mai più!    di Michele Petraroia
28 Ottobre 2012 Share

mai più! di Michele Petraroia

 

Riaffiorano pensieri tristi e tornano alla mente le emozioni, i pianti e la concitazione di quella notte di dieci anni fa, quando correvo senza meta, intorno a quella scuola che stava crollando, invocando aiuti celesti ed umani, che stentarono a materializzarsi. Un ignoto paesino  del meridione d’Italia venne assediato dalle TV di tutto il mondo che in mille idiomi diversi raccontavano la morte in diretta di bimbi innocenti. Con Matteo, unico assessore a non avere figli o nipoti sotto le macerie, litigavamo per procurare acqua, vestiario e cibo per le persone assembrate in piazza dalle 11.32 ed abbandonate a se stesse. A San Giuliano regnava il caos con militari ed agenti senza ordini, i volontari che scavavano con le mani e i vigili del fuoco che mettevano a rischio la propria incolumità per tirare in salvo i bambini. Gli applausi dei familiari per gli estratti vivi dalle macerie lasciarono il passo alle urla di dolore e alle lacrime senza pianto, con scene che non potrò mai cancellare dalla mia mente. Conoscevo i luoghi, le persone e la scuola. A giugno da segretario generale CGIL con i Maestri del Lavoro avevo premiato quei ragazzini che si erano cimentati nel ricordo della strage di Marcinelle dove morì un minatore di San Giuliano di cui non si è mai ritrovato il corpo. Ad agosto avevo tenuto un comizio in difesa dell’art. 18 in piazza incontrando e salutando compagni e amici che mi ospitarono a casa loro. E a distanza di due mesi ero nello stesso luogo a tentare di rendermi utile sentendomi in colpa al solo incrociare lo sguardo con i genitori, i nonni e gli zii dei bambini.

La tensione mi ammutoliva e gli occhi sostituivano le parole. Chi chiedeva rassicurazioni, chi invocava speranza, chi pregava e chi inveiva. Commisi l’errore di abbracciare un compagno e dirgli di avere fiducia. Ma la mattina successiva lo trovai seduto innanzi il Palazzetto dello Sport in cui venne aperta la più amara camera mortuaria della storia molisana. Mi fermai a due metri da lui, alzò lo sguardo e mi disse con voce fredda che avevo avuto torto. Un pugno in faccia mi avrebbe fatto meno male. Non proseguii oltre e non entrai più in quel Palazzetto. Guglielmo Epifani da Roma chiamò più volte durante quella notte, e le sue telefonate si accavallarono a quelle di tante persone che chiedevano notizie che nessuno poteva dare. Il giorno successivo col paese in lutto ci fu una seconda scossa che obbligò all’evacuazione totale della popolazione e accompagnai chi per nulla al mondo voleva allontanarsi da casa sua sulle terre arate che fiancheggiavano un campo sportivo troppo piccolo per ospitare tutte le tende. I volontari toscani erano eccezionali, sensibili e premurosi, ma la gestione della situazione era problematica perché da subito si cominciò a speculare sulla disgrazia. Si sollevarono dubbi e polemiche su tutto e tutti. Chi aveva da ridire sulla toccata e fuga di Berlusconi, che giunse la notte sulle macerie della scuola, fece un collegamento in mondovisione con Bruno Vespa e scappò via senza nemmeno esprimere il cordoglio all’amministrazione comunale. Chi chiedeva coperte, tende più grandi, una sistemazione più confortevole e si lamentava del rumore dei generatori elettrici di fortuna collocati vicino alla tendopoli.

Il giorno dei funerali con quelle bare bianche che ammonivano la coscienza degli adulti, Carlo Azeglio Ciampi ascoltò con compostezza il “mai più” detto con voce rotta da Nunziatina  facendo scorrere un brivido lungo la schiena a tutti i genitori italiani. E oggi, dopo dieci anni, dovremmo ripartire da quel grido d’allarme per fare un bilancio su cosa abbia insegnato il crollo di quella scuola allo Stato, alle istituzioni locali e a tutta la società. Purtroppo dopo quel lutto, l’Italia si è smarrita nelle Ordinanze Commissariali, nei Grandi Eventi e nel rincorrere investimenti pubblici, incarichi, consulenze, appalti e direzioni di lavori, adottando un’interpretazione della calamità quale opportunità per evadere gli obblighi di legge e derogare alle norme in nome dell’emergenza. Quella lezione non ha indotto ogni adulto a proteggere meglio i propri figli come ammonì il Capo dello Stato il giorno dei funerali. Al contrario si è innescata una gigantesca fuga dalla realtà con una lotta rancorosa di tutti contro tutti e una scarsa vigilanza democratica sul miglioramento della legislazione e sul rispetto delle regole in ogni ambito istituzionale, amministrativo, scolastico, pubblico e privato.

Lo Stato sapeva da anni che quel territorio era sismico ma lo ha riclassificato tale solo nel 2003, dopo il terremoto. La Regione aveva una legge sulla protezione civile da 30 mesi rimasta nel cassetto ma nessuno ne ha chiesto conto. Come spesso accade in questi casi ci si è costituiti e accaniti contro gli ultimi anelli della catena, rinunciando a fare una battaglia di civiltà in un’Italia che a dieci anni dal crollo della scuola di San Giuliano di Puglia ha ancora metà degli edifici scolastici privi di tutte le certificazioni di agibilità e sicurezza.

È amaro ammetterlo ma non siamo stati capaci di far assurgere a priorità nazionale il “mai più” di Nunziatina e lo sanno bene le mamme di Isernia che hanno pianto i figli morti a L’Aquila nella Casa dello Studente.☺

petraroia.michele@virgilio.it

 

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