È largamente diffusa l’opinione che la violenza alle donne interessi prevalentemente strati sociali emarginati, soggetti patologici, famiglie multiproblematiche. In realtà è un fenomeno che appartiene più alla normalità che alla patologia e riguarda uomini e donne di tutti gli strati sociali, esiste in tutti i paesi, attraversa tutte le culture, le classi, le etnie, i livelli di istruzione, di reddito e tutte le fasce di età. Nella nostra cultura la famiglia viene spesso identificata come luogo di protezione dove le persone cercano amore, accoglienza, sicurezza e riparo. Ma, come mostrano le evidenze, per molte donne è invece un luogo di rischio, dove si mette in pericolo la vita. Dai dati rilevati è il luogo dove più frequentemente viene agita la violenza, di solito ad opera di uomini che con le donne hanno, o hanno avuto un rapporto di fiducia e di intimità, ma anche di potere. Quasi sempre i comportamenti violenti sono commessi da una persona intima della donna, il partner-convivente, e da altri membri del gruppo familiare (padri, fidanzati, ex-partner, fratelli, figli). La violenza di genere si presenta generalmente come una combinazione di violenza fisica, sessuale, psicologica ed economica, con episodi che si ripetono nel tempo e tendono ad assumere forme di gravità sempre maggiori, immettendosi nel solco del “ciclo della violenza”, studiato attentamente soprattutto in Canada e negli USA.
Nonostante tutto il lavoro svolto in questo trentennio, sul piano pubblico, la violenza maggiormente “evidente” è la violenza sessuale agita da estranei, mentre per le violenze intrafamiliari è solo l’omicidio quello che conquista rilievo rispetto ai media. Restano nell’area grigia della non evidenza pubblica tutte quelle forme di violenza agite all’interno della famiglia, che si presentano con le caratteristiche di un insieme di comportamenti che tendono a stabilire e a mantenere il controllo sulla donna e a volte sulle/i figlie/i. Si tratta di vere e proprie strategie che mirano ad esercitare potere sull’altra persona, ricorrendo a vari tipi di comportamento: distruggere i suoi oggetti, sminuire o denigrare i suoi comportamenti e il suo modo di essere, mettere in atto scenate di gelosia immotivate, minacciare di violenza, attuare forme di controllo sui movimenti e sul denaro, imporre dei limiti che portano all’isolamento sociale. Il risultato che si determina è quello di creare un clima costante di tensione, paura e minaccia, in cui l’esercizio della violenza fisica o sessuale può avvenire anche in modo sporadico e tuttavia risultare estremamente efficace poiché costantemente presente.
Ciò che viene denominato come ciclo della violenza, è la rappresentazione di un circuito che si sviluppa nel corso del tempo in modo graduale, a partire da violenze verbali o atteggiamenti svalorizzanti. Gli episodi violenti si scatenano spesso per motivi banali e sono seguiti da scuse e pentimento da parte del partner/aggressore, alternando così la crisi violenta con la cosiddetta “luna di miele”, periodo in cui il rapporto, apparentemente più saldo, riprende come se niente fosse accaduto. La donna, nella speranza che il domani sarà diverso, che il pentimento sortisca un cambiamento strutturale, si trova a minimizzare le tensioni e a nascondere all’esterno e a se stessa il proprio disagio e la pericolosità della situazione.
Subire violenza è un’e- sperienza traumatica, che produce effetti diversi a seconda del tipo di violenza subita e della persona che ne è vittima. Le conseguenze possono essere molto gravi ed è necessario considerare che la degenerazione di alcune situazioni dipende spesso dal tipo di risposta che una donna riceve nel momento in cui chiede aiuto all’e- sterno, dal sostegno o dal mancato sostegno che ha trovato nei familiari non abusanti, nelle amiche o nei professionisti.
