Mattino d’estate. E piove. La nebbia che avvolge ogni cosa, il buio, l’aria umida evocano in me atmosfere e sensazioni già vissute.
Varese, inverno. Il bus quotidiano è stipato di gente che al mattino si reca al lavoro nelle ore più scomode e alla sera, con impressionante regolarità, ripercorre il medesimo tragitto a cercare qualche ora di rifugio in famiglia. Al mattino sono facce già stanche a cui il riposo non sembra mai sufficiente, alla sera il desiderio della casa addolcisce i lineamenti segnati dalla fatica. Quante persone, negli assilli che non danno tregua, nello sfinimento che annullano con le distrazioni, la politica, il calcio, i rotocalchi sexy… guardano con occhi assenti attraverso i finestrini, ma fissi in immagini interiori! Il bus sosta davanti al semaforo o per il traffico congestionato, il lavoro della giornata è duro, anche la casa, a volte, è piena di tensione! Col cuore gonfio raccolgo frammenti di storie, speranze, umiliazioni… Non è possibile l’indifferenza: mi riconosco in quelle presenze disadorne come per un indissolubile intreccio di vite, ciò mi coinvolge, mi spinge ad una comprensione intuitiva e partecipata agli affanni di tanta gente, a quell’eccomi! di cui parla il filosofo ebreo Lèvinas, davanti ai loro volti che mi convocano, mi interpellano, mi provocano… Vorrei fare qualcosa qui ed ora, ma non so che cosa: sono giovane, donna, ed emigrata. Istintivamente cerco di trattenere pensieri leggeri che mi facciano volare oltre i miei limiti, sull’angustia della realtà e sognare impossibili itinerari, irraggiungibili mete: il mondo che vorrei.
Ho vissuto sotto il segno di un sogno ma il sogno non si è avverato e io non spero più che le cose possano cambiare finché i potenti dimenticano di abitare la storia e di ascoltare l’inquietudine del nostro tempo. Piove ancora e la nebbia avvolge ogni cosa… a quest’ora, nelle nostre città, mille bus ripetono l’eterno giro col loro carico di travagliata umanità.
Carolina
Mattino d’estate. E piove. La nebbia che avvolge ogni cosa, il buio, l’aria umida evocano in me atmosfere e sensazioni già vissute.
Varese, inverno. Il bus quotidiano è stipato di gente che al mattino si reca al lavoro nelle ore più scomode e alla sera, con impressionante regolarità, ripercorre il medesimo tragitto a cercare qualche ora di rifugio in famiglia. Al mattino sono facce già stanche a cui il riposo non sembra mai sufficiente, alla sera il desiderio della casa addolcisce i lineamenti segnati dalla fatica. Quante persone, negli assilli che non danno tregua, nello sfinimento che annullano con le distrazioni, la politica, il calcio, i rotocalchi sexy… guardano con occhi assenti attraverso i finestrini, ma fissi in immagini interiori! Il bus sosta davanti al semaforo o per il traffico congestionato, il lavoro della giornata è duro, anche la casa, a volte, è piena di tensione! Col cuore gonfio raccolgo frammenti di storie, speranze, umiliazioni… Non è possibile l’indifferenza: mi riconosco in quelle presenze disadorne come per un indissolubile intreccio di vite, ciò mi coinvolge, mi spinge ad una comprensione intuitiva e partecipata agli affanni di tanta gente, a quell’eccomi! di cui parla il filosofo ebreo Lèvinas, davanti ai loro volti che mi convocano, mi interpellano, mi provocano… Vorrei fare qualcosa qui ed ora, ma non so che cosa: sono giovane, donna, ed emigrata. Istintivamente cerco di trattenere pensieri leggeri che mi facciano volare oltre i miei limiti, sull’angustia della realtà e sognare impossibili itinerari, irraggiungibili mete: il mondo che vorrei.
Ho vissuto sotto il segno di un sogno ma il sogno non si è avverato e io non spero più che le cose possano cambiare finché i potenti dimenticano di abitare la storia e di ascoltare l’inquietudine del nostro tempo. Piove ancora e la nebbia avvolge ogni cosa… a quest’ora, nelle nostre città, mille bus ripetono l’eterno giro col loro carico di travagliata umanità.
Mattino d’estate. E piove. La nebbia che avvolge ogni cosa, il buio, l’aria umida evocano in me atmosfere e sensazioni già vissute.
Varese, inverno. Il bus quotidiano è stipato di gente che al mattino si reca al lavoro nelle ore più scomode e alla sera, con impressionante regolarità, ripercorre il medesimo tragitto a cercare qualche ora di rifugio in famiglia. Al mattino sono facce già stanche a cui il riposo non sembra mai sufficiente, alla sera il desiderio della casa addolcisce i lineamenti segnati dalla fatica. Quante persone, negli assilli che non danno tregua, nello sfinimento che annullano con le distrazioni, la politica, il calcio, i rotocalchi sexy… guardano con occhi assenti attraverso i finestrini, ma fissi in immagini interiori! Il bus sosta davanti al semaforo o per il traffico congestionato, il lavoro della giornata è duro, anche la casa, a volte, è piena di tensione! Col cuore gonfio raccolgo frammenti di storie, speranze, umiliazioni… Non è possibile l’indifferenza: mi riconosco in quelle presenze disadorne come per un indissolubile intreccio di vite, ciò mi coinvolge, mi spinge ad una comprensione intuitiva e partecipata agli affanni di tanta gente, a quell’eccomi! di cui parla il filosofo ebreo Lèvinas, davanti ai loro volti che mi convocano, mi interpellano, mi provocano… Vorrei fare qualcosa qui ed ora, ma non so che cosa: sono giovane, donna, ed emigrata. Istintivamente cerco di trattenere pensieri leggeri che mi facciano volare oltre i miei limiti, sull’angustia della realtà e sognare impossibili itinerari, irraggiungibili mete: il mondo che vorrei.
Ho vissuto sotto il segno di un sogno ma il sogno non si è avverato e io non spero più che le cose possano cambiare finché i potenti dimenticano di abitare la storia e di ascoltare l’inquietudine del nostro tempo. Piove ancora e la nebbia avvolge ogni cosa… a quest’ora, nelle nostre città, mille bus ripetono l’eterno giro col loro carico di travagliata umanità.
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