Amore per la vita
11 Dicembre 2015
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Amore per la vita

 

Principio d’autunno apparentemente normale quanto a ritmi ed eventi, normalmente costellato da paesaggi ed atmosfere conosciuti; l’anima, però, una serie caotica di frammenti insensibili. Fino all’incastro di senso.

Incastro. Mi suggerisce già nel suono l’idea di una collisione dal risultato perfetto: va così e diversamente non potrebbe, perché le componenti dell’incastro, le tessere del mosaico, combaciano lungo tutti i margini, così e solo così formano un’unità nuova e significativa.

Incastro è l’amicizia, sempre; incastro magicamente tenace è quell’amicizia che si fondi tra l’altro sullo scambio di libri e suggerimenti di lettura, su discussioni e confronti a proposito di libri. Forse perché il libro ci attraversa nell’anima e condividerne la passione è di per sé un incontro tra anima e anima.

“Avresti un libro coinvolgente, forte magari, che mi tiri un po’su”? L’ho chiesto ad un amico di libro, lettore instancabile e per me termine di riferimento culturale e spirituale; lui mi ha guardato di sottecchi, l’aria sorniona e pensosa solita, quindi mi ha promesso una “cosa preziosa”, una “cosa importante”. Il giorno dopo avevo tra le mani il Diario di Etty Hillesum. L’ho amato immediatamente e dapprima ne ho divorato le pagine; di seguito, approssimandomi alla conclusione, per non dovermene separare, ho cominciato a centellinarle lentamente.

Da Etty Hillesum in ogni caso non mi separerò: la lettura del suo diario mi ha segnato, magari perché ho riconosciuto in lei un po’di me, di certo perché è uno straordinario sprone alla vita il cammino che Etty percorre a prima vista in modo informe e caotico ma in sostanza con decisa consapevolezza verso la conquista di un’esistenza piena di significato, pur nell’imminenza della tragedia. Quello di Etty Hillesum è, infatti, uno dei tanti diari scritti da giovani ebrei olandesi durante il periodo della Shoa, diverso da quello di Anna Franck, ma che allo stesso modo meriterebbe di essere diffusamente noto.

Etty, nata nel 1914 da una famiglia della borghesia intellettuale ebraica olandese e morta nel 1943 ad Auschwitz, dove insieme a lei persero la vita i genitori ed il fratello, cominciò il suo diario all’età di 27 anni, nel 1941, probabilmente dietro consiglio del suo terapista, lo psicochirologo Julius Spier, del quale Etty era paziente e con il quale, benché al tempo fosse legata ad un altro uomo, intraprese una relazione sentimentale che le cambiò la vita, secondo quanto lei stessa afferma; la redazione del diario proseguì fino al 1943, mentre Etty si trovava nel campo di transito di Westerbrok, meta che Etty aveva scelto scansando le possibilità di una fuga e di un “nascondiglio” offertele dai numerosi conoscenti, in quanto desiderosa di ritrovare in quel campo gli amici ebrei ed assistere le persone che erano in attesa della deportazione in Polonia, bimbi, anziani, malati. Anche così ama la vita Etty, che proprio a Westerbork scrive: “A volte mi si impone la visione di campi di battaglia color verde veleno, ma sto anche vicina al gelsomino e al pezzo di cielo dietro la mia finestra. In una vita c’è posto per tutto. Per una fede in Dio e per una misera morte.”

L’amore per la vita, pur nel bel mezzo dell’infuriare della guerra, il costante impegno nel descrivere un circolo virtuoso di senso tra sé, Dio, gli altri, finanche i nazisti tedeschi, è quanto meglio caratterizza il diario di Etty, un diario di eventi quotidiani e di pensieri che scopre ai lettori la forza e la versatilità speculativa dell’autrice, stupefacenti tanto più se si considera la sua giovane età.

Etty vive i mesi più drammatici della comunità ebraica in Olanda e si rende conto della gravità della situazione, tuttavia definisce il 1941 un anno “ricco e fruttuoso”, “il più felice” della sua vita e chiama “bella” la vita anche dopo, quando ormai è certa che i nazisti stanno mettendo in atto uno sterminio contro gli ebrei. Ama la vita Etty, sebbene ne colga le infinite contraddizioni e sul piano strettamente personale e su quello universale della storia umana: anziché lasciarsi frantumare da tali contraddizioni, persegue una condotta che ricomponga i conflitti della vita e riunisca dolore, preoccupazione, piccole e grandi gioie, come chi – scrive citando Rilke – “riconcilia i molti controsensi della propria vita e li riassume con gratitudine in un unico simbolo”.

Etty Hillesum è una ragazza sui generis, ed anche per questo mi è piaciuta. Difficile etichettarla: ebrea per nascita e per educazione, ma attratta dal cristianesimo, risulta scomoda, per nulla esemplare quanto a pratica di vita e dal punto di vista dell’etica ebraica e da quello dell’etica cristiana; d’altro canto è uno spirito troppo intrinsecamente religioso per poter essere eretto a paradigma di un umanesimo laico. Formata alla scuola di Rilke, Dostoevskij, Sant’Agostino, si appassiona alla Bibbia, Antico e Nuovo Testamento; dell’Antico Testamento ammira la forza “primordiale”, la radice “popolare”, le figure “magnifiche, forti e poetiche”; parimenti si entusiasma per San Paolo, in particolare per l’inno all’amore della Prima lettera ai Corinzi e, ricordando San Matteo, spesso ripete come monito a se stessa: “Non affannatevi dunque per il domani, perché il domani avrà già le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena.”

La ricerca di Dio è uno dei motori del pensiero di Etty: lei Dio lo disseppellisce, lo scava dal suo  intimo e lo cerca nel cuore di tutti gli uomini che incontra: “in fondo – scrive – la mia vita è un ininterrotto ascoltar dentro me stessa, gli altri, Dio”; e si propone di aiutarlo Dio, perché non venga distrutto nella sua anima: “se mi ritrovassi chiusa in una cella e vedessi passare una nuvola davanti alla piccola inferriata – continua -, allora ti porterei quella nuvola, mio Dio, sempre che ne abbia ancora le forze”.

Filo d’oro dell’esperienza di vita e della meditazione di Etty Hellisum e conseguenza della sua instancabile ricerca di Dio è il legame, l’afflato vitale che ella riconosce in tutto e tutti: “La vita e la morte, il dolore e la gioia, le vesciche ai piedi estenuati dal camminare e il gelsomino dietro casa, le persecuzioni, le innumerevoli atrocità, tutto, tutto è in me come un unico, potente insieme, e come tale lo accetto e comincio a capirlo sempre meglio, così, per me stessa, senza riuscire a spiegarlo agli altri. Mi piacerebbe vivere abbastanza a lungo per poterlo fare, e se questo non mi sarà concesso, bene, allora qualcun altro lo farà al mio posto, continuerà la mia vita dove essa è rimasta interrotta. Ho il dovere di vivere nel modo migliore e con la massima convinzione, sino all’ultimo respiro: allora il mio successore non dovrà ricominciare tutto da capo e con tanta fatica”.

Io vorrei saperla accogliere l’eredità di Etty, come ho accolto, grata, la genuina, profonda poesia della sua vita e della sua scrittura.

A presto. ☺

 

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