Oggi più che mai vivere significa viaggiare e viaggiare è una situazione concreta per masse sempre più vaste di persone. Ma nelle vertiginose trasformazioni del vivere il ritorno a se stessi appare sempre più incerto (Claudio Magris).
Partire, andar via, lasciare un luogo porta sempre con sé una carica di sfida. Lo documenta anche l’etimologia che accomuna i vocaboli percorso ed esperienza; la radice *Per è in entrambi, interpretata come "tentare", "mettere alla prova", "rischiare". I significati secondari si riferiscono al moto: "attraversare uno spazio", "raggiungere una meta", "andare fuori". Il termine experientia, scomponibile nel concetto "provenire da e andare attraverso" coincide con percorso e con esso si identifica.
Nell'antichità il viaggio era lo spostamento dell'eroe, costretto dal Fato a cimenti e prove. Viaggio significava, per l'uomo antico, fatica, sacrificio, patimento, una serie di insidie e pericoli imposti da forze superiori; grazie ad essi egli conquistava la possibilità di estendere il proprio io oltre la morte, poiché le sofferenze generavano l'eroe e rendevano le sue azioni esemplari agli occhi della comunità, garantendogli fama, gloria e rafforzamento della posizione sociale. Nel suo percorso, tuttavia, il protagonista subiva un effetto di riduzione di se stesso: spogliandosi di tutti gli appetiti superflui, delle ambizioni vane, consumando le energie in lotte impari, perdendo i compagni, egli scopriva la sua reale identità e poteva far ritorno in patria dopo avere conquistato la saggezza, ossia l'esperienza. Al logoramento fisico non corrispondeva, quindi, il logoramento mentale, anzi l'identità del viaggiatore si impoveriva dei suoi tratti essenziali per rinascere più forte, più valoroso e più astuto dei comuni mortali che lo sfidavano. Ulisse/Odisseo è il rappresentante letterario per antonomasia di questa categoria di viaggiatori. Il suo "è un lungo viaggio verso casa”. Si, perché oltre che cimento e necessità, il viaggio nell’antichità era anche e soprattutto nostos, ritorno. Sembrava compiersi cioè su una linea circolare in cui punto di partenza e punto di ritorno coincidevano. Se durante il percorso l’identità dell’eroe si rafforzava e si creava, arricchendosi nel senso della saggezza, della fama, della gloria, tuttavia egli sembrava desiderare solo il ritorno a casa.
Rispetto all'eroe antico, il viaggiatore moderno non intraprende un viaggio per sottoporsi al volere di forze ingovernabili, ma soprattutto per distogliersi dai condizionamenti del suo ambiente; non parte più solo alla ricerca della propria identità e dell'esperienza autentica, ma soprattutto e anche per rompere con la quotidianità. Così dei viaggi odierni Umberto Galimberti: "Quegli spostamenti estivi che impropriamente chiamiamo viaggi ma che non hanno nulla del viaggio, perché non ci offrono davvero l'esperienza dello spaesamento che, facendoci uscire dall'abituale, e quindi dalle nostre abitudini, ci espongono all'insolito, dove è possibile scoprire come un diverso cielo si stende sulla terra, come la notte dispiega nel cielo costellazioni ignote, come una diversa religione ordina le speranze, come un'altra tradizione rispetto alla nostra fa popolo, come la solitudine fa deserto, l'iscrizione fa storia, il fiume fa ansa, la terra fa solco, e i nostri bagagli fanno ancora Occidente".
Eppure qualsiasi turista affermerebbe che viaggia per fare un'esperienza "di differenza, e di novità perché le gioie di ciò che è familiare si logorano e cessano di attrarre. I turisti vogliono immergersi nell'elemento strano e bizzarro… alla condizione, però, che non si applichi e che possa essere scrollato via non appena lo si desideri" (Zygmunt Bauman).
Auguriamoci allora che anche il più banale dei viaggi possa riorientare profondamente l'esperienza personale, decongelare l'identità, renderla mobile, itinerante, problematica.
Per predisporci ad accogliere le novità, le cose sconosciute, inattese, quelle a cui non siamo abituati, nella convinzione che le nostre abitudini si nutrono dell’influenza che ricevono dalle altre, così come la nostra cultura dipende dal contatto e dal sistematico confronto con le altre culture. ☺
Oggi più che mai vivere significa viaggiare e viaggiare è una situazione concreta per masse sempre più vaste di persone. Ma nelle vertiginose trasformazioni del vivere il ritorno a se stessi appare sempre più incerto (Claudio Magris).
