I fiori campestri sono trattati di solito come le cenerentole della natura. Eppure molte specie come la calendula, la margherita, la viola e la primula non sono più considerate realmente selvatiche perché spesso si trovano anche sui nostri balconi o terrazze. I fiori dei campi, così familiari e ognuno con un suo carattere, colore e profumo delineati dalla natura circostante, danno un breve sollievo alla nostra vita frenetica. Senza spesa, un prato o un giardino costituiscono un piccolo vivaio e forniscono primule, violette, margheritine, insomma tutti quei piccoli fiori che caratterizzano una stagione. Una gita in aperta campagna può diventare occasione per una raccolta straordinaria e insolita: un mazzolino di fiori freschi rallegrerà le nostre case portando in esse non solo un tocco di colori ma anche tutto il profumo della primavera.
Questo articolo dovrebbe essere letto soltanto per puro piacere: non si rivolge agli specialisti, perché si occupa del comune piuttosto che del raro: molto comuni infatti sono questi fiori di cui parliamo e che annunciano la primavera.
CALENDULA (Calendula arvensis L.)
Narra una leggenda greca che la dea Afrodite, addolorata per la morte del giovane amante Adone, pianse lacrime che, toccando terra, si tramutarono in calendule. Il nome, che deriva dal latino calendae = il primo giorno del mese, è invece riferito alla prolungata fioritura di questa pianta che sembra rinnovarsi all’inizio di ogni mese. È detta anche “orologio dei contadini”, perché si gira seguendo l’apparente moto del sole e la si può considerare un barometro naturale, in quanto annuncia l’arrivo del maltempo chiudendo i suoi capolini.
Ma il soprannome più curioso della pianta è quello scelto dai francesi: petit souci o souci des champs, perché la calendula si preoccuperebbe della salute degli uomini. Contiene infatti un’essenza capace di neutralizzare le sostanze tossiche inoculate dagli insetti con le loro punture. Il cataplasma di foglie fresche può essere usato come callifugo. Le tinture ricavate da fiori e foglie rimarginano piaghe e ferite, e curano varie malattie della pelle. Il decotto, preso regolarmente, medica efficacemente ulcere croniche e gastriti, ed è insieme stimolante e calmante, depurativo e diuretico. Con i capolini e le sommità fiorite, raccolte in aprile-giugno e settembre-novembre, si prepara infine un infuso che ha proprietà antisettiche, cicatrizzanti e lenitive.
I capolini si possono anche gustare in insalate miste, salse e sottaceti.
PRATOLINA o MARGHERITINA (Bellis perennis L.)
Nel linguaggio dei fiori, la pratolina evoca candore e innocenza. Nonostante la piccola taglia e l’aspetto fragile, resiste anche a basse temperature, fino a –17° C, e fiorisce anche in inverno, appena spunta un raggio di sole. A queste due caratteristiche della pianta, la grazia e la durevolezza, sembra ispirarsi il suo nome scientifico che deriva dal latino bellus = elegante, grazioso, bello e perennis = perenne.
Le foglie, che nascono da un breve rizoma, larghe e spatolate, formano una rosetta basale; il fiore è un capolino solitario con disco giallo e con ligule bianche o tinteggiate di rosso all’esterno.
I fiori e le foglie fresche, pestate, leniscono i dolori di contusioni e distorsioni. L’infuso che si ottiene da queste stesse parti ha proprietà diuretiche, depurative e antinfiammatorie. Le sue tenere foglie, aggiunte alle insalate primaverili e associate ad altre piante selvatiche, come la cicoria e il tarassaco, agiscono come depurativi del sangue.
Tra le principali ricette che è possibile ottenere da questo fiore si ricordano i boccioli di pratoline sott’aceto e l’insalata di pratoline con mele e noci. Dai boccioli di pratoline capperati si può inoltre ricavare una salsa verde che è ottima da gustare sulle acciughe.
VIOLA MAMMOLA (Viola odorata L.)