Il percorso di ricerca di aiuto può essere lungo e difficile. Ogni donna è diversa, ciascuna ha una propria soglia di tolleranza della violenza e si trova ad agire in contesti differenti. Alcune pongono fine alla relazione dopo il primo episodio, altre cercano per mesi e per anni di fare in modo che “lui cambi” e si decidono a lasciare il partner violento soltanto quando ogni strada è stata percorsa. Il fatto stesso di ammettere che c’è un problema e che non può risolverlo da sola produce sofferenza. Inizialmente la donna, mantenendo la relazione con il partner, cerca in tutti i modi di fermare la violenza, senza ricorrere all’aiuto esterno, facendo leva sulle sue risorse personali. Successivamente cerca l’appoggio di familiari e parenti e, infine, nel caso in cui non si sia verificato alcun cambiamento, ricorre a soggetti istituzionali come Servizi sociali e Forze dell’Ordine.☺
È largamente diffusa l’opinione che la violenza alle donne interessi prevalentemente strati sociali emarginati, soggetti patologici, famiglie multiproblematiche. In realtà è un fenomeno che appartiene più alla normalità che alla patologia e riguarda uomini e donne di tutti gli strati sociali, esiste in tutti i paesi, attraversa tutte le culture, le classi, le etnie, i livelli di istruzione, di reddito e tutte le fasce di età. Nella nostra cultura la famiglia viene spesso identificata come luogo di protezione dove le persone cercano amore, accoglienza, sicurezza e riparo. Ma, come mostrano le evidenze, per molte donne è invece un luogo di rischio, dove si mette in pericolo la vita. Dai dati rilevati è il luogo dove più frequentemente viene agita la violenza, di solito ad opera di uomini che con le donne hanno, o hanno avuto un rapporto di fiducia e di intimità, ma anche di potere. Quasi sempre i comportamenti violenti sono commessi da una persona intima della donna, il partner-convivente, e da altri membri del gruppo familiare (padri, fidanzati, ex-partner, fratelli, figli). La violenza di genere si presenta generalmente come una combinazione di violenza fisica, sessuale, psicologica ed economica, con episodi che si ripetono nel tempo e tendono ad assumere forme di gravità sempre maggiori, immettendosi nel solco del “ciclo della violenza”, studiato attentamente soprattutto in Canada e negli USA.
Nonostante tutto il lavoro svolto in questo trentennio, sul piano pubblico, la violenza maggiormente “evidente” è la violenza sessuale agita da estranei, mentre per le violenze intrafamiliari è solo l’omicidio quello che conquista rilievo rispetto ai media. Restano nell’area grigia della non evidenza pubblica tutte quelle forme di violenza agite all’interno della famiglia, che si presentano con le caratteristiche di un insieme di comportamenti che tendono a stabilire e a mantenere il controllo sulla donna e a volte sulle/i figlie/i. Si tratta di vere e proprie strategie che mirano ad esercitare potere sull’altra persona, ricorrendo a vari tipi di comportamento: distruggere i suoi oggetti, sminuire o denigrare i suoi comportamenti e il suo modo di essere, mettere in atto scenate di gelosia immotivate, minacciare di violenza, attuare forme di controllo sui movimenti e sul denaro, imporre dei limiti che portano all’isolamento sociale. Il risultato che si determina è quello di creare un clima costante di tensione, paura e minaccia, in cui l’esercizio della violenza fisica o sessuale può avvenire anche in modo sporadico e tuttavia risultare estremamente efficace poiché costantemente presente.
Ciò che viene denominato come ciclo della violenza, è la rappresentazione di un circuito che si sviluppa nel corso del tempo in modo graduale, a partire da violenze verbali o atteggiamenti svalorizzanti. Gli episodi violenti si scatenano spesso per motivi banali e sono seguiti da scuse e pentimento da parte del partner/aggressore, alternando così la crisi violenta con la cosiddetta “luna di miele”, periodo in cui il rapporto, apparentemente più saldo, riprende come se niente fosse accaduto. La donna, nella speranza che il domani sarà diverso, che il pentimento sortisca un cambiamento strutturale, si trova a minimizzare le tensioni e a nascondere all’esterno e a se stessa il proprio disagio e la pericolosità della situazione.
Subire violenza è un’e- sperienza traumatica, che produce effetti diversi a seconda del tipo di violenza subita e della persona che ne è vittima. Le conseguenze possono essere molto gravi ed è necessario considerare che la degenerazione di alcune situazioni dipende spesso dal tipo di risposta che una donna riceve nel momento in cui chiede aiuto all’e- sterno, dal sostegno o dal mancato sostegno che ha trovato nei familiari non abusanti, nelle amiche o nei professionisti.
