Il 12 Febbraio Zygmunt Bauman, ospite a Roma ad una tavola rotonda avente come oggetto “Un nuovo umanesimo”, ha affrontato, insieme al filosofo Aldo Masullo, la questione della sopravvivenza dell’umanità, il tema più importante della nostra epoca.
Secondo il sociologo polacco ci troviamo in ciò che già Tito Livio e Gramsci avevano chiamato “interregno”, un momento di passaggio tra il vecchio che è morto e il nuovo che non può nascere. Tito Livio usò questa parola per indicare il periodo successivo alla morte di Romolo, il cui regno era durato 37 anni (come la vita media di un romano dell’epoca), quando pochi romani ricordavano il mondo senza Romolo e non c’era ancora nessuno che avesse il grado di fiducia del defunto re. Per Gramsci invece si trattava del transito dai vecchi metodi, che non funzionavano più, a quelli nuovi ancora in fase di progettazione.
Questo stato di cose è ciò che Bauman definisce “crisi di era”, in cui si vive in una sorta di “vecchio west”, di “ciberspazio”, al di là delle capacità di qualsiasi entità politica, depauperata del suo potere. Di fronte all’emancipazione del potere dalla politica ci si chiede dunque chi possa affrontare la crisi, chi sarà a scegliere la pace, la cooperazione amichevole, chi renderà la collaborazione reale se lo stato-nazione è incapace di governare.
I mercati non sono istituzioni politiche e non ci si può affidare ad un’economia di tipo capitalistico, il cui principio di concorrenza altro non è che un sostituto sublimato della guerra.
Non sembra essere possibile nemmeno una “politica della vita”, dove ognuno assuma una responsabilità individuale. La crisi è accompagnata infatti dall’erosione della classe media, della base, in cui si verifica la trasformazione del “proletariato” in “precariato” e la precarietà si configura proprio come l’incapacità di poter intraprendere con forza un percorso, di stabilire cosa avverrà nel domani, essendo essa uno stato di umiliazione della volontà in cui la vita appare eterodiretta da un controllo superiore.
Cercare la felicità e la risoluzione dei conflitti nel forte aumento del consumo, incrementando smisuratamente l’ineguaglianza tra la gente e tra i popoli, ha portato a domandarsi in questo e in altri contesti se l’umanesimo abbia concretamente un futuro, ma soprattutto se il futuro possa avere un umanesimo.
Una risposta alla possibilità di cambiamento può esserci, secondo Bauman, nella proposta di Richard Sennet, ossia nella ricerca, che Masullo precisa dover essere una “volontà”, di dialogo e di cooperazione. Un dialogo informale, che non abbia codici e norme preparate ma che si fissi durante l’interazione, in cui entrare da maestri e da allievi, essendo pronti a spiegare di avere torto e a dimostrare che un’altra persona ha trovato una soluzione migliore. Questo determinerà una cooperazione che sarà un gioco senza rivali, in cui non ci saranno vincitori o vinti ma tutti emergeranno arricchiti dall’esperienza condivisa. ☺
micheladimemmo@email.it
Il 12 Febbraio Zygmunt Bauman, ospite a Roma ad una tavola rotonda avente come oggetto “Un nuovo umanesimo”, ha affrontato, insieme al filosofo Aldo Masullo, la questione della sopravvivenza dell’umanità, il tema più importante della nostra epoca.
Secondo il sociologo polacco ci troviamo in ciò che già Tito Livio e Gramsci avevano chiamato “interregno”, un momento di passaggio tra il vecchio che è morto e il nuovo che non può nascere. Tito Livio usò questa parola per indicare il periodo successivo alla morte di Romolo, il cui regno era durato 37 anni (come la vita media di un romano dell’epoca), quando pochi romani ricordavano il mondo senza Romolo e non c’era ancora nessuno che avesse il grado di fiducia del defunto re. Per Gramsci invece si trattava del transito dai vecchi metodi, che non funzionavano più, a quelli nuovi ancora in fase di progettazione.
Questo stato di cose è ciò che Bauman definisce “crisi di era”, in cui si vive in una sorta di “vecchio west”, di “ciberspazio”, al di là delle capacità di qualsiasi entità politica, depauperata del suo potere. Di fronte all’emancipazione del potere dalla politica ci si chiede dunque chi possa affrontare la crisi, chi sarà a scegliere la pace, la cooperazione amichevole, chi renderà la collaborazione reale se lo stato-nazione è incapace di governare.
I mercati non sono istituzioni politiche e non ci si può affidare ad un’economia di tipo capitalistico, il cui principio di concorrenza altro non è che un sostituto sublimato della guerra.
