Cultura o competenze. La scuola tra visione consumistica e formativa
10 Agosto 2018
laFonteTV (3191 articles)
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Cultura o competenze. La scuola tra visione consumistica e formativa

Un approccio sbagliato alla formazione dei nostri ragazzi genera solo dei consumatori passivi

Vorremmo per un poco tornare sui modelli di certificazione delle competenze per gli alunni che concludono le scuole elementari e medie, a partire già dall’estate del 2018. Quando si chiede agli alunni se raggiungeranno effettivamente il titolo di studio che desiderano, se avranno abbastanza soldi per acquistare quello che vogliono e per vivere bene, viene anticipato in maniera occulta e, di conseguenza, subdola non certo un auspicio augurale di un futuro sereno che l’amministrazione dello Stato si augura per gli adolescenti che si aprono alla vita e alle sue avventure, quanto piuttosto la previsione di una condizione sociale, di subalternità culturale, nelle vesti di consumatori, che, proprio perché comprano e spendono, hanno la sensazione di esistere e di valere qualcosa. Dunque, quello che guadagni lo spendi nei grandi Iper, perché solo così hai la sensazione di esistere, di contare socialmente, perché hai, possiedi, spendi e dunque vali. Chi invece non può spendere, non esiste, non vale nulla, è l’ultimo del carro, che la società può emarginare; pertanto, si faranno spazio la depressione, la paralisi psicofisica e sociale che è prossima all’inerzia, il lento scivolare nell’emarginazione sociale e quindi anche nella povertà. Per essere un corretto ed esemplare consumatore, secondo la filosofia del neoliberismo, un giovane deve essere ben edotto e la scuola, la buona scuola di oggi, prepara le nuove generazioni a queste prospettive di subalternità sociale e all’applicazione di questo ruolo. Se, poi, il ragazzo, divenuto adulto, sceglierà di vivere una vita sobria, non collegata al consumismo, potrebbe rischiare lui l’emarginazione che depotenzia lo spirito. Dunque, il rischio è proprio questo: da una distorta e superficiale formazione non esce il cittadino che in modo responsabile si impegna nel sociale, ma un giovane che ha sostanzialmente delegato tutto alla filosofia del consumo iperliberista…

Fare di più e pensare di meno?

Oggi nella società civile ci sono dibattiti e iniziative su un insieme notevole di questioni che affliggono il mondo moderno e il nostro mondo di cittadini europei: sulla sanità, sulla scuola, sul welfare, sulla povertà, sulla Costituzione, su come sconfiggere la corruzione e le mafie, su uno sfacciato egoismo di classe che spinge ad isolarsi, a chiudersi dentro fortini o ville, se si è abbienti, e a considerare pericolosi i poveri, i migranti, i non abbienti, come se questi potessero contaminare questa loro malattia, che è la povertà e la mancanza di mezzi materiali. In termini più chiari, pur vivendo un’epoca, in cui la globalizzazione e il neocapitalismo hanno vinto una battaglia consistente, ma non la guerra, contro l’idea e la prospettiva di un popolo, che responsabilmente vorrebbe essere partecipe e protagonista delle vicende che lo riguardano, ci sono sacche di società che pensano e immaginano che si possa uscire da questa crisi economica e di diseducazione civile ed etica, anche se è arduo ed i risultati, pur all’apparenza ancora modesti, non si vedono. Noi ci stiamo occupando del dibattito sulla scuola pubblica e su quali modelli essa deve nuovamente radicarsi nella società. Lo abbiamo indicato nel numero di giugno scorso su la fonte, quando alludendo alle competenze, oggetto di approfondimenti, oggi, abbiamo espresso la nostra contrarietà a tale idea, motivando il nostro dissenso e sostenendo che nella realtà dei fatti le competenze vadano nella direzione “del fare, ora e subito” e non in quella del pensare, dell’educare i giovani all’amore per la cultura, per la solidarietà, per una sobrietà di vita che veda la rinuncia di qualsiasi modello comportamentale fondato sulla presunzione che la ricchezza un individuo se la sa conquistare, mentre, se si è poveri, si sarebbe incapaci di fare alcunché di buono. Mi soffermo, naturalmente, sul dibattito inerente il mondo della scuola ed il rapporto che la scuola ha o non ha più con la società civile e con le famiglie degli studenti.

