Artur
18 Maggio 2019
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Artur

Ha scelto di chiamarsi Artur, che sembra un nome proprio vagamente americanizzato, e invece è un acronimo che sta per “Adulti Responsabili per un Territorio Unito contro il Rischio”. Ed è un acronimo che ci sta proprio bene perché porta scolpito in sé il dolore e il coraggio di un Arturo vero, in carne e ossa. Arturo Puoti, oggi 18 anni, accoltellato e ridotto in fin di vita, in via Forìa, a Napoli, nel dicembre del 2017, da una babygang. La madre, Maria Luisa Iavarone, da allora non si è data pace. Oltre a lottare con tutte le sue forze per riportare alla vita e alla serenità suo figlio, ha scelto di dare un senso alla tragedia toccata alla sua famiglia, “sfruttandola” positivamente perché diventi patrimonio di tutti e strumento di denuncia, di riscatto, di rinascita per una città assediata, prima che dalla camorra, dall’assenza degli adulti: “Arturo non è solo un ragazzo accoltellato ma il simbolo di una città ferita che torna a sanguinare per malattie strutturali come l’abbandono scolastico, il disagio sociale, le povertà educative e la mancanza di lavoro. Se non riusciamo a prenderci cura dell’infanzia e dell’adolescenza non ci sarà futuro per il nostro Paese”.

Il 18 dicembre 2018, ad un anno da quella telefonata che non dimenticherà mai e che la fece precipitare in strada (il figlio riverso a terra in una pozza di sangue, un capannello di gente intorno, la lucidità che viene meno di fronte alla disperazione), Maria Luisa Iavarone inaugura Artur. Un’associazione che ama definirsi una “sponda educativa” per tutti i ragazzi che vivono il disagio, la marginalità, la devianza, e vedono nell’esercizio della violenza (dal bullismo alle babygang) l’unica forma di emancipazione sociale.

È il principio per il quale, oltre alla vittima, va curato e preso in carico il bullo, perché bene non sta. “La violenza dei minori è un fatto grave, l’irresponsabilità educativa degli adulti lo è ancora di più. Dietro ogni minore che delinque c’è sempre un adulto indifferente. L’indifferenza è peggio della violenza, perché da lei non puoi difenderti”. Così si legge quando si apre il portale di Artur e questo è il cuore di tutto il progetto educativo della Iavarone e della sua associazione.

“Il 17 dicembre 2017, mio figlio è stato fermato da una baby gang di ragazzini che lo hanno aggredito, gli hanno inferto 18 coltellate e lo hanno lasciato a terra praticamente in fin di vita, portandogli via il cellulare. Il tragico evento è accaduto, ci tengo a ribadirlo, al centro della città, in via Foria, a 150 metri da casa nostra e alle cinque di pomeriggio, sotto le luci del Natale, con i negozi addobbati e affollati in occasione delle festività e la gente che faceva shopping. Questa è la presentazione classica di quanto una città sia fuori controllo e non metta in sicurezza neanche i suoi figli più teneri che, poi, sono gli adolescenti”.

E continua: “A un certo punto, questi quattro ragazzetti hanno cominciato, in maniera totalmente scriteriata, a provocare Arturo, fino ad aggredirlo. È sicuramente un atto dimostrativo perché queste modalità di ostentata azione criminale vengono utilizzati come crediti formativi criminali. Sono ragazzini che intendono mettersi in mostra, in qualche modo, sul mercato della criminalità organizzata, affinché a loro siano attribuiti incarichi criminali maggiori” e aggiunge “Arturo è un ragazzo che ne esce sicuramente malconcio, perché ha un deficit polmonare, e ha una corda vocale paralizzata, più il disturbo post traumatico da stress. È un ragazzo che dovrà sempre fare i conti con i suoi demoni”.

Dopo questa vicenda, Maria Luisa Iavarone si è resa conto che “o facevo qualcosa di più grande e di collettivo, attribuendo a questa storia un significato più importante, oppure Arturo sarebbe rimasto schiacciato sotto il peso di una rappresentazione di vittima che lo portava a sentirsi vittima per tutta la vita. Ho fondato un’associazione, Artur, che si prende carico non solo delle vittime e, anche, perché no, dei carnefici”.

Artur, dunque, “mediante un articolato progetto, forma educatori capaci di accompagnare ragazzi che hanno delle modalità totalmente disfunzionali nella relazione e nella comunicazione” e ha dato il via, recentemente, anche a un master che si occupa proprio di questo specifico aspetto. “Noi vogliamo formare degli educatori che siano, in qualche modo, tonici anche dal punto di vista muscolare, e che siano capaci di riposizionare fisicamente questi ragazzi, di fronteggiarli e di rappresentare per loro, come diceva Marco Guidi, una sponda di adultità e di rigore responsabile” ha affermato.

Arturo oggi ha 18 anni e sul collo la cicatrice di una di quelle coltellate. Si è lasciato il peggio alle spalle, ha festeggiato i suoi 18 anni e accanto ha sempre la madre, che non lo ha mollato un attimo. “Sento di dover restituire in termini di gratitudine il miracolo che mi è stato concesso”, dice la donna.

L’associazione sta lavorando su diverse direttrici. Prima fra tutte “continuare la sensibilizzazione nelle scuole”. “Durante quest’anno – racconta – ne ho visitate 200”. Sarà, inoltre, messo a sistema un “format didattico con un cortometraggio che stiamo realizzando assieme a un autore della Rai”. L’idea è di portare questo corto nelle scuole per parlare dei rischi di bullismo e della marginalità.

“Credo che le cose tocchino le persone e le cambino – afferma. Credo che questa battaglia per una maggiore responsabilità negli adulti restituisca una nuova consapevolezza sul rischio violenza tra i minori, che è solo la punta di un iceberg”. Essere adulti responsabili, consapevoli di essere un modello, un esempio per i ragazzi diventa, dunque, “tema centrale perché è il collante che fa sentire protagonisti di un processo collettivo di cambiamento”. “Quello che noi abbiamo vissuto – aggiunge – deve essere lo spunto per andare avanti”. ☺

 

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