uscire dalla deriva   di Famiano Crucianelli
1 Dicembre 2011 Share

uscire dalla deriva di Famiano Crucianelli

 

Terminata la festa per la fine del governo Berlusconi è opportuno e necessario avviare una seria riflessione. In queste giornate convulse si è registrato uno straordinario consenso di popolo per il nuovo presidente del consiglio, lo ha manifestato più dell’80% dei cittadini italiani, quindi una grande simpatia, pur essendo tutti consapevoli che Monti non annuncia sogni, né accarezza facili illusioni. È un dato da non rimuovere, anzi dal quale partire.

Vi è una prima elementare considerazione: la Politica ha perso di significato, in realtà la Politica è morta da tempo, un suicidio ampiamente annunciato, del quale Enrico Berlinguer parlò con toni gravi per la prima volta già nel 1983; un degrado quello della Politica e delle Istituzioni che con Berlusconi ha raggiunto nuove vette e ha intrecciato farsa e dramma. Il governo Monti nella sua oggettività e nella rappresentazione simbolica è l’atto finale, la sepoltura di quel morto, di quel primato della Politica che, ormai, emetteva solo miasmi e veleni. E la gente legittimamente festeggia. Questa è la mela avvelenata più pericolosa che Berlusconi ci lascia in eredità: in questo senso il berlusconismo non finisce con il Cavaliere, perché, se è vero che la politica da anni si trascinava morente, se è vero che l’intervento dei magistrati nei primi anni ‘90 significò la certificazione del degrado morale di una parte grande del sistema politico, è anche vero che Berlusconi, con la complicità di molti, ha spinto la Politica e le Istituzioni in una palude senza principi e senza etica.

Bisogna però dirsi la verità sino in fondo, se si vuol tentare di risalire la china. Se non fossero intervenuti due fattori importanti, Berlusconi non avrebbe potuto così a lungo irretire, manipolare e corrompere il  sistema politico e sociale. In primo luogo la complicità di una parte ampia della società e della classe dirigente italiana: vi è un’Italia trasformista, opportunista, egoista e fondamentalmente illegale che ha trovato in Berlusconi il suo campione. Persino parti importanti della gerarchia della Chiesa hanno mercanteggiato con il Cavaliere vantaggi materiali, laicità dello Stato,  leggi e leggine che incidono nella sfera dei diritti della persona. Oggi l’esercito berlusconiano è in rotta, ma la mala pianta del berlusconismo, quella diffusa cultura incivile che tanti danni ha fatto, è ancora lì e non sarà impresa facile  spiantarla.

La seconda ragione che ha fatto di Berlusconi il Dominus della vicenda politica italiana è da individuare nella inettitudine, nella confusione mentale e politica dell’opposizione e della stessa sinistra. Se dovessimo ricostruire senza faziosità la storia di questi anni emergerebbero e sul terreno progettuale e su quello del comportamento tutte le miserie dell’opposizione. Un centro-sinistra incapace di dare una nuova prospettiva storica ai cittadini europei, impotente di fronte al problema dei nostri tempi, ovvero la necessità di coniugare modernità e giustizia sociale. Nel 1996 tutti i grandi paesi europei e gli Stati Uniti erano governati da forze democratiche e di sinistra, è stata persa una grande occasione. In secondo luogo una sinistra – democratica chiusa nei suoi meccanismi corporativi e sempre più lontana dal sentimento e dai bisogni popolari, sorda di fronte a quel grande disagio sociale e ideale che, nella crisi, ha colpito lavoratori, classi subalterne e ceti medi. Infine una sinistra che nella sua parte estrema si è crogiolata  nell’ideologismo e nel narcisismo indifferente ai danni morali e materiali che Berlusconi e i suoi governi avrebbero prodotto nella società italiana. Questo spiega  perché, quando Berlusconi esce di scena e l’obiettivo sembra essere vicino, il centro-sinistra e la sinistra arrivano nudi alla meta e approdiamo al governo “dei tecnici” e del “ presidente”. Abbiamo dinnanzi un problema acutissimo e di difficile soluzione, perché la crisi della quale giustamente tanto si parla non è solo economica e finanziaria, ma investe i meccanismi profondi della democrazia, dell’etica pubblica e del sistema politico.