Il percorso di ricerca di aiuto può essere lungo e difficile. Ogni donna è diversa, ciascuna ha una propria soglia di tolleranza della violenza e si trova ad agire in contesti differenti. Alcune pongono fine alla relazione dopo il primo episodio, altre cercano per mesi e per anni di fare in modo che “lui cambi” e si decidono a lasciare il partner violento soltanto quando ogni strada è stata percorsa. Il fatto stesso di ammettere che c’è un problema e che non può risolverlo da sola produce sofferenza. Inizialmente la donna, mantenendo la relazione con il partner, cerca in tutti i modi di fermare la violenza, senza ricorrere all’aiuto esterno, facendo leva sulle sue risorse personali. Successivamente cerca l’appoggio di familiari e parenti e, infine, nel caso in cui non si sia verificato alcun cambiamento, ricorre a soggetti istituzionali come Servizi sociali e Forze dell’Ordine.☺
È largamente diffusa l’opinione che la violenza alle donne interessi prevalentemente strati sociali emarginati, soggetti patologici, famiglie multiproblematiche. In realtà è un fenomeno che appartiene più alla normalità che alla patologia e riguarda uomini e donne di tutti gli strati sociali, esiste in tutti i paesi, attraversa tutte le culture, le classi, le etnie, i livelli di istruzione, di reddito e tutte le fasce di età. Nella nostra cultura la famiglia viene spesso identificata come luogo di protezione dove le persone cercano amore, accoglienza, sicurezza e riparo. Ma, come mostrano le evidenze, per molte donne è invece un luogo di rischio, dove si mette in pericolo la vita. Dai dati rilevati è il luogo dove più frequentemente viene agita la violenza, di solito ad opera di uomini che con le donne hanno, o hanno avuto un rapporto di fiducia e di intimità, ma anche di potere. Quasi sempre i comportamenti violenti sono commessi da una persona intima della donna, il partner-convivente, e da altri membri del gruppo familiare (padri, fidanzati, ex-partner, fratelli, figli). La violenza di genere si presenta generalmente come una combinazione di violenza fisica, sessuale, psicologica ed economica, con episodi che si ripetono nel tempo e tendono ad assumere forme di gravità sempre maggiori, immettendosi nel solco del “ciclo della violenza”, studiato attentamente soprattutto in Canada e negli USA.
Nonostante tutto il lavoro svolto in questo trentennio, sul piano pubblico, la violenza maggiormente “evidente” è la violenza sessuale agita da estranei, mentre per le violenze intrafamiliari è solo l’omicidio quello che conquista rilievo rispetto ai media. Restano nell’area grigia della non evidenza pubblica tutte quelle forme di violenza agite all’interno della famiglia, che si presentano con le caratteristiche di un insieme di comportamenti che tendono a stabilire e a mantenere il controllo sulla donna e a volte sulle/i figlie/i. Si tratta di vere e proprie strategie che mirano ad esercitare potere sull’altra persona, ricorrendo a vari tipi di comportamento: distruggere i suoi oggetti, sminuire o denigrare i suoi comportamenti e il suo modo di essere, mettere in atto scenate di gelosia immotivate, minacciare di violenza, attuare forme di controllo sui movimenti e sul denaro, imporre dei limiti che portano all’isolamento sociale. Il risultato che si determina è quello di creare un clima costante di tensione, paura e minaccia, in cui l’esercizio della violenza fisica o sessuale può avvenire anche in modo sporadico e tuttavia risultare estremamente efficace poiché costantemente presente.
Ciò che viene denominato come ciclo della violenza, è la rappresentazione di un circuito che si sviluppa nel corso del tempo in modo graduale, a partire da violenze verbali o atteggiamenti svalorizzanti. Gli episodi violenti si scatenano spesso per motivi banali e sono seguiti da scuse e pentimento da parte del partner/aggressore, alternando così la crisi violenta con la cosiddetta “luna di miele”, periodo in cui il rapporto, apparentemente più saldo, riprende come se niente fosse accaduto. La donna, nella speranza che il domani sarà diverso, che il pentimento sortisca un cambiamento strutturale, si trova a minimizzare le tensioni e a nascondere all’esterno e a se stessa il proprio disagio e la pericolosità della situazione.
Subire violenza è un’e- sperienza traumatica, che produce effetti diversi a seconda del tipo di violenza subita e della persona che ne è vittima. Le conseguenze possono essere molto gravi ed è necessario considerare che la degenerazione di alcune situazioni dipende spesso dal tipo di risposta che una donna riceve nel momento in cui chiede aiuto all’e- sterno, dal sostegno o dal mancato sostegno che ha trovato nei familiari non abusanti, nelle amiche o nei professionisti.
Il percorso di ricerca di aiuto può essere lungo e difficile. Ogni donna è diversa, ciascuna ha una propria soglia di tolleranza della violenza e si trova ad agire in contesti differenti. Alcune pongono fine alla relazione dopo il primo episodio, altre cercano per mesi e per anni di fare in modo che “lui cambi” e si decidono a lasciare il partner violento soltanto quando ogni strada è stata percorsa. Il fatto stesso di ammettere che c’è un problema e che non può risolverlo da sola produce sofferenza. Inizialmente la donna, mantenendo la relazione con il partner, cerca in tutti i modi di fermare la violenza, senza ricorrere all’aiuto esterno, facendo leva sulle sue risorse personali. Successivamente cerca l’appoggio di familiari e parenti e, infine, nel caso in cui non si sia verificato alcun cambiamento, ricorre a soggetti istituzionali come Servizi sociali e Forze dell’Ordine.☺
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