Wind days
12 Marzo 2018
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Wind days

“I cancelli erano rimasti sbarrati per poco meno di duemila alunni anche lo scorso 25 ottobre e di nuovo la scorsa settimana, il 20 novembre, nella Giornata mondiale dei diritti dell’infanzia, mentre la ministra dell’Istruzione Valeria Fedeli parlava di studio e salute come diritti inviolabili” (Il Fatto Quotidiano). Ancora, il 27 e 28 novembre scuole chiuse nel rione più vicino all’acciaieria. La dirigente di una delle scuole coinvolte dichiara al Fatto Quotidiano: “Una contraddizione costituzionale, questi poveri figli hanno come unica possibilità di riscatto quella di crescere e formarsi, avendo così gli strumenti giusti per cambiare questa realtà”.

21 gennaio, ore 22:00. Passa, solo in sottopancia, durante il TG di Rainews la notizia “Taranto: domani scuole chiuse. Previsto forte vento”.

Mi torna forte la rabbia accumulata da tempo per questa situazione assurda.

A Taranto da qualche mese li chiamano i Wind Days. Non è una campagna di promozione turistica né tantomeno la campagna pubblicitaria della nota compagnia telefonica, bensì le giornate di forte vento che facilita il trasporto delle polveri di carbone dal parco minerale dell’acciaieria ILVA al vicino e tristemente noto quartiere Tamburri, ma non solo.

Da Ottobre il sindaco Melucci, con un’ordinanza, obbliga la chiusura delle scuole a ridosso dello stabilimento ILVA per evitare che i bambini respirino la micidiale polvere. Eppure siamo nel 2018 d.C., ma in un’Italia più maledettamente post DC che proiettata nel futuro. In un paese che si definisce civile e che fino a qualche secolo fa è stato esempio di cultura nel mondo, dove meno di un secolo fa le scuole aprivano anche nelle campagne o in TV, con il mitico maestro Manzi, per andare incontro alla scolarizzazione. Ora invece le scuole chiudono perché non sono fatte a regola d’arte o sono costrette a chiudere per lasciare aperta una fabbrica che inquina da decenni.

Non è possibile che i tarantini non abbiano diritto a vivere in un ambiente salubre, che i bambini devono avere paura di uscire di casa per andare a scuola o a giocare e le loro madri avere l’incubo di stendere i panni o aprire le finestre per arieggiare casa.

Il mostro è lì, affianco a loro, agonizzante, ma da decenni li minaccia di morte e di …. disoccupazione.

5 Febbraio, su La Stampa in un bel reportage di Mattia Feltri, che vi consiglio vivamente di leggere, “L’Ilva è molto più grande, ha un perimetro di 26 chilometri e a fianco ha le raffinerie Eni. Ilva e Eni, si intuisce a occhio nudo, sono più estese di tutta Taranto. E con le loro ciminiere stanno addosso all’angolo di mondo che più di ogni altro sorrideva a Ovidio”.

Passano i mesi e gli anni ma i problemi restano, o aumentano, e in questa catastrofe sociale e ambientale qualche mea culpa devono farsela anche le associazioni ambientaliste e la Chiesa che in tanti anni non sono state capaci di alzare la voce in modo tale da elevare il livello di attenzione su questo problema, rendendo partecipi per primi i cittadini. Visto che la politica con l’alibi del lavoro pensa ad altri interessi.

Oppure questo problema interessa veramente a pochi, perché altrimenti Taranto senza lavoro morirà. Ma Taranto è già morta, con una disoccupazione incalzante, la più alta percentuale di tumori in età pediatrica e una pessima qualità della vita. Tutti fattori che interessano solo chi redige statistiche, a quanto pare.

Il mostro alla fine vincerà, come sempre, perché è capace di dividere i cittadini che vogliono un’altra città e un’altra vita dai cittadini operai, e quando dividi hai già vinto. Vincerà perché il mostro siamo noi. Schiavi di una società che impone la pratica che il lavoro rende liberi. Sempre.☺

WWF OA MOLISE

 

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