Il senso di responsabilità
31 Marzo 2015 Share

Il senso di responsabilità

L’aggettivo responsabile (più spesso al plurale responsabili) viene usato frequentemente in questi ultimi anni nei dibattiti parlamentari e nelle cronache giornalistiche o radiotelevisive. Con questo termine si indica comunemente un parlamentare o un eletto di una qualsiasi assise istituzionale che viene convinto a lasciare il partito nel quale è stato eletto per correre in aiuto o di un governo o di una giunta comunale/regionale che per il rischio di andare in minoranza sono esposti ad un possibile voto anticipato. Con i governi Prodi e più spesso in questi ultimi anni con i governi Berlusconi/Monti/Letta ed ora con quello renziano detto delle larghe intese la parola responsabile è entrata nel linguaggio della prassi politica, disarticolando in modo vergognoso il principio della rappresentanza partitica nelle sedi istituzionali, dove gli eletti dovrebbero invece rappresentare gli interessi, le istanze, i programmi di quanti li hanno votato. Ma non è più così, perché, essendo le maggioranze governative inconsistenti e fluide, il passaggio da un polo ad un altro avviene molto frequentemente con il risultato che questa prassi vergognosa costituisce la prova provata dell’ inconsistenza del voto popolare (che rabbia questa riflessione comporta!!!), messo alla gogna e anche in vendita (sia metaforicamente che concretamente, come alcune indagini della magistratura, per esempio quella napoletana, stanno a dimostrare!).

Responsabili, dunque, nell’idioma odierno della politica sono coloro che salvano un governo, alla faccia di quanti li hanno eletti; sono coloro che fanno i salti della quaglia (da un partito ad un altro) e che esprimono, raffigurandolo nella sua abnorme consistenza, un rapporto, distorto, alterato e menzognero, fra l’eletto e l’elettore.

Di qui, si pone la domanda se sia lecito ancora dare un senso positivo e condiviso all’art. 67 della Costituzione – Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato -, che consente all’eletto di affrancarsi nel corso del suo mandato elettorale da quanti lo hanno votato. In verità, l’esercizio delle funzioni di parlamentare senza vincolo di mandato oggi più di ieri pone un problema etico oltre che politico, perché, anche a causa della labilità delle maggioranze parlamentari, il cittadino-elettore quasi sempre si sente tradito e, quel che è peggio, anche gabbato. Prendiamo in considerazione tutti i casi di corruzione di parlamentari o quell’ampio segmento sociale che noi definiamo “colletti bianchi” (la “massa  grigia” di leviana memoria) oppure i casi relativi a decisioni antipopolari, come nella cancellazione dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori o nella votazione a maggioranza sul Jobs Act, sul cui voto in parlamento si sono sicuramente verificate pressioni, pesanti e indigeste, su molti parlamentari. In questi casi, comunque, possiamo (e dobbiamo) parlare di irresponsabilità, di tradimento del mandato elettorale. Ci rendiamo conto dell’ ampiezza della questione e la rimandiamo a qualche altro prossimo appuntamento… Ora torniamo all’aspetto positivo dell’aggettivo responsabile. La responsabilità comporta la partecipazione e la presenza, oseremmo dire militante, sul territorio, fra la gente, che vuole essere sollecitata e spinta a fare politica. All’interno della società civile è vero che assistiamo ad un processo di disgregazione e di annientamento delle classi sociali per via della crisi economica, che si è abbattuta violenta e dannosa sulle fasce popolari e sul ceto medio, quasi eliminandolo, ma è anche vero il fatto che, a fronte di un numero sicuramente più ampio di corrotti, di complici, di cretini (cretini nel senso della loro arrendevolezza nei confronti delle illegalità e della corruzione), esistono consistenti segmenti di società civile partecipi della vita sociale e presenti nei conflitti. Il nostro sguardo va all’universo della scuola, a spezzoni del mondo universitario e della ricerca, nei quali ancora sono visibili gli insegnamenti di un Federico Caffè, di un Claudio Napoleoni, di un Ettore Maiorana, di un Sartre, di un Camus, di un Pasolini, di un Calvino, di un Saramago, di un Ermanno Rea, tutti intellettuali che hanno contribuito o che contribuiscono ancora (è il caso di Rea) alla formazione culturale e civile dei giovani  e anche degli adulti.

Per molti intellettuali l’impegno della scrittura e della ricerca si esplica anche nella propagazione di idee capaci di dare una soluzione alle ingiustizie o alla povertà, di alimentare in concreto utopie e sogni, di cui abbiamo un grande bisogno. Di qui, possiamo dare una risposta concreta a quanti si chiedono dove sia l’intellettuale oggi e che cosa stia combinando. In verità, oltre ai ciarlatani, ai pennivendoli e ai quaquaracquà dei talk show ci sono anche intellettuali responsabili che sono in grado di intessere una rete di solidarietà e di condivisione. È chiaro, dunque, che il nostro obiettivo, oggi, non può che essere quello di cooptare strategie politiche di incontro, di condivisione, di unità nelle molteplici diversità concettuali e politiche. Fare rete è essenziale; fondamentale e efficace sarà  poi la corresponsabilità. Da questo impegno politico, civile, etico può ri-nascere l’ intellettuale collettivo gramsciano. È utopico pensarlo? Non vogliamo perdere la bellezza del sogno e dell’utopia, pur essendo immersi in un mondo di miserie… Quello che conta massimamente per noi è che la solidarietà, considerata come una virtù repubblicana torni a riempire non solo i progetti di rinnovamento politico ma anche e soprattutto la nostra realtà quotidiana.☺

 

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