Peggio nel Molise

La realtà molisana, se è possibile, in questo contesto rappresenta il peggio e le ultime elezioni ne sono testimonianza eloquente. Al di là del fumo che artatamente si è voluto creare sul risultato elettorale, i dati sono chiarissimi: se cumuliamo le astensioni ai voti di protesta per Grillo quasi un elettore molisano su due non ha votato, un astensionismo poco al di sotto del 50%. Iorio è stato eletto con poco più del 25% degli elettori aventi diritto al voto, questo a testimonianza di quanto profondo sia il logoramento del sistema di potere del Presidente della regione. Il centro-sinistra si ferma al 40%, il Partito Democratico al 9% e lo stesso partito di Di Pietro subisce un serio arretramento. Non è necessario essere dei raffinati analisti per interpretare questi dati. La destra di Iorio galleggia nell’indifferenza dei cittadini molisani, il centro-sinistra e il PD sono inesistenti e l’astensionismo, per quanto deprecabile, è la forma che la resistenza democratica ha preso in Molise. La ragione di questo stato di cose è sotto gli occhi di tutti. Il sistema clientelare e delle regalie di chi ha gestito il potere è una goccia di fronte ai gravi problemi sociali dei cittadini molisani, di più si respira nell’aria finalmente una certa nausea morale per il degrado della politica e per la degenerazione delle istituzioni: da qui il distacco, il rifiuto, la protesta e il non voto dei molisani.

Questo sentimento ha investito non solo chi il potere lo ha gestito, ma con pari vigore i partiti d’opposizione e la sinistra che, al di là di qualche voce solitaria, è apparsa silenziosa, se non complice con quanto si è consumato nelle stanze del potere. Esemplare fu l’approvazione quasi unanime dello statuto regionale con il quale l’insieme del ceto politico difendeva i propri interessi particolari; esemplare è stata la selezione delle candidature a Presidente della regione che testimoniano una promiscuità, una trasversalità e una connivenza fra destra e centro-sinistra che mortifica valori e progetti della sinistra e disgrega il senso stesso della democrazia. Perché sorprendersi della sconfitta di Termoli, di Campobasso o della vittoria di uno Iorio agonizzante alla regione? I partiti sono ridotti nei loro vertici a consorterie, ove si amministrano gli interessi particolari di tizio e caio, i partiti nella loro struttura fondamentale  sono trasformati in somma di comitati elettorali e così la politica diviene il regno della confusione e della trasversalità dominata da personalismi e particolarismi. Su questo terreno di cultura non può che vincere la destra e crescere la pianta del qualunquismo delle idee e dei comportamenti.

Tutti speriamo che Monti ce la faccia e riduca lo spread fra i titoli italiani e i bund tedeschi, ma il nuovo presidente del consiglio e i suoi ministri non hanno le chiavi per aprire una nuova stagione della Politica. Quelle chiavi sono nelle mani di quel grande patrimonio umano fatto di passione civile, di militanza politica che oggi è fuori dal sistema politico e che da anni patisce spesso in silenzio e resiste all’interno degli stessi partiti di sinistra. Il rischio è che questo  capitale si disperda definitivamente nel silenzio anonimo o nelle grida scomposte della protesta. Questo sarebbe un grave guaio, né vi sarebbe tecnico al mondo, per quanto illustre, capace di tirarci fuori da quel buco nero. Oggi e non domani, prima che il tempo scada, è decisivo che le donne e gli uomini di buona volontà si mettano insieme e facciano qualcosa di utile.    ☺

famiano.crucianelli@tiscali.it

 

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