Sono cinquemila i migranti che ogni settimana sbarcano fortunosamente sulla piccola isola greca di Lesbo, ultima tappa, lo scorso 16 aprile, dei viaggi della misericordia con cui papa Francesco cerca di scuotere la nostra indifferenza verso la “catastrofe umanitaria più grave dalla Seconda guerra mondiale”.
Ma prima di diventare “l’isola dei migranti”, questo piccolo luogo del Mediterraneo era noto per aver dato i natali a Saffo. La prima poetessa della letteratura europea vi nacque nel VII sec. a. C. e vi trascorse la vita educando le giovani aristocratiche. Nelle condizioni disastrose in cui la sua opera poetica è giunta al lettore moderno, è possibile leggere una sola ode per intero, parti più o meno consistenti di altre odi e un cospicuo numero di frammenti più brevi. Ma i suoi passi, anche avulsi dal contesto originario, assumono per noi il carattere di folgoranti intuizioni, e non a caso hanno esercitato una profonda suggestione su molti poeti del nostro secolo, da Salvatore Quasimodo (suo grande traduttore) ad Alda Merini.
La parte più rilevante della sua poesia è senza dubbio quella in cui Saffo esprime in forma autobiografica le proprie emozioni e riflessioni sull’amore, valore supremo dell’esistenza: “Quale la cosa più bella/ sopra la terra bruna? Uno dice una torma/ di cavalieri, uno di fanti, uno di navi./ Io, ciò che s’ama” (framm. 16 Lobel-Page, traduz. di F. M. Pontani). Oppure: “Eros mi squassa l’anima/ come vento che al monte sulle querce si abbatte”; “Eros che scioglie le membra ancora mi squassa,/ dolceamara invincibile fiera” (framm. 47 e 130 Lobel-Page, traduz. di R. Cantarella).
Esistono tuttavia anche altri frammenti in cui Saffo riflette su situazioni reali della sua vita, fissandole con tono intimo: quelli dedicati ai suoi affetti familiari. Secondo quanto attestano le fonti, la poetessa ebbe un marito e una figlia, chiamata Cleide: “Una figlietta bella io ho:/ pare un fiorellino d’oro/ la mia Cleide./ Per lei,/ tutta darei la Lidia/ e anche l’amata Lesbo” (framm. 132 Lobel-Page, traduz. di M. Valgimigli). I framm. 5 e 15 si riferiscono invece a un’avventura d’amore di uno dei suoi tre fratelli, Carasso, che, durante un viaggio d’affari in Egitto, si era invaghito di un’etera di nome Rodopi o Dorica: un’avventura dispendiosa, oltre che disdicevole negli ambienti aristocratici.
A questi ultimi frammenti se n’è aggiunto di recente un altro, scoperto all’inizio del 2014 da un grande papirologo americano, Dirk Obbink, in un papiro di fine II-inizio III sec. d.C., usato per il cartonnage di una mummia e poi entrato in una sorta di mercato antiquario clandestino. Quando gli fu mostrato per una consulenza, lui vi riconobbe frammenti di Saffo e da allora quel papiro è noto come “Sappho, P. Obbink”. È difficile stabilire con quale tono Saffo stia parlando e a chi, ma di certo si sta riferendo ai due fratelli Carasso e Larico: di quest’ultimo emerge che dovrebbe raddrizzare il capo e diventare finalmente un uomo… La “decima Musa”, come la chiamò Platone, si rivela quindi nella sua dolcezza di madre e nel suo affetto di sorella in pensiero per la condotta dei fratelli anche in questo recente eccezionale ritrovamento. E dalla Lesbo del VI secolo a. C., meditando sulle sue traversie familiari, la voce di Saffo schiude in questo nuovo frammento anche un delicato monito di saggezza che si fa ragione di speranza: “il resto/ affidiamolo tutto ai numi,/ ché a grandi tempeste d’un tratto/ succede il sereno” (trad. F. Ferrari).
