impegno per la giustizia
21 Marzo 2010 Share

impegno per la giustizia

 

C’è una costante nel Nuovo Testamento quando si parla di risurrezione: questo evento non riguarda solo Gesù ma ogni credente. Tuttavia ci sono diversi modi di parlare di essa: si va dalle riflessioni sulla fine dei tempi e quindi sulla resurrezione finale (1 Cor 15, ad esempio), fino a considerare la risurrezione un fatto già avvenuto, come si può leggere ad esempio nella lettera ai Colossesi: “Con lui (Gesù) infatti siete stati sepolti insieme nel battesimo, in lui siete anche stati insieme risuscitati per la fede nella potenza di Dio, che lo ha risuscitato da morte” (2,12). Dello stesso tenore è la lettera agli Efesini: “Con lui ci ha anche risuscitati e ci ha fatti sedere nei cieli, in Cristo Gesù” (2,6).

Ma cosa significa concretamente la risurrezione avvenuta, visto che i cristiani non sono ancora morti, come invece lo era Gesù prima di risorgere? L’allusione al battesimo ci fa capire che in quel rito, che ai tempi dei primi cristiani era amministrato solo a persone consapevoli, che avevano fatto un cammino per cambiare vita, il credente faceva un’esperienza di morte e di rinascita, paragonabile alla morte e risurrezione di Gesù. Ovviamente non era una morte biologica, ma un cambiamento interiore paragonabile ad essa, perché da lì iniziava davvero una vita nuova, in quanto si era morti a uno stato di vita precedente e si iniziava una nuova esistenza. È necessario, quindi, chiarire in che cosa consiste tale morte e tale risurrezione. In questo è sempre Paolo che ci aiuta, quando nella lettera ai Romani dice: “Consideratevi morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù. Non regni più dunque il peccato nel vostro corpo mortale, sì da sottomettervi ai suoi desideri; non offrite le vostre membra come strumenti di ingiustizia al peccato, ma offrite voi stessi a Dio come vivi tornati dai morti e le vostre membra come strumenti di giustizia  per Dio” (6,11-13). Lo stesso concetto di offrire se stessi a Dio tornerà più avanti nella lettera: “Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale” (12,1); e prosegue specificando che cosa significa offrire i corpi, che non vuol dire uscire fuori dalla storia, bensì starci in modo diverso dalla mentalità del mondo: “Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto” (12,2). La risurrezione in atto nella vita del cristiano non è né un’esperienza magica, né qualcosa che riguarda semplicemente la propria salvezza, bensì un modo di stare al mondo, ispirandosi al modo di essere di Gesù durante la sua vita, resa, attraverso la risurrezione, forza efficace di trasformazione per chi crede in lui: “Per mezzo del battesimo siamo dunque stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova” (Rm 6,4). Il verbo camminare nella bibbia (sia AT che NT) spesso significa “vivere in base ai comandamenti”, cioè attuare quella volontà di Dio di cui parla Paolo. Credere nella risurrezione, quindi, significa innanzitutto mettersi nella disposizione di coltivare una serie di valori connessi con l’etica biblica incarnata concretamente nella vita terrena di Gesù.

La fede cristiana è tutt’altro che una semplice accettazione di verità espresse in linguaggio mitico, a cui si può accedere rinunciando alla forza della ragione, oppure la contemplazione incantata e inattiva di mondi spirituali; essa è piuttosto la denuncia di un modo di vivere basato sull’egoismo e la sopraffazione (il peccato, l’uomo vecchio) attuata non con le parole, bensì con scelte fattive nella direzione opposta, che è quella del riconoscimento di essere legati gli uni gli altri dalla comune appartenenza all’umanità, nella convinzione che solo facendo proprie le necessità e le aspirazioni altrui rendo un servizio autentico anche a me stesso: “Mortificate quella parte di voi che appartiene alla terra… quella avarizia insaziabile che è idolatria… vi siete infatti spogliati dell’uomo vecchio con le sue azioni e avete rivestito il nuovo… rivestitevi dunque, come eletti di Dio santi e amati, di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, mansuetudine e pazienza… come il Signore vi ha perdonato così fate anche voi. Al di sopra di tutto, poi vi sia l’amore che è il vincolo perfetto” (Col 3,5-14).

La forza della fede nella risurrezione ha permesso ai cristiani dei primi tempi, nonostante tutte le avversità e persecuzioni, di resistere e affermare il loro stile e il loro progetto di umanità in quanto non pensavano di fondare una nuova religione (erano convinti di appartenere già a una religione, quella di Israele) bensì che era necessario fondare una nuova società basata non sulle distinzioni e le classificazioni, come invece affermava la propaganda del tempo che sosteneva un potere (l’impero) basato sullo sfruttamento di pochi potenti sul resto degli uomini, perché in Cristo, lo schiavo crocifisso, Dio aveva accolto in sé ogni uomo, compresi coloro che il pensiero dominante considerava vite di scarto: “Qui non c’è più Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro o Scita, schiavo o libero, ma Cristo è tutto in tutti” (Col 3,11). Per questo fede nella risurrezione e impegno per la giustizia sono due facce della stessa medaglia, anzi sono la stessa cosa. ☺

mike.tartaglia@virgilio.it

 

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