Vaneggiamenti?
23 Gennaio 2018
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Vaneggiamenti?

(foto: Termoli, confronto con il sindacato e la chiesa sul documento “Un progetto per il Molise”)

 

Oggi è Santa Lucia. Per me è un giorno bello e importante: perché è il mio onomastico e quello delle mie amate nonna e zia, che ricorrono quanto mai vive alla mia memoria in questa data; perché si celebra la Santa protettrice degli occhi e i miei occhi hanno bisogno di protezione; perché è il giorno tra i meno luminosi dell’anno, eppure evoca la luce e la racchiude in potenza, quasi la serbasse come promessa. Quando ero piccola ricevevo a Santa Lucia un regalo dalla mia madrina, che, da buona mantovana, si atteneva alla tradizione secondo la quale Santa Lucia e non Babbo Natale porta doni ai bambini; ora, se familiari, amici, conoscenti si ricordano di farmi gli auguri, mi sento felice, assai più che per il compleanno, perché mi piace riconoscermi in questo giorno auspice di luce per quanto intimo e raccolto fin dall’oscurità che lo avvolge.

Santa Lucia, per tutti quelli che hanno gli occhi e un cuore che fa male agli occhi, cantava De Gregori con la suggestione indefinita ma puntuale delle sue immagini poetiche. È così, almeno per me: Santa Lucia è un giorno di riflessione sentimentale, di ripiegamento interiore, di bilancio, anche doloroso, e poi, però, di proiezione e di speranza. Una specie di capodanno, meno glamour e chiassoso di quello da calendario e tanto più ponderato, sensato, vero.

I miei personali desideri per l’anno a venire sono comunissimi: serenità, salute, armonia con sprazzi di felicità, pure fatica e lavoro duro, perché io credo nel leopardiano piacer figlio d’affanno e so bene che la gioia sincera la si ottiene a prezzo di stenti e difficoltà di sorta.

Simili ai miei saranno per certo i desideri di milioni di Italiani, ed è giusto che anche di qui, dalla condivisione delle aspirazioni, si misuri l’appartenenza politica intesa come appartenenza ad una comunità-Stato che in tanto vive in quanto ambisce al bene comune.

Come cittadina italiana desidererei una conduzione politica onesta, i cui attori, cioè, effettivamente rispondano dell’onore di essere stati eletti rappresentanti del popolo, ne interpretino i bisogni reali, ad essi si adoperino di far fronte: le beghe di circostanza, la retorica dei tweet al sapor di allegre comari di Windsor, la caccia al primo piano costi quel che costi, la dimensione della politica vieppiù salottiera, vieppiù simile ad uno spasso mondano per pochi privilegiati, hanno stancato e deluso, come me, moltissimi italiani. Ecco, mi piacerebbe una politica che rinunci al privilegio, perché specie chi governa, o meglio, chi governa prima che chi è governato non deve essere privus legis, anzi deve sottoporsi al rigore della legge, innanzitutto a quella dell’onestà.

Sono tante le questioni aperte ed insolute alle quali i nostri governanti dovrebbero sforzarsi di porre rimedio, loro che a tal fine sono stati onorati di un titolo politico. Mi viene in mente il lavoro, una questione dirimente, perché è questione di democrazia e di giustizia: mi augurerei che i nostri governanti prendessero in carico il problema del lavoro come cosa loro, perché loro lavorano anche per chi e in nome di chi non lavora o lavora in condizioni inaccettabili; vorrei che del lavoro non facessero occasione di spot alla qualunque, che vestissero a mo’ di tirocinio i panni di tutti i lavoratori male occupati e inoccupati, per sentire che freddo fa quando si è scoraggiati o delusi o disperati per via del lavoro; vorrei che, fino a soffrirne, capissero che quando si perde il lavoro si perde l’anima insieme alla dignità; vorrei che la smettessero di alternare incoerentemente, grottescamente, inni alla meritocrazia e pratiche clientelari a suon di distribuzioni di bonus e contentini, quali gli imperatori romani in cerca di consenso; vorrei che nel tempo del loro lavoro, nel corso delle legislature una via la progettassero e realizzassero in modo serio, sistematico, coerente a proposito di lavoro, riuscendo a coniugare le necessità del welfare a quelle dell’efficienza e del merito. Non mi pare impossibile per un esperto, per un addetto, per un prescelto a tal fine.

Accanto a quella del lavoro la questione della scuola è, a mio avviso, particolarmente urgente, perché, se nel lavoro si realizza la dignità personale, è a scuola che alla dignità ci si educa: io vorrei che i miei governanti ripensassero alla scuola, che si adoperassero per una scuola che sia fucina di cultura e di consapevolezza, una scuola di studio serio, in cui attraverso lo studio si acceda alla costruzione di menti capaci, solide, libere, aperte, critiche; vorrei che i nostri governanti la smettessero di impoverirci con proposte di scuola assai simili nei modelli a quelle degli ipermercati, con tanto di propaganda e sconti al miglior offerente; vorrei che la scuola non fosse supina all’ultima moda didattica, allo psicologismo di facile presa e poca consistenza; vorrei che fosse una scuola di fatica per il sapere, perché il sapere è piacere, ma costa fatica ed è esattamente questo il prezzo alto della democrazia a confronto della gratuità demagogica.

Sembreranno le mie, più che speranze, fantasticherie vaghe, vaneggiamenti inconcludenti, eppure sono tantissimi i matti che come me hanno un mondo, questo mondo, nel cuore e non riescono a dirlo con le parole: magari avrò provato a dar loro un filo di voce.☺

 

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