Diffusa nei luoghi boschivi ed erbosi, questa pianta sarebbe nata, secondo una leggenda greca, da una figlia di Atlante, la quale per sfuggire ad Apollo, dio del sole, fu trasformata da Giove in una viola mammola, il fiore che cresce nascosto nell’ombra dei boschi. Il suo significato nel linguaggio dei fiori deriva, infatti, dall’umile posizione della pianta che, quasi con modestia, china i suoi fiori e li nasconde nell’ombra.
Viola è una parola latina che descrive il colore del fiore, mentre odorata significa “dal dolce profumo” poiché, tra tutti gli esemplari di questa specie, la Viola mammola è la preferita per il suo profumo intenso. Anche la Viola bianca è particolarmente profumata, però è più rara da trovare.
I fiori della viola sono portati da lunghi steli. Generalmente i primi fiori, profumati, sono sterili; non appena la prima fioritura giunge al termine, compaiono altri fiorellini, privi di corolla, poco visibili, i quali, autofecondandosi, producono delle capsule deiscenti pieni di semi vitali, brunastri, sferici.
Della viola mammola si raccolgono le radici in autunno-inverno e i fiori in febbraio-marzo.
Uno dei principi attivi contenuti è la violina, che ha effetto emetico. Ma questa proprietà era sconosciuta ai tempi di Dioscoride e di Ippocrate e sembra che sia stata divulgata da medici arabi durante il Medioevo.
Il decotto dei fiori viene usato per il lavaggio degli occhi, mentre la tisana di foglie cura le vene varicose. Lo sciroppo dei fiori è antisettico, e insieme alle foglie, cura la tosse, il mal di testa e l’insonnia anche dei bambini, ai quali venivano messe delle violette sul cuscino quando andavano a letto.
I fiori, canditi, si utilizzano per aromatizzare dolci e liquori, per ornare insalate miste o per preparare dessert e sciroppi.
PRIMULA (Primula acaulis Hill.)
’U pappecaše è una pianta erbacea perenne molto comune, che si trova nei luoghi erbosi boschivi di tutta la penisola italiana; i suoi fiori si aprono quando le giornate cominciano ad allungarsi ed il freddo piano piano diminuisce. Il nome del genere, Primula deriva proprio dal fatto che essa è tra le prime piante a fiorire ed annuncia l’imminente arrivo della primavera e infatti viene chiamata anche primaverina. Acaulis, invece, significa “senza fusto”, ma in realtà vi è un fusto molto corto difficilmente distinguibile sul quale sono inserite le foglie. Dato che la piantina fiorisce quando gli insetti sono ancora pochi, i fiori spesso non vengono impollinati. Da questa caratteristica, Shakespeare, in Racconto d’inverno, trasse una metafora poetica, quella delle “pallide primule che muoiono nubili”. La sua nascita abbastanza precoce ha inoltre ispirato, nel linguaggio dei fiori, l’emblema della prima giovinezza.
Quando i fiori si aprono, emergono al di sopra delle foglie e formano una “cupoletta” (è un vero e proprio bouquet) che rende molto attraenti le piante anche per il bel colore giallo chiaro dei petali che formano quella meravigliosa corolla. Oggi, tuttavia, sono molte le varietà coltivate derivate dalla Primula acaulis, e i colori dei fiori sono disponibili in una vasta gamma di tonalità.
Ma la primula è apprezzata anche per le non poche proprietà medicinali. L’infuso di radici, foglie e fiori cura vertigini, palpitazioni, emicranie. Culpepper, un famoso medico e botanico inglese, racconta che le dame conoscevano bene l’unguento o il distillato di primula che usavano come preparato di bellezza o, almeno, per ristorare la bellezza persa con l’età. Il vino di primula, che si ottiene mettendo i fiori in una bottiglietta e coprendoli di vino bianco, favorisce la buona circolazione. I fiori essiccati forniscono un tè aromatico privo di azione eccitante. Sempre i fiori servono inoltre a profumare la birra e a migliorare il bouquet del vino; canditi, sono dolci deliziosi.
