la gola
31 Maggio 2010 Share

la gola

 

Ognuno di noi  sa cosa significhi la parola “gola”, e quello a cui tale termine fa riferimento; ma anche le espressioni  del tipo “peccato di gola”, “sei golosa”, “mi fa gola quel vestito” ci segnalano come questo vocabolo, oltre ad indicare forme abnormi o patologiche di comportamenti e di approccio al cibo o a oggetti attraenti, abbia in sé anche una profonda valenza metaforica. Di qui,  “gola”,  “golosità” indicano sia l’atto fisico del mangiare che il desiderio sregolato di disporre di quello che altri posseggono, come pure suggeriscono uno scenario su cui viene rappresentata, come teatralmente, la filosofia dell’assalto finanziario, monetario di una borghesia affaristica e totemica  nei confronti dell’ingenuo risparmiatore. 

L’immagine del “ricco epulone”, che tutti i giorni banchetta lautamente, mentre un mendicante di nome Lazzaro giace davanti alla sua porta coperto di piaghe in attesa di sfamarsi, tale immagine, dicevamo, procura un sentimento di impotenza e di rabbia, perché in due millenni la storia si ripete identica, proponendo una tale dicotomica realtà sociale: da una parte gli arroganti opulenti, ladroni e filistei, da un’altra i miserevoli e gli ultimi che muoiono di fame e di stenti. 

Ma ora lasciamo tali immagini di sofferenza o di lussurioso piacere su cui torneremo – e rivolgiamo la nostra attenzione al secondo aspetto del problema della “gola”, cioè a quella filosofia finanziaria e speculativa che ha determinato in questo ultimo anno la crisi economica che tutti oggi stiamo pagando in maniera pesante ed ingiusta.

La rapace voracità del capitalismo, vecchio e nuovo, viene espressa in maniera chiara dalla Borsa valori, strumento di collocamento di nuove emissioni azionarie da parte dei grandi complessi oligopolistici e luogo fisico dove i risparmiatori ingenui sognano di comprare e vendere titoli azionari, che quasi sempre hanno la durata di una fuggente meteora e che provoca (come ha provocato) enormi danni all’intero sistema economico-finanziario mondiale (la vicenda della Lehman Brothers americana insegna). Su queste tematiche relative agli imbrogli e ai furti della Borsa valori l’economista Federico Caffè ha scritto saggi che fin dagli anni settanta del secolo scorso hanno provocato reazioni negli ambienti ufficiali della finanza italiana tali che essa lo indicano come un economista visionario ed estremista. Ma Federico Caffè, nel 1986, rincara la dose  sul ruolo della Borsa valori, che lui definisce uno strumento di guadagni non leciti a tutto danno dei risparmiatori.

Lo scrittore Ermanno Rea in un libro sulla figura di Federico Caffè, intitolato L’ultima lezione, ne riporta il pensiero, che appare non solo di grande attualità ma anche di significativo valore, proprio in un momento storico, come quello attuale, nel quale viviamo una depressione economica addirittura superiore e più pericolosa di quella del 1929, la cosiddetta crisi di Wall Street, cui fece seguito la stagione del New Deal roosveltiano.

“(…) Sono molto amareggiato (…) in un altro paese la mia analisi sulla Borsa avrebbe provocato quanto meno un onorevole dibattito. Forse anche appassionato. In Italia invece…(…) Io so bene che gli oligopoli, le dimensioni planetarie delle macchine produttive, costituiscono realtà irreversibili (…) Il messaggio che io ho tentato di trasmettere nel corso della mia vita è stato quello di non attendersi che grandi processi di unificazione mondiali portino di per sé alla centralità dell’uomo. Una società giusta, umana, può essere il risultato di un forte impegno individuale e collettivo, può essere soltanto il frutto della nostra audacia intellettuale, della nostra consapevolezza che non esistono meccanismi autoregolamentatori, che il mercato non aggiusta mai le cose da sé. Soltanto questo ho inteso dire nella mia vita. Ma è bastato per farmi appiccicare addosso l’etichetta di economista pericoloso, di estremista. Così con la Borsa. Sostenevo una tesi. Avanzavo una proposta. Ma per aprire una discussione. Macché. Del resto, che cosa chiedevo? Non certo la chiusura di autorità d’ogni mercato finanziario. Dicevo: lo Stato ha il dovere di informare il pubblico sul carattere ingannevole e fraudolento del mercato borsistico, sulla illusorietà di certe promesse di facili guadagni. Non può tacere. Non può fingere che la questione non lo riguardi. Però, dicevo ancora, che cosa accadrebbe quando questa azione informativa venisse effettivamente svolta, ovviamente in modo tempestivo, efficace e capillare? Accadrebbe che la maggioranza dei risparmiatori si allontanerebbe dalla Borsa svuotandola, di fatto, di ogni significato. Insomma stabilivo un nesso tra il dovere dell’autorità pubblica di ammonire i risparmiatori sui rischi del gioco in Borsa e la capacità di sopravvivenza di tale istituzione.  (…) La Borsa senza il complice silenzio degli organi dello Stato, avrebbe vita breve. Può fare i suoi giochi solo se quelli tacciono. (…) Qual è infatti la situazione? Borsa alle stelle, titoli gonfiati ad arte come veri e propri palloncini di gomma, piazza degli Affari che rastrella denaro a palate e le autorità che tacciono pur sapendo che si tratta di un grande bluff, di un castello di sabbia destinato a franare al più presto. (… ) Parlerò anche di Sindona. Se non altro perché appena morto, forse suicida forse ucciso, comunque in un modo che ci mostra quanto i misteri della finanza d’assalto siano prossimi alla cronaca criminale” (Ermanno Rea, L’ultima lezione”, Einaudi tascabili, To, 2000).☺

bar.novelli@micso.net

 

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