Di serie b?
23 Marzo 2021
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Di serie b?

La sveglia è impostata alle 5.40 del mattino: giù dal letto, un veloce caffè, si indossa la mascherina e via, si corre al lavoro dove ci prendiamo cura dei pazienti più fragili che spesso non sono autosufficienti. Arrivati in reparto, diamo il cambio al collega che si è fatto il turno di notte: dieci ore di lavoro. Indossiamo la divisa, cambiamo la mascherina e ci avvaliamo dell’utilizzo di tutti sistemi di protezione a nostra disposizione e iniziamo la giornata lavorativa. Sette ore lavorative dove diventiamo tutto per il paziente: l’ amico, il confidente, l’aiuto indispensabile, la famiglia per “rubare” un’altra giornata di vita.

Dal 1° gennaio 2020 nessuno di noi ha mai smesso di lavorare né durante il primo lockdown, né durante questa seconda fase della pandemia. Siamo gli unici lavoratori della sanità in Italia a non aver ricevuto in busta paga un euro di indennità dai datori di lavoro e un euro di Bonus Covid dalla Regione. Forse perché noi siamo figli di un Dio minore? Si forse è vero. Noi siamo infermieri, fisioterapisti, logopedisti, tecnici di radiologia, assistenti sociali, educatori, dietiste, Oss, operatori sanitari di serie B.

Tra strutture sociosanitarie RSA, centri ambulatoriali di riabilitazione (ex art. 26 dalla legge 833/78), Csa, Ra, centri psichiatrici, case alberghi, case di riposo, ecc. lavorano professionisti con la laurea, un master, iscritti ai propri Ordini, in regola con gli ECM e l’assicurazione. Lavano pazienti, assistono disabili, movimentano e fanno riabilitazione agli allettati, preparano le terapie, fanno prelievi e medicazione, somministrano terapie tramite sondino, peg, cateteri venosi centrali. Svolgono anche altre mansioni faticose e quotidianamente lavorano gomito a gomito con colleghi assunti con le cooperative e con le agenzie e molto spesso troviamo medici a consulenza. Ecco, questi sono gli operatori sanitari di serie B. Questi siamo noi.

Già prima della pandemia tutto il personale della sanità delle strutture sociosanitarie aveva un carico di lavoro che andava ben oltre le proprie possibilità. Adesso, per rispettare i protocolli Covid, l’intensità del lavoro è cresciuta notevolmente e pare che a nessuno interessi. A questo bisogna aggiungere che il Servizio Sanitario Nazionale, per far fronte alla pandemia, ha aperto, giustamente, una campagna di assunzione del personale. A rispondere, guarda caso, sono stati soprattutto gli infermieri provenienti dalle strutture sociosanitarie delle Rsa, Csa, Ra, ma anche i dipendenti delle cooperative e delle agenzie. Lo hanno fatto soprattutto perché sono stanchi di sentirsi professionisti di serie minore, non perché attratti da salari più alti. Perché chiedono maggiori diritti e non vogliono più sentirsi infermieri o operatori sociosanitari di serie B o addirittura di serie C.

E il paradosso è che questo esodo sta riducendo la forza lavoro nella sanità sociosanitaria con il rischio evidente che intere aree di cura vadano in tilt e nessuno a livello istituzionale avverte l’urgenza di avviare il tavolo di confronto. Nel frattempo al personale rimasto per garantire la continuità assistenziale vengono sospese le ferie e spesso capita di essere richiamati in servizio anche nei giorni di riposo. E quando si manifestano dei cluster nelle strutture, il personale subisce una forte pressione psicologica, perché vedono colleghi e ospiti contagiarsi. La stanchezza è palpabile nell’ aria, si può tagliare con un coltello. Infermieri, fisioterapisti, logopedisti, educatori, Oss e operatori sanitari vivono una situazione fatta di dumping contrattuali, di misere retribuzioni e di tagli ai diritti nell’indifferenza generale.

È necessario mettere in campo una task force che riconosca salari, diritti e professionalità ai lavoratori delle strutture sociosanitarie RSA e dei centri ambulatoriali di riabilitazione (ex art. 26 dalla legge 833/78). Superare le forme di precariato nei rapporti contrattuali di lavoro e avere il riconoscimento degli stessi livelli retributivi, stessi orari di lavoro e stesse tutele adeguate dei lavoratori della sanità pubblica. Perché i lavoratori delle strutture sociosanitarie e in tutte le strutture in cui ci si prende cura degli utenti più fragili, come anziani e disabili non sono lavoratori di serie B.

 

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