seguaci o sostenitori. Vocabolo onnicomprensivo, leadership sta ad indicare l’arte di indurre il consenso, l’esercizio di condizionamenti, una forma di persuasione, la relazione di potere, uno strumento per raggiungere l’obiettivo.
Sia leader che leadership sembrano tradire un atteggiamento che privilegia l’iniziativa del singolo, il desiderio di primeggiare, la volontà di porsi al di sopra delle masse.
Le elezioni americane sono soltanto un esempio, anche se di stretta attualità perché avranno luogo in novembre, di come la società contemporanea si sia consolidata, attraverso i leader, nella prassi di democrazia rappresentativa. Dalla rivoluzione francese in poi, come precisato nella “Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino”, la sovranità appartiene al popolo che la esercita sia direttamente, sia per mezzo dei suoi rappresentanti. Con il tempo il “sia direttamente” sembra scomparso e sono rimasti solo “i rappresentanti”. A volte scompaiono anche i rappresentanti per cedere il posto a colui che riesce a stabilire il proprio primato, a fornire originalità di idee, ad individuare obiettivi da raggiungere. E parliamo sempre di democrazia!
Come vi suona l’idea che con ogni probabilità, al vertice delle democrazie occidentali, cioè negli USA, ad avere il potere negli ultimi anni e nei prossimi, sono state e saranno sostanzialmente due famiglie, Bush e Clinton? Non è una forma perversa di nostalgia per le care vecchie dinastie? E decidere democraticamente, come si è fatto in Italia, di farsi guidare, semplicemente, dall’uo- mo più ricco del paese, non è una forma infantile di autoconfutazione nostalgica, di ri- pensamento tardivo? Cos’è quest’assur- da forma di degenerazione per cui si ripristina, in modo mascherato, il nemico che si era vinto? (A. Baricco, I barbari).
Ancora una domanda, oltre quelle che si è posto lo scrittore piemontese: ma i totalitarismi non erano un retaggio dei secoli passati?
Lo spettacolo offerto dalla conclusione delle assemblee (in inglese conventions [pronuncia: convenscions] dei due partiti politici americani, democratico e repubblicano, per la designazione dei candidati alla carica di Presidente degli Stati Uniti d’America, attraverso i mezzi di comunicazione, si è svolto sulla scia di alcune parole dominanti, accomunate dalla stessa radice semantica: lead [pronuncia: lid], leader [pronuncia: lider], leadership [pronuncia: liderscip].
Leader, dal verbo lead che significa guidare, condurre, è un sostantivo – come intuibile dal suffisso -er. La lingua italiana preferisce utilizzare questo termine in numerosi e vari contesti. Il vocabolo inglese, infatti, assomma diversi significati, tutti inerenti persone che esercitano una funzione di traino, ammaestramento, competenza accertata rispetto ad altri, nei settori della vita sociale più disparati, dall’arte all’insegnamento, al lavoro, alla politica. Per esempio, il direttore o il primo violino di un’orche- stra sono leader; si utilizza lo stesso vocabolo per indicare la persona che ha dato il via ad un movimento di opinione oppure per l’editoriale di un quotidiano.
Noi italiani facciamo un uso frequente del termine inglese soprattutto perché esso risente meno di ambiguità semantica. Capo, dirigente, guida, esponente, condottiero, se non addirittura duce, risultano sinonimi piuttosto riduttivi, che non esprimono appieno la funzione cui si vuol far riferimento. Lo stesso dicasi per leadership (dove il suffisso -ship [pronuncia: scip] lungi dal significare “nave”, sta ad indicare che il sostantivo è astratto). Per leadership si intende l’azione che un leader svolge, relativamente all’ambito in cui opera. Essa equivale a proporre idee, esercitare influenza al fine di ottenere la modifica di certi comportamenti; in altri termini può definirsi una “relazione” tra il leader ed i suoi seguaci o sostenitori. Vocabolo onnicomprensivo, leadership sta ad indicare l’arte di indurre il consenso, l’esercizio di condizionamenti, una forma di persuasione, la relazione di potere, uno strumento per raggiungere l’obiettivo.
Sia leader che leadership sembrano tradire un atteggiamento che privilegia l’iniziativa del singolo, il desiderio di primeggiare, la volontà di porsi al di sopra delle masse.
Le elezioni americane sono soltanto un esempio, anche se di stretta attualità perché avranno luogo in novembre, di come la società contemporanea si sia consolidata, attraverso i leader, nella prassi di democrazia rappresentativa. Dalla rivoluzione francese in poi, come precisato nella “Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino”, la sovranità appartiene al popolo che la esercita sia direttamente, sia per mezzo dei suoi rappresentanti. Con il tempo il “sia direttamente” sembra scomparso e sono rimasti solo “i rappresentanti”. A volte scompaiono anche i rappresentanti per cedere il posto a colui che riesce a stabilire il proprio primato, a fornire originalità di idee, ad individuare obiettivi da raggiungere. E parliamo sempre di democrazia!
Come vi suona l’idea che con ogni probabilità, al vertice delle democrazie occidentali, cioè negli USA, ad avere il potere negli ultimi anni e nei prossimi, sono state e saranno sostanzialmente due famiglie, Bush e Clinton? Non è una forma perversa di nostalgia per le care vecchie dinastie? E decidere democraticamente, come si è fatto in Italia, di farsi guidare, semplicemente, dall’uo- mo più ricco del paese, non è una forma infantile di autoconfutazione nostalgica, di ri- pensamento tardivo? Cos’è quest’assur- da forma di degenerazione per cui si ripristina, in modo mascherato, il nemico che si era vinto? (A. Baricco, I barbari).
Ancora una domanda, oltre quelle che si è posto lo scrittore piemontese: ma i totalitarismi non erano un retaggio dei secoli passati?
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