Il sanguinello
25 Febbraio 2016
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Il sanguinello

Il nome del genere deriva dalla radice indoeuropea Kar, che ha il significato di “essere duro”, e che è poi passata al latino cornus, “corno”, a sottolineare la durezza e robustezza del suo legno. Per quanto riguarda il nome della specie, sanguinea, esso si riferisce invece al colore rossiccio inconfondibile dei suoi rametti, che risaltano soprattutto d’inverno, quando sono privi di foglie. Anche queste si distinguono per il bel colore rosso marcato che assumono in autunno e che è ancora visibile in questo periodo. Proprio per la bella colorazione autunnale delle foglie, questa pianta viene coltivata nei vivai forestali a scopo ornamentale.

Il sanguinello cresce fino a 1.300 metri s.l.m. ed è considerata una pianta pioniera, perché è tra le prime a comparire nei terreni abbandonati, ai margini dei boschi misti di latifoglie, o lungo i bordi delle strade, formando facilmente associazioni con altre specie autoctone. Nei terreni freschi e fertili può raggiungere anche i 4 metri di altezza ed è assai evidente sia in corso di fioritura che di fruttificazione. I suoi piccoli fiori bianchi, riuniti in infiorescenze a corimbo, sono eleganti e caratteristici; i frutti sono delle bacche di 5-6 mm di diametro, di colore nero a maturità. Le bacche non sono velenose ma neanche commestibili, perché di sapore decisamente amaro e sgradevole. Contengono un nocciolo con due semi oleosi, da cui, un tempo, veniva estratto un olio, che, oltre ad alimentare le lampade, era impiegato per tingere di grigio o di azzurro le pelli e per fabbricare sapone. Dei frutti del sanguinello sono ghiottil sanguinello2i in particolare i merli, le cesene e i tordi.

Mentre in passato la corteccia, i semi e il midollo dei rami di questa pianta venivano adoperati dagli “stregoni” nei riti magici e per la preparazione di pozioni velenose, oggi, dai suoi rami – oltre ai vari costituenti, quali tannini, polifenoli, acido malico, vitamina C, sali e pectina -, viene estratta la “Dimetilglicina”, che trova utilizzo nella preparazione di farmaci anticoagulanti e antitrombotici. I rami giovani, inoltre, per la loro flessibilità, possono essere impiegati per confezionare ceste e canestri, al pari del salice da vimini, e in alcune regioni vengono utilizzati per preparare spiedini, perché pare che conferiscano un buon aroma alla carne.

L’intera pianta può essere poi utilizzata per ricavare un ottimo carbone e, data la durezza del legno, nella fabbricazione di ingranaggi per mulini, raggi di ruote e pestelli per mortai, o di manici per attrezzi da lavoro e di bastoni da passeggio. Sempre in passato, ma purtroppo anche tuttora, i rami venivano impiegati dai bracconieri per la costruzione del gancio di chiusura degli “archetti”, strumenti di morte (e di tortura) per i piccoli uccelli.☺

 

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