anticipare le svolte
24 Febbraio 2010 Share

anticipare le svolte

Tra i libri della bibbia ce ne sono alcuni che si possono definire “manifesti della resistenza”. Una resistenza fatta a volte con le armi (come nel caso dei Maccabei), ma molto più spesso si tratta di una resistenza fatta di pensiero indipendente e di uno stile controcorrente. Il libro di Daniele è uno di questi in quanto, attraverso un linguaggio cifrato e una narrazione fittizia, serve per incoraggiare un popolo perseguitato perché vuole rimanere fedele ai propri principi di giustizia, appresi dall’ascolto della Parola di Dio, in particolare della Legge di Mosè. L’autore del libro è un anonimo ebreo che viveva al tempo della dominazione seleucide sulla Giudea (II secolo a.C.) e per insegnare agli ebrei a resistere alla tentazione di conformarsi al modo di vivere dei dominatori, narra le vicende di un interprete di sogni, Daniele che, nella finzione letteraria, è un deportato a Babilonia e viene interpellato diverse volte alla corte babilonese per spiegare i sogni che i diversi sovrani hanno di volta in volta.

La prima visione che deve essere interpretata è quella di un’enorme statua fatta di diversi materiali: a partire dalla testa, fatta di oro, fino ai piedi fatti di ferro e argilla (Dn 2,31-33). Nella visione del re si stacca un masso dalla montagna che, rotolando a valle, colpisce i piedi deboli e tutta la statua rovina. Daniele sottolinea che il distacco della pietra non è causato da intervento umano, facendo capire che la causa è divina e, mentre la statua si polverizza, persino nelle componenti più resistenti, la pietra diventa una montagna altissima (2,34-35). La spiegazione è di carattere storico-politica: la statua rappresenta la successione dei regni mediorientali, da Babilonia fino ai successori di Alessandro Magno e attuali oppressori degli ebrei. La pietra viene spiegata con queste parole: “Al tempo di questi re, il Dio del cielo farà sorgere un regno che non sarà mai distrutto e non sarà trasmesso ad altro popolo: stritolerà e annienterà tutti gli altri regni, mentre esso durerà per sempre” (2,44). La portata di queste parole forse era ignota all’autore stesso del libro, ma ai primordi del cristianesimo, queste parole come i sogni profetici di una monarchia davidica fondata sulla giustizia e l’obbedienza alla Legge di Dio, saranno applicate a Gesù; purtroppo, a causa del matrimonio innaturale tra vangelo e potere, di volta in volta nella storia cristiana diversi imperi e regni hanno preteso di essere quel regno definitivo, con tanto di “unti dal Signore” legittimati dai pontefici di turno o da volontà popolari presunte.

Tuttavia la Parola di Dio è stata anche lo strumento di interpretazione della storia da parte di tanti uomini e donne che si trovavano nella condizione del popolo descritto nel libro di Daniele, oppressi dal potere, che non hanno smesso di sognare e progettare un mondo giusto da ricostruire ogni giorno perché continuamente c’è la tentazione di edificare improbabili statue che hanno fragili basi, in quanto fatte non per il bene dell’umanità ma per gli interessi di pochi. Per questo tipo di persone il libro di Daniele e i suoi sogni interpretati costituiscono un vero manuale di sopravvivenza. A tal proposito è necessario sottolineare l’importanza del primo capitolo del libro, dove si descrive l’arrivo di Daniele e dei suoi compagni alla corte babilonese: essi si rifiutano di mangiare il cibo della corte; un vero e proprio boicottaggio ante litteram (1,8). È proprio questa presa di distanza da tutti i falsi benefici del potere che permette a Daniele e ai suoi compagni di conservare uno spirito critico capace di leggere in profondità gli eventi, al di là dell’inganno apparente dei lustrini e del lusso di corte (1,19-20).

La capacità di Daniele di interpretare i sogni e soprattutto il primo, che viene addirittura descritto senza che il re gliene avesse parlato, è tale che riesce a smascherare la fragilità del potere e di ogni regno che si succede nella storia. La sua mancanza di compromessi gli permette di capire anche quale è la strada per neutralizzare i poteri iniqui: non la costruzione di poteri equivalenti (altre statue destinate fatalmente a crollare), né tantomeno la sostituzione del materiale, in quanto è impossibile la riforma dall’interno, ma piuttosto l’ancoraggio della propria mente a ciò che viene dall’alto, al di fuori della sfera umana. La sottolineatura dell’origine non umana della pietra, al di là dello scontato intervento miracoloso di Dio (ma quante rivoluzioni con successive instaurazioni di dittature sono state lette come volute da Dio?), può indicare proprio la fedeltà alla Parola di Dio di coloro che resistono alle sirene del potere. Per chi non crede è la testarda fedeltà ai valori del diritto e della democrazia, del primato della dignità dell’uomo, mentre per chi crede le stesse cose sono identificate in Gesù, nei profeti di Israele e nel Regno che essi hanno annunciato e instaurato.

La forza scatenata da Gesù ha di volta in volta nella storia provocato movimenti di antagonismo non violento alle varie strutture di potere: se pensiamo, infatti, ai monaci del deserto o al movimento francescano, fino ai movimenti di liberazione attraverso la presa di coscienza della propria dignità da parte dei poveri che leggono la Parola, ci rendiamo conto che quel masso staccato dalla montagna non è un evento così straordinario, e la sua origine non è al di fuori dell’uomo, ma solo al di fuori di ciò che la Scrittura chiama peccato. Quando l’uomo trascende i propri egoismi, riesce ad avere una forza tale da abbattere i poteri e svegliare il desiderio di giustizia degli oppressi. È la forza dei pochi che hanno il coraggio di resistere a permettere i cambiamenti epocali, non le alleanze calcolate con i fragili poteri di turno. Ma per capire questo dobbiamo partire dall’“alto” della Parola e dal boicottaggio del sistema; solo così possiamo avere il dono di Daniele di leggere in profondità la storia e anticiparne le svolte. ☺

mike.tartaglia@virgilio.it

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