In alimentazione si possono utilizzare le foglie per preparare curiose pietanze: insalate crude miste, focacce e frittate ma si possono gustare anche aggiunte a molte altre verdure. Tutte le foglie, quelle meno giovani e quelle tenere, possono essere sbollentate in acqua, per 3-5 minuti, da sole o con altre verdure, e consumate come contorno passato in padella con una noce di burro, impiegate come ripieno per arrosti e condite con sale, aceto (o limone) ed olio. I fiori delle primule hanno un lieve e gradevole sapore e, a seconda della specie, sono più o meno profumati; possono essere usati per decorare le insalate o per profumare vini, liquori e macedonie o per farne delle marmellate.
Da piccolo, quando si andava con gli amici a raccogliere le primule, molte di esse, invece di andare a formare un bel mazzetto ornamentale, finivano in bocca ai raccoglitori, perché, appunto sono commestibili. Tutte le specie e varietà, incluse quelle ornamentali, che si acquistano nei garden center, sono parimenti commestibili (se non trattate con prodotti chimici).
I fiori campestri sono trattati di solito come le cenerentole della natura. Eppure molte specie come la calendula, la margherita, la viola e la primula non sono più considerate realmente selvatiche perché spesso si trovano anche sui nostri balconi o terrazze. I fiori dei campi, così familiari e ognuno con un suo carattere, colore e profumo delineati dalla natura circostante, danno un breve sollievo alla nostra vita frenetica. Senza spesa, un prato o un giardino costituiscono un piccolo vivaio e forniscono primule, violette, margheritine, insomma tutti quei piccoli fiori che caratterizzano una stagione. Una gita in aperta campagna può diventare occasione per una raccolta straordinaria e insolita: un mazzolino di fiori freschi rallegrerà le nostre case portando in esse non solo un tocco di colori ma anche tutto il profumo della primavera.
Questo articolo dovrebbe essere letto soltanto per puro piacere: non si rivolge agli specialisti, perché si occupa del comune piuttosto che del raro: molto comuni infatti sono questi fiori di cui parliamo e che annunciano la primavera.
CALENDULA (Calendula arvensis L.)
Narra una leggenda greca che la dea Afrodite, addolorata per la morte del giovane amante Adone, pianse lacrime che, toccando terra, si tramutarono in calendule. Il nome, che deriva dal latino calendae = il primo giorno del mese, è invece riferito alla prolungata fioritura di questa pianta che sembra rinnovarsi all’inizio di ogni mese. È detta anche “orologio dei contadini”, perché si gira seguendo l’apparente moto del sole e la si può considerare un barometro naturale, in quanto annuncia l’arrivo del maltempo chiudendo i suoi capolini.
Ma il soprannome più curioso della pianta è quello scelto dai francesi: petit souci o souci des champs, perché la calendula si preoccuperebbe della salute degli uomini. Contiene infatti un’essenza capace di neutralizzare le sostanze tossiche inoculate dagli insetti con le loro punture. Il cataplasma di foglie fresche può essere usato come callifugo. Le tinture ricavate da fiori e foglie rimarginano piaghe e ferite, e curano varie malattie della pelle. Il decotto, preso regolarmente, medica efficacemente ulcere croniche e gastriti, ed è insieme stimolante e calmante, depurativo e diuretico. Con i capolini e le sommità fiorite, raccolte in aprile-giugno e settembre-novembre, si prepara infine un infuso che ha proprietà antisettiche, cicatrizzanti e lenitive.
I capolini si possono anche gustare in insalate miste, salse e sottaceti.
PRATOLINA o MARGHERITINA (Bellis perennis L.)
Nel linguaggio dei fiori, la pratolina evoca candore e innocenza. Nonostante la piccola taglia e l’aspetto fragile, resiste anche a basse temperature, fino a –17° C, e fiorisce anche in inverno, appena spunta un raggio di sole. A queste due caratteristiche della pianta, la grazia e la durevolezza, sembra ispirarsi il suo nome scientifico che deriva dal latino bellus = elegante, grazioso, bello e perennis = perenne.
