Originari delle pianure dell’Ovest canadese, occupavano un vasto territorio, dalle Montagne Rocciose fino all’Oceano Atlantico, ed il loro habitat era costituito dalle foreste del Canada e dalle immense pianure degli attuali Stati Uniti. Vivevano tradizionalmente in piccoli gruppi nomadi, traendo il loro sostentamento dalla caccia e dalla pesca. In particolare il commercio delle pellicce costituiva per loro una attività economica molto importante. Sono gli Indiani Cree del Québec, appartenenti alla grande famiglia linguistica e culturale algonchina, la più diffusa fra i diversi popoli indigeni di tutto il nord America.
Il primo contatto di questa “nazione” (si chiamano così i raggruppamenti degli Indiani) con gli Europei risale all’inizio del 1700. Le vaste aree da loro occupate e il loro elevato numero evitarono probabilmente quella decimazione che subirono invece in modo drammatico altri nativi d’America, a causa delle guerre e delle epidemie portate dagli Europei. Tuttavia la presenza sempre più forte del governo federale canadese, la costruzione di case permanenti e il declino del commercio delle pellicce hanno sconvolto il modo di vivere dei Cree del Québec. La loro nazione conta oggi circa diecimila individui, insediati nei villaggi lungo la baia di Ungava, lo stretto e la baia di Hudson.
Come tutti gli Indiani, anche i Cree della natura hanno fatto un tempio. E sono proprio loro a regalarci questo mese un frammento di saggezza, che in questi giorni risulta più che mai attuale e toccante. Forse perché al messaggio ecologista unisce uno spietato atto d’accusa contro il denaro, al cui altare si sta ora sacrificando la nostra penisola: “Quando l’ultimo albero sarà abbattuto, quando l’ultimo fiore sarà avvelenato, quando l’ultimo pesce sarà catturato, allora vi accorgerete che i soldi non si mangiano”.
Originari delle pianure dell’Ovest canadese, occupavano un vasto territorio, dalle Montagne Rocciose fino all’Oceano Atlantico, ed il loro habitat era costituito dalle foreste del Canada e dalle immense pianure degli attuali Stati Uniti. Vivevano tradizionalmente in piccoli gruppi nomadi, traendo il loro sostentamento dalla caccia e dalla pesca. In particolare il commercio delle pellicce costituiva per loro una attività economica molto importante. Sono gli Indiani Cree del Québec, appartenenti alla grande famiglia linguistica e culturale algonchina, la più diffusa fra i diversi popoli indigeni di tutto il nord America.
Il primo contatto di questa “nazione” (si chiamano così i raggruppamenti degli Indiani) con gli Europei risale all’inizio del 1700. Le vaste aree da loro occupate e il loro elevato numero evitarono probabilmente quella decimazione che subirono invece in modo drammatico altri nativi d’America, a causa delle guerre e delle epidemie portate dagli Europei. Tuttavia la presenza sempre più forte del governo federale canadese, la costruzione di case permanenti e il declino del commercio delle pellicce hanno sconvolto il modo di vivere dei Cree del Québec. La loro nazione conta oggi circa diecimila individui, insediati nei villaggi lungo la baia di Ungava, lo stretto e la baia di Hudson.
Come tutti gli Indiani, anche i Cree della natura hanno fatto un tempio. E sono proprio loro a regalarci questo mese un frammento di saggezza, che in questi giorni risulta più che mai attuale e toccante. Forse perché al messaggio ecologista unisce uno spietato atto d’accusa contro il denaro, al cui altare si sta ora sacrificando la nostra penisola: “Quando l’ultimo albero sarà abbattuto, quando l’ultimo fiore sarà avvelenato, quando l’ultimo pesce sarà catturato, allora vi accorgerete che i soldi non si mangiano”.
Come tutti gli Indiani d'America i Cree vivevano in simbiosi con la natura. Ecco uno dei loro più famosi detti: “Quando l'ultimo albero sarà abbattuto, quando l'ultimo fiore sarà avvelenato, quando l'ultimo pesce sarà catturato, allora vi accorgerete che i soldi non si mangiano”.
Originari delle pianure dell’Ovest canadese, occupavano un vasto territorio, dalle Montagne Rocciose fino all’Oceano Atlantico, ed il loro habitat era costituito dalle foreste del Canada e dalle immense pianure degli attuali Stati Uniti. Vivevano tradizionalmente in piccoli gruppi nomadi, traendo il loro sostentamento dalla caccia e dalla pesca. In particolare il commercio delle pellicce costituiva per loro una attività economica molto importante. Sono gli Indiani Cree del Québec, appartenenti alla grande famiglia linguistica e culturale algonchina, la più diffusa fra i diversi popoli indigeni di tutto il nord America.
Il primo contatto di questa “nazione” (si chiamano così i raggruppamenti degli Indiani) con gli Europei risale all’inizio del 1700. Le vaste aree da loro occupate e il loro elevato numero evitarono probabilmente quella decimazione che subirono invece in modo drammatico altri nativi d’America, a causa delle guerre e delle epidemie portate dagli Europei. Tuttavia la presenza sempre più forte del governo federale canadese, la costruzione di case permanenti e il declino del commercio delle pellicce hanno sconvolto il modo di vivere dei Cree del Québec. La loro nazione conta oggi circa diecimila individui, insediati nei villaggi lungo la baia di Ungava, lo stretto e la baia di Hudson.
Come tutti gli Indiani, anche i Cree della natura hanno fatto un tempio. E sono proprio loro a regalarci questo mese un frammento di saggezza, che in questi giorni risulta più che mai attuale e toccante. Forse perché al messaggio ecologista unisce uno spietato atto d’accusa contro il denaro, al cui altare si sta ora sacrificando la nostra penisola: “Quando l’ultimo albero sarà abbattuto, quando l’ultimo fiore sarà avvelenato, quando l’ultimo pesce sarà catturato, allora vi accorgerete che i soldi non si mangiano”.
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