Partire, andar via, lasciare un luogo porta sempre con sé una carica di sfida. Lo documenta anche l’etimologia che accomuna i vocaboli percorso ed esperienza; la radice *Per è in entrambi, interpretata come "tentare", "mettere alla prova", "rischiare". I significati secondari si riferiscono al moto: "attraversare uno spazio", "raggiungere una meta", "andare fuori". Il termine experientia, scomponibile nel concetto "provenire da e andare attraverso" coincide con percorso e con esso si identifica.
Nell'antichità il viaggio era lo spostamento dell'eroe, costretto dal Fato a cimenti e prove. Viaggio significava, per l'uomo antico, fatica, sacrificio, patimento, una serie di insidie e pericoli imposti da forze superiori; grazie ad essi egli conquistava la possibilità di estendere il proprio io oltre la morte, poiché le sofferenze generavano l'eroe e rendevano le sue azioni esemplari agli occhi della comunità, garantendogli fama, gloria e rafforzamento della posizione sociale. Nel suo percorso, tuttavia, il protagonista subiva un effetto di riduzione di se stesso: spogliandosi di tutti gli appetiti superflui, delle ambizioni vane, consumando le energie in lotte impari, perdendo i compagni, egli scopriva la sua reale identità e poteva far ritorno in patria dopo avere conquistato la saggezza, ossia l'esperienza. Al logoramento fisico non corrispondeva, quindi, il logoramento mentale, anzi l'identità del viaggiatore si impoveriva dei suoi tratti essenziali per rinascere più forte, più valoroso e più astuto dei comuni mortali che lo sfidavano. Ulisse/Odisseo è il rappresentante letterario per antonomasia di questa categoria di viaggiatori. Il suo "è un lungo viaggio verso casa”. Si, perché oltre che cimento e necessità, il viaggio nell’antichità era anche e soprattutto nostos, ritorno. Sembrava compiersi cioè su una linea circolare in cui punto di partenza e punto di ritorno coincidevano. Se durante il percorso l’identità dell’eroe si rafforzava e si creava, arricchendosi nel senso della saggezza, della fama, della gloria, tuttavia egli sembrava desiderare solo il ritorno a casa.
Rispetto all'eroe antico, il viaggiatore moderno non intraprende un viaggio per sottoporsi al volere di forze ingovernabili, ma soprattutto per distogliersi dai condizionamenti del suo ambiente; non parte più solo alla ricerca della propria identità e dell'esperienza autentica, ma soprattutto e anche per rompere con la quotidianità. Così dei viaggi odierni Umberto Galimberti: "Quegli spostamenti estivi che impropriamente chiamiamo viaggi ma che non hanno nulla del viaggio, perché non ci offrono davvero l'esperienza dello spaesamento che, facendoci uscire dall'abituale, e quindi dalle nostre abitudini, ci espongono all'insolito, dove è possibile scoprire come un diverso cielo si stende sulla terra, come la notte dispiega nel cielo costellazioni ignote, come una diversa religione ordina le speranze, come un'altra tradizione rispetto alla nostra fa popolo, come la solitudine fa deserto, l'iscrizione fa storia, il fiume fa ansa, la terra fa solco, e i nostri bagagli fanno ancora Occidente".
Eppure qualsiasi turista affermerebbe che viaggia per fare un'esperienza "di differenza, e di novità perché le gioie di ciò che è familiare si logorano e cessano di attrarre. I turisti vogliono immergersi nell'elemento strano e bizzarro… alla condizione, però, che non si applichi e che possa essere scrollato via non appena lo si desideri" (Zygmunt Bauman).
Auguriamoci allora che anche il più banale dei viaggi possa riorientare profondamente l'esperienza personale, decongelare l'identità, renderla mobile, itinerante, problematica.
Per predisporci ad accogliere le novità, le cose sconosciute, inattese, quelle a cui non siamo abituati, nella convinzione che le nostre abitudini si nutrono dell’influenza che ricevono dalle altre, così come la nostra cultura dipende dal contatto e dal sistematico confronto con le altre culture. ☺
Oggi più che mai vivere significa viaggiare e viaggiare è una situazione concreta per masse sempre più vaste di persone. Ma nelle vertiginose trasformazioni del vivere il ritorno a se stessi appare sempre più incerto (Claudio Magris).