Le foglie, che nascono da un breve rizoma, larghe e spatolate, formano una rosetta basale; il fiore è un capolino solitario con disco giallo e con ligule bianche o tinteggiate di rosso all’esterno.
I fiori e le foglie fresche, pestate, leniscono i dolori di contusioni e distorsioni. L’infuso che si ottiene da queste stesse parti ha proprietà diuretiche, depurative e antinfiammatorie. Le sue tenere foglie, aggiunte alle insalate primaverili e associate ad altre piante selvatiche, come la cicoria e il tarassaco, agiscono come depurativi del sangue.
Tra le principali ricette che è possibile ottenere da questo fiore si ricordano i boccioli di pratoline sott’aceto e l’insalata di pratoline con mele e noci. Dai boccioli di pratoline capperati si può inoltre ricavare una salsa verde che è ottima da gustare sulle acciughe.
VIOLA MAMMOLA (Viola odorata L.)
Diffusa nei luoghi boschivi ed erbosi, questa pianta sarebbe nata, secondo una leggenda greca, da una figlia di Atlante, la quale per sfuggire ad Apollo, dio del sole, fu trasformata da Giove in una viola mammola, il fiore che cresce nascosto nell’ombra dei boschi. Il suo significato nel linguaggio dei fiori deriva, infatti, dall’umile posizione della pianta che, quasi con modestia, china i suoi fiori e li nasconde nell’ombra.
Viola è una parola latina che descrive il colore del fiore, mentre odorata significa “dal dolce profumo” poiché, tra tutti gli esemplari di questa specie, la Viola mammola è la preferita per il suo profumo intenso. Anche la Viola bianca è particolarmente profumata, però è più rara da trovare.
I fiori della viola sono portati da lunghi steli. Generalmente i primi fiori, profumati, sono sterili; non appena la prima fioritura giunge al termine, compaiono altri fiorellini, privi di corolla, poco visibili, i quali, autofecondandosi, producono delle capsule deiscenti pieni di semi vitali, brunastri, sferici.
Della viola mammola si raccolgono le radici in autunno-inverno e i fiori in febbraio-marzo.
Uno dei principi attivi contenuti è la violina, che ha effetto emetico. Ma questa proprietà era sconosciuta ai tempi di Dioscoride e di Ippocrate e sembra che sia stata divulgata da medici arabi durante il Medioevo.
Il decotto dei fiori viene usato per il lavaggio degli occhi, mentre la tisana di foglie cura le vene varicose. Lo sciroppo dei fiori è antisettico, e insieme alle foglie, cura la tosse, il mal di testa e l’insonnia anche dei bambini, ai quali venivano messe delle violette sul cuscino quando andavano a letto.
I fiori, canditi, si utilizzano per aromatizzare dolci e liquori, per ornare insalate miste o per preparare dessert e sciroppi.
PRIMULA (Primula acaulis Hill.)
’U pappecaše è una pianta erbacea perenne molto comune, che si trova nei luoghi erbosi boschivi di tutta la penisola italiana; i suoi fiori si aprono quando le giornate cominciano ad allungarsi ed il freddo piano piano diminuisce. Il nome del genere, Primula deriva proprio dal fatto che essa è tra le prime piante a fiorire ed annuncia l’imminente arrivo della primavera e infatti viene chiamata anche primaverina. Acaulis, invece, significa “senza fusto”, ma in realtà vi è un fusto molto corto difficilmente distinguibile sul quale sono inserite le foglie. Dato che la piantina fiorisce quando gli insetti sono ancora pochi, i fiori spesso non vengono impollinati. Da questa caratteristica, Shakespeare, in Racconto d’inverno, trasse una metafora poetica, quella delle “pallide primule che muoiono nubili”. La sua nascita abbastanza precoce ha inoltre ispirato, nel linguaggio dei fiori, l’emblema della prima giovinezza.
