compagni di umanità
15 Ottobre 2022
laFonteTV (3191 articles)
Share

compagni di umanità

“Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura, ché la diritta via era smarrita” (Inf. I, 1-3). È l’incipit più famoso della letteratura italiana, e con queste parole Dante non solo inizia un viaggio spirituale nei tre regni ultraterreni dell’immaginario cattolico, ma (e questo è un elemento sempre più studiato) anche un vero e proprio percorso di autoanalisi psicoterapeutica, le cui tappe non sono solo un fatto personale, ma sono diventate uno specchio in cui ogni persona può riconoscersi. Ed è soprattutto questo che rende la Divina Commedia un capolavoro universale, studiato e ammirato non solo in Italia dove ha dato il contributo più grande per fondare la sua identità linguistica e culturale, ma in ogni parte del mondo, posta sullo stesso livello dei poemi omerici, o dell’Eneide.

Desidero entrare in punta di piedi e da assoluto profano nel mondo della Commedia per un fatto singolare: essa è molto probabilmente l’unica opera letteraria paragonabile alla Bibbia, non tanto né solo per gli argomenti trattati di carattere religioso, quanto per le modalità con cui è arrivata fino a noi: tramandata da tantissimi manoscritti prodotti nei primi due secoli, fino all’invenzione della stampa, eppure non ne conserviamo neppure un frammento dell’originale uscita dalla penna di Dante (come anche tutte le altre sue opere); anche della Bibbia (soprattutto del Nuovo Testamento) abbiamo tanti manoscritti ma nessun originale. E tutti questi manoscritti, nell’uno e nell’altro caso, producono tante varianti (formulazioni diverse delle stesse parole o frasi) quanti sono i manoscritti stessi. Come la Bibbia anche la Commedia parla in lungo e in largo di cose religiose o che riguardano Dio ma in realtà dicono tutto sull’uomo, visto nelle sue diverse potenzialità, dal male estremo e assoluto (l’inferno), fino alla capacità di un amore totalmente gratuito, che prende non la forma di Gesù, troppo “divino” per Dante, ma di Maria, la cui benevolenza o amore, “molte fiate, liberamente al dimandar precorre” (Par. XXXIII,18).

E come la Bibbia anche la Commedia è rivelazione (anche se non in senso tecnico religioso) perché dopo di essa l’umanità ha effettivamente conosciuto qualcosa di nuovo su di sé, cosa che forse solo la moderna psicanalisi, in tutte le sue diramazioni, è riuscita a sistematizzare scientificamente, ma che Dante ha magistralmente illustrato attraverso l’arte poetica, sapendo scandagliare l’animo umano in tutte le sue sfaccettature. Ogni personaggio e ogni situazione mette in scena un vizio (inferno), una virtù (paradiso) o il desiderio di riscatto (purgatorio) presenti in ciascuno di noi e se i personaggi stessi sono “fermati fotograficamente” nella loro condizione, ciò che rappresentano è mescolato all’interno di ciascuno di noi come lo era nello stesso Dante. Ecco perché ho parlato di autoanalisi di un uomo, innanzitutto, che, dopo il fallimento della sua esperienza politica, breve e drammatica, dopo i primi tentativi di rientrare nella città da cui era stato bandito e condannato a morte, si rassegna a vagare in diverse città, ospite controvoglia di diversi personaggi che lo avrebbero preso a servizio, per imparare “come è duro calle lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale” (Par. XVII, 59-60).

Forse a molti sarà sembrato che Dante si sia innalzato su un piedistallo (e certo l’inclinazione alla superbia non gli mancava, lo dice spesso anche lui) per comminare condanne o dare patenti di virtù a destra e a manca, come spesso fanno i politici in campagna elettorale o fanno gli uomini di chiesa che si ergono a guide non richieste della società, ma lui in ogni angolo parla innanzitutto di sé e vede negli altri (anche i più disperatamente malvagi) dei compagni di umanità perché ciò che lo fa inorridire nell’osservare i dannati, ad esempio, è il riflesso dell’orrore che ha provato nello scandagliare se stesso.

La Divina Commedia e la Bibbia non sono scritti per trovare materiale da scagliare come fango su chi giudichiamo ma sono specchi in cui dobbiamo individuare la nostra immagine vera, senza fare sconti o trovare giustificazioni e allo stesso tempo però (è il motivo per cui l’una e l’altra terminano con la contemplazione della città celeste) indicano il bene come ultima parola e come possibilità reale per l’uomo. La Commedia è stata scritta negli ultimi quindici anni della sua vita, che sono stati quindi un vero e proprio percorso di analisi in cui Dante ha avuto la forza di scendere nelle bassezze dell’animo umano, per risalire attraverso la purificazione di sé verso la vetta del bene. È diventato maestro di umanità e ha detto con la sua opera più importante che non ci può essere un vero cambiamento se non si riconosce ciò che c’è di male in noi per superarlo e solo allora possiamo sperimentare la bellezza dell’essere uomini, creati da Dio poco meno degli angeli, come dice il Salmo.

Chiudo con le parole di uno studioso inglese del Poeta per giustificare la mia sfacciata pretesa di disquisire della Commedia: “Dante stesso ha fatto di tutto per coinvolgere il lettore e renderlo partecipe del progetto fondamentale, come di chi è lì non solo per comprendere il significato del testo, ma anche, appunto in quanto lettore, per generare quel significato stesso … In relazione alla Commedia non è possibile rinunciare al confronto” (J. Took).☺

 

laFonteTV

laFonteTV