Partire, andar via, lasciare un luogo porta sempre con sé una carica di sfida. Lo documenta anche l’etimologia che accomuna i vocaboli percorso ed esperienza; la radice *Per è in entrambi, interpretata come "tentare", "mettere alla prova", "rischiare". I significati secondari si riferiscono al moto: "attraversare uno spazio", "raggiungere una meta", "andare fuori". Il termine experientia, scomponibile nel concetto "provenire da e andare attraverso" coincide con percorso e con esso si identifica.
Nell'antichità il viaggio era lo spostamento dell'eroe, costretto dal Fato a cimenti e prove. Viaggio significava, per l'uomo antico, fatica, sacrificio, patimento, una serie di insidie e pericoli imposti da forze superiori; grazie ad essi egli conquistava la possibilità di estendere il proprio io oltre la morte, poiché le sofferenze generavano l'eroe e rendevano le sue azioni esemplari agli occhi della comunità, garantendogli fama, gloria e rafforzamento della posizione sociale. Nel suo percorso, tuttavia, il protagonista subiva un effetto di riduzione di se stesso: spogliandosi di tutti gli appetiti superflui, delle ambizioni vane, consumando le energie in lotte impari, perdendo i compagni, egli scopriva la sua reale identità e poteva far ritorno in patria dopo avere conquistato la saggezza, ossia l'esperienza. Al logoramento fisico non corrispondeva, quindi, il logoramento mentale, anzi l'identità del viaggiatore si impoveriva dei suoi tratti essenziali per rinascere più forte, più valoroso e più astuto dei comuni mortali che lo sfidavano. Ulisse/Odisseo è il rappresentante letterario per antonomasia di questa categoria di viaggiatori. Il suo "è un lungo viaggio verso casa”. Si, perché oltre che cimento e necessità, il viaggio nell’antichità era anche e soprattutto nostos, ritorno. Sembrava compiersi cioè su una linea circolare in cui punto di partenza e punto di ritorno coincidevano. Se durante il percorso l’identità dell’eroe si rafforzava e si creava, arricchendosi nel senso della saggezza, della fama, della gloria, tuttavia egli sembrava desiderare solo il ritorno a casa.
Rispetto all'eroe antico, il viaggiatore moderno non intraprende un viaggio per sottoporsi al volere di forze ingovernabili, ma soprattutto per distogliersi dai condizionamenti del suo ambiente; non parte più solo alla ricerca della propria identità e dell'esperienza autentica, ma soprattutto e anche per rompere con la quotidianità. Così dei viaggi odierni Umberto Galimberti: "Quegli spostamenti estivi che impropriamente chiamiamo viaggi ma che non hanno nulla del viaggio, perché non ci offrono davvero l'esperienza dello spaesamento che, facendoci uscire dall'abituale, e quindi dalle nostre abitudini, ci espongono all'insolito, dove è possibile scoprire come un diverso cielo si stende sulla terra, come la notte dispiega nel cielo costellazioni ignote, come una diversa religione ordina le speranze, come un'altra tradizione rispetto alla nostra fa popolo, come la solitudine fa deserto, l'iscrizione fa storia, il fiume fa ansa, la terra fa solco, e i nostri bagagli fanno ancora Occidente".
Eppure qualsiasi turista affermerebbe che viaggia per fare un'esperienza "di differenza, e di novità perché le gioie di ciò che è familiare si logorano e cessano di attrarre. I turisti vogliono immergersi nell'elemento strano e bizzarro… alla condizione, però, che non si applichi e che possa essere scrollato via non appena lo si desideri" (Zygmunt Bauman).
Auguriamoci allora che anche il più banale dei viaggi possa riorientare profondamente l'esperienza personale, decongelare l'identità, renderla mobile, itinerante, problematica.
Per predisporci ad accogliere le novità, le cose sconosciute, inattese, quelle a cui non siamo abituati, nella convinzione che le nostre abitudini si nutrono dell’influenza che ricevono dalle altre, così come la nostra cultura dipende dal contatto e dal sistematico confronto con le altre culture. ☺
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