Sono cinquemila i migranti che ogni settimana sbarcano fortunosamente sulla piccola isola greca di Lesbo, ultima tappa, lo scorso 16 aprile, dei viaggi della misericordia con cui papa Francesco cerca di scuotere la nostra indifferenza verso la “catastrofe umanitaria più grave dalla Seconda guerra mondiale”.
Ma prima di diventare “l’isola dei migranti”, questo piccolo luogo del Mediterraneo era noto per aver dato i natali a Saffo. La prima poetessa della letteratura europea vi nacque nel VII sec. a. C. e vi trascorse la vita educando le giovani aristocratiche. Nelle condizioni disastrose in cui la sua opera poetica è giunta al lettore moderno, è possibile leggere una sola ode per intero, parti più o meno consistenti di altre odi e un cospicuo numero di frammenti più brevi. Ma i suoi passi, anche avulsi dal contesto originario, assumono per noi il carattere di folgoranti intuizioni, e non a caso hanno esercitato una profonda suggestione su molti poeti del nostro secolo, da Salvatore Quasimodo (suo grande traduttore) ad Alda Merini.
La parte più rilevante della sua poesia è senza dubbio quella in cui Saffo esprime in forma autobiografica le proprie emozioni e riflessioni sull’amore, valore supremo dell’esistenza: “Quale la cosa più bella/ sopra la terra bruna? Uno dice una torma/ di cavalieri, uno di fanti, uno di navi./ Io, ciò che s’ama” (framm. 16 Lobel-Page, traduz. di F. M. Pontani). Oppure: “Eros mi squassa l’anima/ come vento che al monte sulle querce si abbatte”; “Eros che scioglie le membra ancora mi squassa,/ dolceamara invincibile fiera” (framm. 47 e 130 Lobel-Page, traduz. di R. Cantarella).
Esistono tuttavia anche altri frammenti in cui Saffo riflette su situazioni reali della sua vita, fissandole con tono intimo: quelli dedicati ai suoi affetti familiari. Secondo quanto attestano le fonti, la poetessa ebbe un marito e una figlia, chiamata Cleide: “Una figlietta bella io ho:/ pare un fiorellino d’oro/ la mia Cleide./ Per lei,/ tutta darei la Lidia/ e anche l’amata Lesbo” (framm. 132 Lobel-Page, traduz. di M. Valgimigli). I framm. 5 e 15 si riferiscono invece a un’avventura d’amore di uno dei suoi tre fratelli, Carasso, che, durante un viaggio d’affari in Egitto, si era invaghito di un’etera di nome Rodopi o Dorica: un’avventura dispendiosa, oltre che disdicevole negli ambienti aristocratici.
A questi ultimi frammenti se n’è aggiunto di recente un altro, scoperto all’inizio del 2014 da un grande papirologo americano, Dirk Obbink, in un papiro di fine II-inizio III sec. d.C., usato per il cartonnage di una mummia e poi entrato in una sorta di mercato antiquario clandestino. Quando gli fu mostrato per una consulenza, lui vi riconobbe frammenti di Saffo e da allora quel papiro è noto come “Sappho, P. Obbink”. È difficile stabilire con quale tono Saffo stia parlando e a chi, ma di certo si sta riferendo ai due fratelli Carasso e Larico: di quest’ultimo emerge che dovrebbe raddrizzare il capo e diventare finalmente un uomo… La “decima Musa”, come la chiamò Platone, si rivela quindi nella sua dolcezza di madre e nel suo affetto di sorella in pensiero per la condotta dei fratelli anche in questo recente eccezionale ritrovamento. E dalla Lesbo del VI secolo a. C., meditando sulle sue traversie familiari, la voce di Saffo schiude in questo nuovo frammento anche un delicato monito di saggezza che si fa ragione di speranza: “il resto/ affidiamolo tutto ai numi,/ ché a grandi tempeste d’un tratto/ succede il sereno” (trad. F. Ferrari).
