Il dramma dei giovani
29 Marzo 2014 Share

Il dramma dei giovani

Questo articolo non vuole incolpare nessuno in particolare ma ha una natura provocatoria che vuole spingere a una profonda riflessione. Vorrei provare a spiegare il dramma che vive un giovane molisano, prendendo in prestito l’espressione usata da Émile Zola in una lettera inviata al Presidente della Repubblica francese per difendere Dreyfus coinvolto ingiustamente in un pericoloso affaire: j’accuse.

Ebbene un giovane molisano, lungi dall’essere un nichilista, trova attorno a sé il nulla. Non importa che il giovane abbia studiato, che abbia avuto esperienze all’estero, che conosca le lingue, che abbia senso civico e senso critico, che abbia degli ideali, che sia un appassionato musicista, una bravissima ballerina o un capace agricoltore. La domanda che ritorna sempre è: come ne esco fuori?

Allora si passa il tempo a inviare curriculum in Italia e all’estero, si cercano tirocini non retribuiti, si cerca di fare investimenti e di dedicarsi ai propri terreni (per chi è fortunato). Ma tutto questo non dà frutti, solo un enorme senso di sconforto, di abbandono e soprattutto la certezza di non essere compresi.

J’accuse gli anziani quando dicono che i giovani di oggi non vogliono fare niente, a loro piace la bella vita. Sono numerosissimi gli esempi che dimostrano il contrario: giovani che pur consapevoli della propria dignità si lasciano sottomettere e sfruttare per aiutare la famiglia o per provare a crearsene una propria.

J’accuse le generazioni adulte perché si sono lasciate corteggiare dal capitalismo a tal punto da abbandonare gli ideali che li avevano spinti alla riconquista delle terre. Si sono adagiate e si sono fatte imbrogliare. Hanno consumato più del dovuto trasmettendo alle nuove generazioni il dovere dello spreco come se questo fosse cosa normale. Oggi vince chi può consumare di più, chi può essere al passo col mercato mentre il lavoro artigianale ha perso tutto il suo valore.

J’accuse gli adulti che hanno potuto permettersi di studiare mentre tantissimi giovani molisani oggi non possono più farlo. Essi custodiscono il proprio sapere gelosamente per timore che i più giovani possano rubargli il lavoro. Non si accorgono, i poveretti, che la condivisione di conoscenze è ricchezza e che sottovalutare la voglia di imparare dei giovani è il più grande danno che si possa fare al futuro.

J’accuse il personale degli uffici pubblici, schiacciato dagli ingranaggi del tempo: invece di aiutare i vecchietti li svia, li rimprovera, li maltratta. Menomale che c’è Piero Pelù a ricordare che “la tua lentezza è l’equilibrio per restare in piedi”. La lentezza, la gentilezza, la pietas.

J’accuse coloro che adagiandosi sugli allori hanno preferito alimentare la corruzione e il clientelismo, “regalando” anche solo prodotti della terra per “ottenere le carte” che erano semplicemente un diritto. Adesso questo sistema è talmente radicato che vivere al di fuori di esso è difficilissimo. Comportarsi nel rispetto delle regole e dell’etica, rispettare il principio kantiano secondo il quale “la mia libertà finisce dove inizia la tua” comporta l’esclusione dalla società capitalistica così costituita e, triste ma vero, il mancato accesso al lavoro.

J’accuse le generazioni che hanno seppellito i fatti e che oggi temono il potere della verità dei giovani e non le lasciano spazio.

J’accuse tutti coloro che si sono inginocchiati davanti al “dio denaro” dimenticando che ciò che conta davvero è la semplicità, l’umanità. L’uomo si è trasformato in una bestia che dona il proprio territorio alla malavita e le permette di scaricare rifiuti tossici che avvelenano e fanno ammalare anche bambini innocenti.

J’accuse i politici molisani che spesso hanno una cultura così inconsistente che stare attaccati alla poltrona è l’unica cosa che sanno fare.

J’accuse la generazione degli emigranti del secolo scorso che non vuole ricordare cosa c’è dietro la scelta di lasciare la propria terra e non apprezza il valore dell’ immigrazione e la risorsa che essa può rappresentare per la nostra terra e per i giovani che la abitano.

J’accuse tutti coloro che sono insoddisfatti del proprio matrimonio, che si sono sposati senza amore per rispetto del patriarcato o per qualcosa di peggio.

J’accuse gli imbroglioni, i ricattatori, i distratti, i collusi, gli ignoranti, i falsi medici, i falsi predicatori.

J’accuse gli intolleranti, i doppiogiochisti, e quelli che credono che il lavoro della zappa sia più pesante e nobile del lavoro della penna e della testa.

È la rabbia che affligge un giovane, l’impressione di non potersi muovere e di non poter fare una scelta, il senso di una realtà inafferrabile, di un amore non duraturo, della scomparsa dei sogni.

Infine, però, j’accuse i giovani che non reagiscono e non fanno di tutto per cambiare in meglio ciò che non hanno mai voluto. Tutto questo è realizzabile studiando gli errori commessi e i benefici apportati dalle generazioni che ci hanno preceduto. Se ci siamo è grazie a loro. ☺

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