mastri e schiavi
27 Aprile 2010 Share

mastri e schiavi

 

Cosa hanno in comune un diploma conseguito all’estero, un torneo sportivo internazionale, la matrice originale di un documento grafico o visivo?

Semplicemente il termine che li denomina: un vocabolo inglese che per brevità, o pigrizia, utilizziamo volentieri anche noi italiani: master!

L’uso vario e diffuso di questa parola nei diversi campi, dalla matematica all’informatica (ad esempio “masterizzazio- ne” è chiamata la riproduzione dei DVD), alle attività ludiche, allo spettacolo, ci ha fatto quasi dimenticare che il termine master attiene principalmente alle persone.

Come facilmente deducibile, l’etimo va ricercato nel latino magister (maestro).

In inglese però master non è sinonimo di “insegnante”, anche se nelle professioni, o nel mondo dell’arte, sta ad indicare la persona esperta che può, attraverso la sua esperienza e competenza, trasmettere il mestiere agli apprendisti: in tale accezione risulta equivalente al vocabolo italiano – di chiara origine meridionale –  “mastro”.

Master nel suo significato originale indica la persona che ha il controllo su altre persone, sottoposti o dipendenti; che è alla guida di un’organizzazione; che detiene il controllo di un’attività o impresa; in breve  è  il “padrone”!

La civiltà anglosassone ha dato ampio risalto a questa “figura”. In Inghilterra, patria della rivoluzione industriale, i proprietari delle fabbriche conseguivano ampi profitti a discapito di masse di operai sottopagati e sfruttati; negli Stati Uniti d’America, schiavi di origine africana erano costretti a lavorare nelle estese di piantagioni del Sud.

È proprio in questi contesti che l’accezione semantica di master si caratterizza negativamente: master si contrapponeva a slave [pronuncia: sleiv] (= schiavo), legittimando una ingiustizia e la violazione dei diritti umani.

Quanti ricordano l’impatto emotivo provocato dalla lettura del romanzo La capanna dello zio Tom!

A metà dell’Ottocento la scrittrice Harriet Beecher Stowe pubblicava, coraggiosamente, la storia che aveva per protagonista un mite uomo di colore; ella denunciava in questo modo la barbara condizione di schiavitù cui erano sottoposti uomini, donne e bambini, privati di qualsiasi dignità, in balia del loro “Massa”, come in gergo essi pronunciavano master.

Il romanzo della Stowe ha contribuito al fenomeno della presa di coscienza del grave problema della schiavitù, che qualche anno più tardi fu abolita, almeno formalmente, negli Stati Uniti.

Abolita dunque la schiavitù. Non aboliti i padroni! Nuovi master, mascherati da benefattori, controllano nuovi schiavi, che non necessariamente portano catene alle caviglie o battono il ritmo di un canto gospel tra i filari di cotone! …

Tornando alle considerazioni prettamente linguistiche, da master derivano numerosi altri termini tra i quali il sostantivo astratto mastery [pronuncia: mastri] che traduce l’italiano “padronanza, abilità”. Avere la capacità di fare qualcosa, essere competente, sono doti che devono appartenere a ciascuno, non essere appannaggio solo di pochi. Mastery è elemento fondamentale per la formazione di un individuo: se ne sono accorti pedagogisti ed educatori i quali, a partire dagli anni ’60 con Benjamin Bloom, hanno teorizzato il Mastey Learning [pronuncia: mastri lerning] che in italiano è traducibile in “apprendimento della padronanza”. Democratizzazione dell’educazione e attenzione alle diversità individuali sono gli elementi principali di questo metodo che, attraverso un’azione didattica frazionata e flessibile, intende far giungere il maggior numero di allievi ad un apprendimento efficace.

“Apprendimento della padronanza”, a cui anche la scuola italiana si ispira, significa formare individui consapevoli delle proprie potenzialità e capaci di guardare il mondo con i propri occhi. Significa ancora riconoscere dignità ad ognuno, significa riconoscersi persone libere, non schiavi!☺

dario.carlone@tiscali.it

 

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