
Una rivolta sociale
La vittoria alle regionali in Emilia Romagna e in Umbria ricorda tanto le nozze con i fichi secchi. Meglio averli che non avere nulla, ma restano pur sempre fichi secchi. Perché questi fichi possano diventare degni di un vero pranzo nuziale è bene leggere con attenzione i fatti profondi che segnano questa nostra epoca.
Trump ha vinto nuovamente negli Stati Uniti, con almeno due aggravanti rispetto alle elezioni precedenti. Il programma è lo stesso del 2016, ma la squadra di governo è il peggio che si possa immaginare; inoltre Trump ha ormai il pieno controllo della Camera e del Senato del Congresso. Il che lascia intuire la spregiudicatezza e la determinazione che il nuovo Presidente avrà nel perseguire i suoi obiettivi: liberismo selvaggio, negazionismo dei cambiamenti climatici, razzismo, imperialismo commerciale. Il tutto mescolato con i fanatismi tecnologici di Elon Musk.
La seconda aggravante è la crisi profonda del campo democratico, una crisi politica e questa volta anche sociale. Trump prende 9 milioni di voti in più rispetto alle elezioni del 2016, ed è ampiamente primo nel voto popolare cosa che non accadeva dal 2004 per un esponente del partito repubblicano eletto.
Quella dei democratici è una rotta sociale, quella di Trump è una vittoria popolare. Ma ciò che rende particolarmente pericolosa l’elezione del nuovo presidente degli Stati Uniti è la deriva del continente europeo, la sua inconsistenza etica e politica, la sua decadenza economica e sociale. Il rischio reale è che gli europei non solo non siano una diga democratica alla strategia della coppia Trump-Musk, ma finiscano per essere anch’ essi parte di una generale crisi della democrazia e protagonisti di nuove avventure autocratiche ed autoritarie.
Non stiamo parlando di un futuro possibile, ma dell’oggi. Non solo l’Italia e l’Austria, ma ciò che può accadere nel prossimo futuro in Germania e in Francia, è in movimento nella direzione della destra.
Come gattini ciechi continuiamo a non vedere che siamo ormai al centro di una crisi non occasionale, ma strutturale della democrazia. Il sistema democratico è nelle mani di centri di potere economico-finanziari, ha perso di significato, perché svuotato dai processi di globalizzazione e perché non rappresenta più né per il popolo, né per i cosiddetti “ceti medi” la speranza e la possibilità di un futuro migliore. L’indifferenza dei cittadini europei per le guerre di questi nostri tempi, per il conflitto russo-ucraino entro la stessa Europa e per la strage del popolo palestinese proprio alle porte di casa nostra è la manifestazione più drammatica della miseria della coscienza democratica di questa nostra Europa. Che in Germania la socialdemocrazia si stia lacerando sul suo possibile leader, mentre avanza un partito, l’Alernative fur Deutschland, che guarda con silenzio complice al passato nazista è il segno di una decadenza grave della sinistra riformista tedesca. Che in Francia il presidente Macron abbia fatto il nuovo governo con la complicità della estrema destra è la evidente dimostrazione della impotenza della sinistra radicale e socialista francese. E che in Italia nel Partito Democratico si discuta con passione se recuperare “il centro” e quindi quell’imbonitore di Matteo Renzi, mostra quanto serio sia il decadimento politico-culturale di ciò che resta della sinistra italiana.
La destra sovranista, populista, opportunista, avventurista avanza in tutto l’Occidente, perché raccoglie la protesta di quel grande mondo sociale fatto di proletari, operai e ceti medi che il capitalismo globale ha buttato nella marginalità, nella precarietà e nella povertà. E anche perché le classi dirigenti democratiche e di sinistra si sono confuse e identificate con quel potere, con quelle classi dirigenti che poco o nulla hanno fatto per ostacolare la nuova frontiera del capitalismo globale. Evito per carità di patria di fare il lungo elenco di primi ministri, segretari e autorevolissimi rappresentanti di partito che negli Stati Uniti come in Europa si sono seduti al tavolo del nuovo capitalismo. Ma il problema non è stato e non è solo il trasformismo e l’opportunismo di questo o quel dirigente, quanto il vuoto di strategia di fronte all’onda anomala delle trasformazioni capitalistiche che ha cancellato diritti nella società e nel mondo del lavoro, che mai come in passato ha concentrato potere e ricchezze nelle mani di pochi. Un potere che non è solo comando, ma che, grazie alla straordinaria potenza delle tecnologie, ha la capacità di orientare e manipolare il senso comune. Abbiamo così un nuovo impasto sociale nel quale proprietari e cittadini siedono alla stessa mensa e nel quale le vittime votano per i loro stessi carnefici. Se non si va all’origine di questo stato di cose non eviteremo il peggio.
È questa scarsa consapevolezza e volontà che porta il Partito Democratico a guardare con enfatica soddisfazione al 51% in Umbria della nuova presidente della regione. È giusto brindare alla sconfitta della destra, a condizione che questo non sia l’alibi per non mettere mano al problema dei problemi che è rappresentato dal 46 – 47% di votanti nelle elezioni regionali liguri, emiliane e ancor prima in quelle molisane.
Il segretario della CGIL ha evocato la necessità di “una rivolta sociale”, è un grido tardivo, ma ancora di grande valore. Ora è importante che la politica, la sinistra non facciano orecchie da mercante.☺