Come migliorare la scuola italiana? La proposta di Galli della Loggia

Sul Corriere della Sera del 5 giugno scorso è apparso un articolo, a firma di Ernesto Galli della Loggia, nel quale lo scrittore e giornalista, rivolgendosi al ministro dell’Istruzione, gli propone alcune misure da adottare nelle scuole di ogni ordine e grado, che potrebbero far migliorare, secondo lui, il quadro complessivo della scuola italiana. Ne elenco solo qualcuno: reintrodurre la predella in modo da indicare con chiarezza che l’alunno deve rispetto al docente; reintrodurre l’obbligo di alzarsi in piedi ogni qual volta in classe entri un docente; vietare le occupazioni d’istituto; cancellare le norme che prevedono la partecipazione dei genitori o dei loro rappresentanti nella vita degli istituti; affidare agli studenti (che faranno i turni) la pulizia interna ed esterna degli istituti in modo da far risparmiare all’Amministrazione questa voce di spesa e da spingere gli studenti a considerarsi parte della scuola; non consentire l’uso dello smartphone all’interno dell’istituto e, poi, qualche altro punto ancora. Ovviamente non solo appaiono superficiali e improvvidi questi provvedimenti, ma alla loro base non c’è alcun legame, autenticamente civile e culturale, con quella che è la mission della scuola secondo il dettato costituzionale. Se pensiamo ai genitori e alla loro estromissione dalla vita delle scuole, abbiamo la riprova che neppure un intellettuale come Galli della Loggia voglia ricordare quale sia stata la filosofia civile e culturale del decreto delegato e le funzioni degli organi collegiali, in cui sono presenti tutte le componenti sociali che determinano e danno un senso alla scuola. Se poi in altri organismi dello Stato (come la sanità e la giustizia) non sono rappresentate figure sociali complementari ma essenziali eventualmente per il buon funzionamento delle strutture di cui si parla, questo la dice lunga circa la modesta partecipazione civile che nel passato ed oggi esprimono questi settori entro la polis.

La risposta del fisico Rovelli: la scuola deve educare dei cittadini responsabili

Sullo stesso giornale il giorno dopo, così ci sembra, c’è stato un altro intervento, quello del fisico Rovelli, che ha espresso il suo giudizio negativo sulle proposte di Galli della Loggia, sostenendo specialmente un punto, che è qualificante anche per noi, e cioè che i giovani vanno educati e cresciuti, alimentando la loro intelligenza e la loro creatività, attraverso e per mezzo di rapporti tra alunni e docenti in cui è il carisma culturale e pedagogico del docente a convincere lo studente che studiare è bello e che partecipare alla vita del Paese non solo è necessario ma è anche gratificante dal punto di vista culturale e civile. Ma almeno Ernesto Galli della Loggia propone qualche cosa, anche se si sofferma solo in superficie a ragionare sulla scuola. Ma chi deve essere messo alla gogna è la maggior parte del corpo docente che accoglie la controriforma del MIUR (quella delle competenze; del saper fare e non del pensare e del maturare con lo studio serio e costante) senza batter ciglia, anzi divenendo uno strumento di attuazione della cosiddetta buona scuola. Qual è il risultato di tutto questo? Uno spiacevole ed assurdo appiattimento culturale; l’assenza di qualsiasi riflessione critica relativa all’alternanza scuola-lavoro, addirittura un avvicinamento del corpo docente alla filosofia delle competenze che sa di servilismo, di nolontà di gridare forte che ancora può esistere una dignità professionale, che dia lustro al docente agli occhi dei suoi studenti e della società tutta. Le conseguenze sono molto spiacevoli, come appare dall’amarezza delle riflessioni in questi mesi proposte dalla prof.ssa de Lisio su la fonte. Tra queste io aggiungerei una condizione di soggiogamento del docente all’imperium del dirigente scolastico: se parli male della scuola in generale e della tua, in particolare se proponi un’altra visione circa il ruolo della scuola nella società (che poi è quello della C.C.); se avanzi qualche critica a proposito di ambigue o inopportune formule di gestione della scuola da parte dei dirigenti; se denunci una troppo invasiva presenza di associazioni che diffondono differenti visioni della storia (revisionismo), della vita (il maschilismo come esaltazione della forza fisica del maschio), dei rapporti tra i popoli (come per esempio, la guerra o le epocali migrazioni di questi ultimi decenni dai paesi poveri del Sud del mondo verso il Nord industrializzato); se dici tutte queste cose, rischi non solo la censura, che induce al silenzio, ma con la denuncia del dirigente scolastico anche il licenziamento. Questo proprio non è possibile! Ecco una delle tante motivazioni del perché in noi si alimentano la rabbia e l’acre asprezza verso il neocapitalismo e il neoliberismo. Ecco le ragioni per le quali non ci sentiamo di abdicare all’impegno civile di partecipazione responsabile alla vita politica e culturale del nostro Paese.

E dove sono andate a finire le competenze e le riflessioni, che generano questi assurdi progetti del MIUR? No, non le abbiamo dimenticate affatto!!!☺

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