Quando i fiori si aprono, emergono al di sopra delle foglie e formano una “cupoletta” (è un vero e proprio bouquet) che rende molto attraenti le piante anche per il bel colore giallo chiaro dei petali che formano quella meravigliosa corolla. Oggi, tuttavia, sono molte le varietà coltivate derivate dalla Primula acaulis, e i colori dei fiori sono disponibili in una vasta gamma di tonalità.
Ma la primula è apprezzata anche per le non poche proprietà medicinali. L’infuso di radici, foglie e fiori cura vertigini, palpitazioni, emicranie. Culpepper, un famoso medico e botanico inglese, racconta che le dame conoscevano bene l’unguento o il distillato di primula che usavano come preparato di bellezza o, almeno, per ristorare la bellezza persa con l’età. Il vino di primula, che si ottiene mettendo i fiori in una bottiglietta e coprendoli di vino bianco, favorisce la buona circolazione. I fiori essiccati forniscono un tè aromatico privo di azione eccitante. Sempre i fiori servono inoltre a profumare la birra e a migliorare il bouquet del vino; canditi, sono dolci deliziosi.
In alimentazione si possono utilizzare le foglie per preparare curiose pietanze: insalate crude miste, focacce e frittate ma si possono gustare anche aggiunte a molte altre verdure. Tutte le foglie, quelle meno giovani e quelle tenere, possono essere sbollentate in acqua, per 3-5 minuti, da sole o con altre verdure, e consumate come contorno passato in padella con una noce di burro, impiegate come ripieno per arrosti e condite con sale, aceto (o limone) ed olio. I fiori delle primule hanno un lieve e gradevole sapore e, a seconda della specie, sono più o meno profumati; possono essere usati per decorare le insalate o per profumare vini, liquori e macedonie o per farne delle marmellate.
Da piccolo, quando si andava con gli amici a raccogliere le primule, molte di esse, invece di andare a formare un bel mazzetto ornamentale, finivano in bocca ai raccoglitori, perché, appunto sono commestibili. Tutte le specie e varietà, incluse quelle ornamentali, che si acquistano nei garden center, sono parimenti commestibili (se non trattate con prodotti chimici).
I fiori campestri sono trattati di solito come le cenerentole della natura. Eppure molte specie come la calendula, la margherita, la viola e la primula non sono più considerate realmente selvatiche perché spesso si trovano anche sui nostri balconi o terrazze. I fiori dei campi, così familiari e ognuno con un suo carattere, colore e profumo delineati dalla natura circostante, danno un breve sollievo alla nostra vita frenetica. Senza spesa, un prato o un giardino costituiscono un piccolo vivaio e forniscono primule, violette, margheritine, insomma tutti quei piccoli fiori che caratterizzano una stagione. Una gita in aperta campagna può diventare occasione per una raccolta straordinaria e insolita: un mazzolino di fiori freschi rallegrerà le nostre case portando in esse non solo un tocco di colori ma anche tutto il profumo della primavera.
Questo articolo dovrebbe essere letto soltanto per puro piacere: non si rivolge agli specialisti, perché si occupa del comune piuttosto che del raro: molto comuni infatti sono questi fiori di cui parliamo e che annunciano la primavera.
CALENDULA (Calendula arvensis L.)
Narra una leggenda greca che la dea Afrodite, addolorata per la morte del giovane amante Adone, pianse lacrime che, toccando terra, si tramutarono in calendule. Il nome, che deriva dal latino calendae = il primo giorno del mese, è invece riferito alla prolungata fioritura di questa pianta che sembra rinnovarsi all’inizio di ogni mese. È detta anche “orologio dei contadini”, perché si gira seguendo l’apparente moto del sole e la si può considerare un barometro naturale, in quanto annuncia l’arrivo del maltempo chiudendo i suoi capolini.