Sono cinquemila i migranti che ogni settimana sbarcano fortunosamente sulla piccola isola greca di Lesbo, ultima tappa, lo scorso 16 aprile, dei viaggi della misericordia con cui papa Francesco cerca di scuotere la nostra indifferenza verso la “catastrofe umanitaria più grave dalla Seconda guerra mondiale”.
Ma prima di diventare “l’isola dei migranti”, questo piccolo luogo del Mediterraneo era noto per aver dato i natali a Saffo. La prima poetessa della letteratura europea vi nacque nel VII sec. a. C. e vi trascorse la vita educando le giovani aristocratiche. Nelle condizioni disastrose in cui la sua opera poetica è giunta al lettore moderno, è possibile leggere una sola ode per intero, parti più o meno consistenti di altre odi e un cospicuo numero di frammenti più brevi. Ma i suoi passi, anche avulsi dal contesto originario, assumono per noi il carattere di folgoranti intuizioni, e non a caso hanno esercitato una profonda suggestione su molti poeti del nostro secolo, da Salvatore Quasimodo (suo grande traduttore) ad Alda Merini.
La parte più rilevante della sua poesia è senza dubbio quella in cui Saffo esprime in forma autobiografica le proprie emozioni e riflessioni sull’amore, valore supremo dell’esistenza: “Quale la cosa più bella/ sopra la terra bruna? Uno dice una torma/ di cavalieri, uno di fanti, uno di navi./ Io, ciò che s’ama” (framm. 16 Lobel-Page, traduz. di F. M. Pontani). Oppure: “Eros mi squassa l’anima/ come vento che al monte sulle querce si abbatte”; “Eros che scioglie le membra ancora mi squassa,/ dolceamara invincibile fiera” (framm. 47 e 130 Lobel-Page, traduz. di R. Cantarella).
Esistono tuttavia anche altri frammenti in cui Saffo riflette su situazioni reali della sua vita, fissandole con tono intimo: quelli dedicati ai suoi affetti familiari. Secondo quanto attestano le fonti, la poetessa ebbe un marito e una figlia, chiamata Cleide: “Una figlietta bella io ho:/ pare un fiorellino d’oro/ la mia Cleide./ Per lei,/ tutta darei la Lidia/ e anche l’amata Lesbo” (framm. 132 Lobel-Page, traduz. di M. Valgimigli). I framm. 5 e 15 si riferiscono invece a un’avventura d’amore di uno dei suoi tre fratelli, Carasso, che, durante un viaggio d’affari in Egitto, si era invaghito di un’etera di nome Rodopi o Dorica: un’avventura dispendiosa, oltre che disdicevole negli ambienti aristocratici.
A questi ultimi frammenti se n’è aggiunto di recente un altro, scoperto all’inizio del 2014 da un grande papirologo americano, Dirk Obbink, in un papiro di fine II-inizio III sec. d.C., usato per il cartonnage di una mummia e poi entrato in una sorta di mercato antiquario clandestino. Quando gli fu mostrato per una consulenza, lui vi riconobbe frammenti di Saffo e da allora quel papiro è noto come “Sappho, P. Obbink”. È difficile stabilire con quale tono Saffo stia parlando e a chi, ma di certo si sta riferendo ai due fratelli Carasso e Larico: di quest’ultimo emerge che dovrebbe raddrizzare il capo e diventare finalmente un uomo… La “decima Musa”, come la chiamò Platone, si rivela quindi nella sua dolcezza di madre e nel suo affetto di sorella in pensiero per la condotta dei fratelli anche in questo recente eccezionale ritrovamento. E dalla Lesbo del VI secolo a. C., meditando sulle sue traversie familiari, la voce di Saffo schiude in questo nuovo frammento anche un delicato monito di saggezza che si fa ragione di speranza: “il resto/ affidiamolo tutto ai numi,/ ché a grandi tempeste d’un tratto/ succede il sereno” (trad. F. Ferrari).
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