Decidersi per un nuovo inizio
27 Maggio 2018
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Decidersi per un nuovo inizio

“Grida dal tuo cuore al Signore, gemi, figlia di Sion… alza verso di lui le mani per la vita dei tuoi bambini, che muoiono di fame all’angolo di ogni strada” (Lam 2,18.19).

Il Libro, che viene attribuito comunemente a Geremia ma che sembra piuttosto opera di un autore anonimo, è un insieme di lamenti funebri (in ebraico qînôt) che leggono le sofferenze conseguenti alla distruzione di Gerusalemme del 587 a.C. ad opera dei Babilonesi, quando il regno di Giuda perse la sua indipendenza nazionale, Gerusalemme venne invasa e devastata e il Tempio distrutto. Tra i sopravvissuti alcuni furono costretti all’esilio, mentre altri, quelli rimasti, furono costretti a sopportare il peso dell’ occupazione straniera e a fronteggiare l’indebolimento dei pilastri dell’identità nazionale e religiosa.

L’autore, attraverso dei poemi dalla forma dell’acrostico alfabetico (dove ogni verso è introdotto da una delle ventidue consonanti che formano l’alfabeto ebraico disposte in successione), sembra voler invitare il lettore a contemplare le rovine di Gerusalemme attraverso una sorta di viaggio tra le macerie che non lascia insensibili al dolore di un popolo che si sente abbattuto, scorato. Se da un lato egli esprime la sua esperienza personale, dall’altro dà voce al grido di tutto il popolo, cogliendo la sproporzione tra il peccato commesso e la pena subìta. L’ultimo capitolo del Libro contiene la preghiera dei sopravvissuti che manifestano la loro condizione di prostrazione, lamentano la perdita del paese, del re, del tempio, e supplicano Dio affinché non li abbandoni per sempre ma rinnovi la sua alleanza con loro.

Gli Ebrei recitano i lamenti di questo Libro in occasione del digiuno che commemora la distruzione del Tempio e la Chiesa lo legge all’interno dell’azione liturgica del venerdì santo per richiamare la passione e la morte di croce di Gesù.

Una delle metafore più frequenti nel Libro è quella della donna applicata alla città di Gerusalemme. La tragica condizione della Città santa è assimilata a quella di una madre privata dei figli; a una vedova, priva del coniuge e del sostentamento; a una nobildonna decaduta; a una donna che ha subìto violenza e perfino a un’amante tradita. Si tratta dunque di una femminilità messa a dura prova da una sofferenza che sembra aver superato il limite e la cui grazia è legata a una relazione da recuperare con il Signore.

Il testo di Lam 2,19 rivolge un invito alla città e alla comunità tutta di non restare immobili dinanzi alle macerie, ma di alzare le mani verso Dio “per la vita dei bambini, che muoiono di fame all’angolo di ogni strada”. Non si può restare indifferenti davanti alla morte, allo spegnersi dell’infanzia che contiene tutto il potenziale per una vita adulta e pienamente riuscita (e che è molto attuale, se si guarda al fenomeno attuale delle migrazioni!). Per una madre assistere alla morte dei suoi figli è un dolore inconsolabile. Questa triste catena di morti va spezzata. Occorre desiderare la vita e cambiare per impegnarsi affinché essa torni a scorrere. Solo l’invocazione salva dalla morte, solo l’alleanza con il Dio della storia riconcilia la creatura umana con il mondo e con la rete delle sue relazioni.

Il libro delle Lamentazioni nasce dal tentativo di rielaborare un’esperienza estremamente traumatica per poterla superare. Solo la poesia, infatti, è capace di rielaborare il dramma riossigenando la mente e i sentimenti. Dai lamenti poetici pieni di dolore che costellano il Libro sgorga una fiducia incondizionata in Dio e un sentimento di pentimento profondo. Essi aprono alla speranza perché insegnano l’arte di ricominciare.

Chiedere perdono a Dio non è l’obolo da pagare due volte all’anno in vista di un certo benessere psichico, ma è decidersi per un cambiamento, scegliendo di investirsi nella società per edificare una comunità che sia davvero “madre”, capace non di fagocitare i suoi figli, ma di nutrirli per farli crescere e fiorire, rimuovendo le macerie prodotte dalle infiltrazioni mafiose, dalla connivenza con i poteri forti che tutto prendono e niente danno, dall’indifferenza e dall’omertà e cominciando a edificare sulle salde fondamenta dell’impegno, della cura, della verità, della fede e della promozione della giustizia.

 

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