Il silenzio sui dati delle strutture di riabilitazione
22 Marzo 2018
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Il silenzio sui dati delle strutture di riabilitazione

Qualche mese fa avevo lanciato da queste pagine una provocazione – ritenuta salutare – con la quale intendevo sollevare il velo di omertà che esiste intorno al lavoro svolto dalle strutture di riabilitazione psico-sociale molisane.

Chiedevo, in quella occasione, alle 12 strutture presenti sul nostro territorio, di presentare i propri tassi di dimissione, permanenza presso i servizi, revolving doors, ecc.

L’idea era quella di aprire una discussione sul merito della riconversione delle nostre strutture, di cui si discute da anni, con un occhio non solo agli interessi (talvolta corporativi) di alcuni esponenti del sistema cooperativo, ma anche alla reale qualità e ai punti deboli dei servizi offerti alla committenza, ai pazienti, ai familiari e alle istituzioni. Gli indicatori elencati sono universalmente riconosciuti come parte integrante di un sistema di valutazione del lavoro svolto; si parla tanto di dati, di comunità scientifica, di metodologie validate… e si cade poi sulla più semplice modalità di confronto. Ad esempio, è facile intuire quanto una lunghissima permanenza presso le strutture debba essere giustificata da fattori specifici molto chiari, e che una massiccia presenza di pazienti che rispondono ad un tale profilo segnali una modalità di lavoro riabilitativo talvolta schiacciata sulla sola dimensione assistenziale (si tratta, ovviamente, di una ipotesi: in assenza di dati, difficile essere più precisi!).

La riconversione delle strutture non potrà non tener conto dell’esistente, certamente da un punto di vista sindacale, ma anche – e soprattutto – della qualità dei percorsi già attivi.

Per rompere il ghiaccio, abbiamo deciso di fornire noi – cooperativa Nardacchione, che gestisce due di quelle strutture – alcuni dati sul nostro lavoro degli ultimi sette anni.

La ricerca, svolta dal dottor Michele Vincelli, testimonia di una attenzione al progetto riabilitativo individuale che mira, fin dalle prime battute, alla dimissione e al reinserimento sociale. Si tratta non solo di un atteggiamento eticamente corretto, ma, nella maggior parte dei casi, di un tentativo realmente terapeutico, che prende vita già durante i primi contatti con i pazienti; ciò permette di analizzare i rischi di cronicizzazione insiti nell’istituzionalizzazione, dettata da meccanismi inconsci di équipe (che può essere a tratti espulsiva, molto spesso seduttiva e patologicamente promiscua nei confronti del paziente), da logiche economiche o scarsa attenzione per la costruzione del progetto stesso in sintonia con i territori.

Nello specifico, Il Casone di Casacalenda ha un tasso di dimissioni superiori a quattro per anno negli ultimi sette anni; per dimissioni intendiamo, ovviamente, il numero di pazienti dimessi con un progetto co-costruito con committente, famiglie, territori e paziente stesso, e non la mera “uscita” dell’utente dalla struttura.

La permanenza presso la nostra struttura è di diciotto mesi circa, assolutamente coerente con le linee guida dettate dal Ministero e dalla Regione Molise in vista della riorganizzazione del settore; un tempo medio non solo quantitativamente in linea, ma significativo se posto in relazione con altri indicatori, che permettono di inferire la qualità e l’attenzione per il lavoro terapeutico svolto.

La mole di dati e la raffinatezza del lavoro svolto dal dottor Vincelli non può essere riassunta in questo breve articolo, ma invitiamo chiunque fosse interessato a contattarci direttamente.

Infine, ribadisco l’invito rivolto a colleghi e soggetti che lavorano nel nostro settore: discutere di simili aspetti è assolutamente centrale, e sottrarsi a qualsiasi dibattito fa nascere il legittimo sospetto che esista ancora poca chiarezza circa la natura, gli obiettivi, le metodologie e i risultati dei trattamenti offerti dalla attuali CRP molisane.☺

 

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