vittima designata
14 Aprile 2010 Share

vittima designata

 

Qualcuno ne parla in termini di malattia: “L’usura è come quelle gravi malattie ritenute incurabili”. Guardare all’usura come ad una malattia, per quanto possa apparire estremo, fornisce intanto degli elementi per “virare” il modo consueto di guardare questo reato. Cambia anche la prospettiva vittimo-criminolgica: come tutte le vittime reali (non fortuite, né accidentali) di un crimine, pare che anche l’usurato abbia determinate caratteristiche predisponenti per diventare, suo malgrado, una vittima quasi designata; l’usurato non è più un soggetto che “per sventura” è caduto nella rete dell’usura, non più vittima passiva ma parte attiva, la cui storia e caratteristiche individuali, sociali e relazionali, vengono chiamati in causa nel gioco dell’interazione usuraio-usurato.

È un rapporto molto particolare e complesso quello che unisce gli attori della vicenda: nella fase iniziale è la vittima che volontariamente si rivolge al carnefice, è lei a cercarlo, a chiamarlo, a chiedergli un appuntamento. L’usuraio paradossalmente è immaginato come una persona affidabile, in grado di risolvere dei problemi. L’usurato, nell’evolversi della dinamica criminale, finisce spesso per vedere “aggredito” il proprio sistema familiare, alimentando sentimenti di vergogna e di colpa. D’altro canto, la stessa vittima è percepita socialmente come colui che ha “sbagliato”, suscitando rabbia, disprezzo, indifferenza agli occhi della società, irrigidendo un meccanismo perverso di colpevolizzazione che non aiuta il processo di responsabilizzazione, inibendo la “ribel- lione” e la denuncia. Il punto di partenza di tale percorso perverso è il bisogno di denaro, non tanto per motivi legati alla sopravvivenza connessi alla carenza iniziale di base dei mezzi di sostentamento, quanto piuttosto per quelli che in psicologia vengono definiti “bisogni secondari”, la cui soddisfazione passa tramite il denaro in qualità di bene strumentale. A queste richieste il sistema risponde generalmente in maniera manipolatrice esaltando i bisogni di consumo ed orientando il cittadino consumatore verso bisogni indotti, spingendolo così attraverso la sollecitazione diretta ed indiretta dei mass-media e degli stimoli accattivanti dei punti vendita e della pubblicità al consumo, verso l’acquisto sfrenato, in un tempo libero che diventa così il tempo dell’alienazione. Pertanto l’usurato più che vittima del reato d’usura appare piuttosto vittima sociale. Vittima indifesa e non tutelata di un sistema tollerante e contraddittorio che lo spinge forzatamente al consumo.

Ma, come si configurano in un’ottica psicologica e psicopatologica le persone che si inseriscono nell’inesorabile schiavitù, in questa tortuosa spirale di difficile ritorno, fatta quasi sempre di rappresaglie e minacce a sé e alla propria famiglia? Le predisposizioni psicologiche di fondo più comunemente riscontrate nell’usurato risultano: basse competenze sociali, insicurezza e bassa autostima, capacità deficitaria di problem solving (gestire i problemi in modo efficace), difficoltà di progettualità e tendenza a delegare, rigidità cognitiva e scarsa stabilità emozionale. A loro volta, gli effetti determinati dal comportamento dell’usuraio che pilota la relazione favorendo lo stato confusionale dell’indebitato, gli effetti devastanti sulle relazioni familiari, l’eventuale giudizio di amici, colleghi etc. agiscono a livello di autostima  e fiducia in sé favorendo l’instaurarsi di una sindrome depressiva. È qui che si innesca il patogeno circuito dell’ansia e la netta percezione da parte del soggetto e dei familiari, quando vengono coinvolti, di non avere più scampo. L’indebitato non vede più né libertà, né dignità propria, né bene delle persone, né affetti, né moralità di atti, né responsabilità economiche, affettive, so- ciali, legali, civili e religiose: non vede più né realtà circostanti, né doveri morali, perché vede soltanto la necessità di pagare. ☺

 

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