Non sembra essere possibile nemmeno una “politica della vita”, dove ognuno assuma una responsabilità individuale. La crisi è accompagnata infatti dall’erosione della classe media, della base, in cui si verifica la trasformazione del “proletariato” in “precariato” e la precarietà si configura proprio come l’incapacità di poter intraprendere con forza un percorso, di stabilire cosa avverrà nel domani, essendo essa uno stato di umiliazione della volontà in cui la vita appare eterodiretta da un controllo superiore.
Cercare la felicità e la risoluzione dei conflitti nel forte aumento del consumo, incrementando smisuratamente l’ineguaglianza tra la gente e tra i popoli, ha portato a domandarsi in questo e in altri contesti se l’umanesimo abbia concretamente un futuro, ma soprattutto se il futuro possa avere un umanesimo.
Una risposta alla possibilità di cambiamento può esserci, secondo Bauman, nella proposta di Richard Sennet, ossia nella ricerca, che Masullo precisa dover essere una “volontà”, di dialogo e di cooperazione. Un dialogo informale, che non abbia codici e norme preparate ma che si fissi durante l’interazione, in cui entrare da maestri e da allievi, essendo pronti a spiegare di avere torto e a dimostrare che un’altra persona ha trovato una soluzione migliore. Questo determinerà una cooperazione che sarà un gioco senza rivali, in cui non ci saranno vincitori o vinti ma tutti emergeranno arricchiti dall’esperienza condivisa. ☺
Il 12 Febbraio Zygmunt Bauman, ospite a Roma ad una tavola rotonda avente come oggetto “Un nuovo umanesimo”, ha affrontato, insieme al filosofo Aldo Masullo, la questione della sopravvivenza dell’umanità, il tema più importante della nostra epoca.
Secondo il sociologo polacco ci troviamo in ciò che già Tito Livio e Gramsci avevano chiamato “interregno”, un momento di passaggio tra il vecchio che è morto e il nuovo che non può nascere. Tito Livio usò questa parola per indicare il periodo successivo alla morte di Romolo, il cui regno era durato 37 anni (come la vita media di un romano dell’epoca), quando pochi romani ricordavano il mondo senza Romolo e non c’era ancora nessuno che avesse il grado di fiducia del defunto re. Per Gramsci invece si trattava del transito dai vecchi metodi, che non funzionavano più, a quelli nuovi ancora in fase di progettazione.
Questo stato di cose è ciò che Bauman definisce “crisi di era”, in cui si vive in una sorta di “vecchio west”, di “ciberspazio”, al di là delle capacità di qualsiasi entità politica, depauperata del suo potere. Di fronte all’emancipazione del potere dalla politica ci si chiede dunque chi possa affrontare la crisi, chi sarà a scegliere la pace, la cooperazione amichevole, chi renderà la collaborazione reale se lo stato-nazione è incapace di governare.
I mercati non sono istituzioni politiche e non ci si può affidare ad un’economia di tipo capitalistico, il cui principio di concorrenza altro non è che un sostituto sublimato della guerra.
Non sembra essere possibile nemmeno una “politica della vita”, dove ognuno assuma una responsabilità individuale. La crisi è accompagnata infatti dall’erosione della classe media, della base, in cui si verifica la trasformazione del “proletariato” in “precariato” e la precarietà si configura proprio come l’incapacità di poter intraprendere con forza un percorso, di stabilire cosa avverrà nel domani, essendo essa uno stato di umiliazione della volontà in cui la vita appare eterodiretta da un controllo superiore.
Cercare la felicità e la risoluzione dei conflitti nel forte aumento del consumo, incrementando smisuratamente l’ineguaglianza tra la gente e tra i popoli, ha portato a domandarsi in questo e in altri contesti se l’umanesimo abbia concretamente un futuro, ma soprattutto se il futuro possa avere un umanesimo.
Una risposta alla possibilità di cambiamento può esserci, secondo Bauman, nella proposta di Richard Sennet, ossia nella ricerca, che Masullo precisa dover essere una “volontà”, di dialogo e di cooperazione. Un dialogo informale, che non abbia codici e norme preparate ma che si fissi durante l’interazione, in cui entrare da maestri e da allievi, essendo pronti a spiegare di avere torto e a dimostrare che un’altra persona ha trovato una soluzione migliore. Questo determinerà una cooperazione che sarà un gioco senza rivali, in cui non ci saranno vincitori o vinti ma tutti emergeranno arricchiti dall’esperienza condivisa. ☺
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