Ma il soprannome più curioso della pianta è quello scelto dai francesi: petit souci o souci des champs, perché la calendula si preoccuperebbe della salute degli uomini. Contiene infatti un’essenza capace di neutralizzare le sostanze tossiche inoculate dagli insetti con le loro punture. Il cataplasma di foglie fresche può essere usato come callifugo. Le tinture ricavate da fiori e foglie rimarginano piaghe e ferite, e curano varie malattie della pelle. Il decotto, preso regolarmente, medica efficacemente ulcere croniche e gastriti, ed è insieme stimolante e calmante, depurativo e diuretico. Con i capolini e le sommità fiorite, raccolte in aprile-giugno e settembre-novembre, si prepara infine un infuso che ha proprietà antisettiche, cicatrizzanti e lenitive.
I capolini si possono anche gustare in insalate miste, salse e sottaceti.
PRATOLINA o MARGHERITINA (Bellis perennis L.)
Nel linguaggio dei fiori, la pratolina evoca candore e innocenza. Nonostante la piccola taglia e l’aspetto fragile, resiste anche a basse temperature, fino a –17° C, e fiorisce anche in inverno, appena spunta un raggio di sole. A queste due caratteristiche della pianta, la grazia e la durevolezza, sembra ispirarsi il suo nome scientifico che deriva dal latino bellus = elegante, grazioso, bello e perennis = perenne.
Le foglie, che nascono da un breve rizoma, larghe e spatolate, formano una rosetta basale; il fiore è un capolino solitario con disco giallo e con ligule bianche o tinteggiate di rosso all’esterno.
I fiori e le foglie fresche, pestate, leniscono i dolori di contusioni e distorsioni. L’infuso che si ottiene da queste stesse parti ha proprietà diuretiche, depurative e antinfiammatorie. Le sue tenere foglie, aggiunte alle insalate primaverili e associate ad altre piante selvatiche, come la cicoria e il tarassaco, agiscono come depurativi del sangue.
Tra le principali ricette che è possibile ottenere da questo fiore si ricordano i boccioli di pratoline sott’aceto e l’insalata di pratoline con mele e noci. Dai boccioli di pratoline capperati si può inoltre ricavare una salsa verde che è ottima da gustare sulle acciughe.
VIOLA MAMMOLA (Viola odorata L.)
Diffusa nei luoghi boschivi ed erbosi, questa pianta sarebbe nata, secondo una leggenda greca, da una figlia di Atlante, la quale per sfuggire ad Apollo, dio del sole, fu trasformata da Giove in una viola mammola, il fiore che cresce nascosto nell’ombra dei boschi. Il suo significato nel linguaggio dei fiori deriva, infatti, dall’umile posizione della pianta che, quasi con modestia, china i suoi fiori e li nasconde nell’ombra.
Viola è una parola latina che descrive il colore del fiore, mentre odorata significa “dal dolce profumo” poiché, tra tutti gli esemplari di questa specie, la Viola mammola è la preferita per il suo profumo intenso. Anche la Viola bianca è particolarmente profumata, però è più rara da trovare.
I fiori della viola sono portati da lunghi steli. Generalmente i primi fiori, profumati, sono sterili; non appena la prima fioritura giunge al termine, compaiono altri fiorellini, privi di corolla, poco visibili, i quali, autofecondandosi, producono delle capsule deiscenti pieni di semi vitali, brunastri, sferici.
Della viola mammola si raccolgono le radici in autunno-inverno e i fiori in febbraio-marzo.
Uno dei principi attivi contenuti è la violina, che ha effetto emetico. Ma questa proprietà era sconosciuta ai tempi di Dioscoride e di Ippocrate e sembra che sia stata divulgata da medici arabi durante il Medioevo.
Il decotto dei fiori viene usato per il lavaggio degli occhi, mentre la tisana di foglie cura le vene varicose. Lo sciroppo dei fiori è antisettico, e insieme alle foglie, cura la tosse, il mal di testa e l’insonnia anche dei bambini, ai quali venivano messe delle violette sul cuscino quando andavano a letto.
I fiori, canditi, si utilizzano per aromatizzare dolci e liquori, per ornare insalate miste o per preparare dessert e sciroppi.
PRIMULA (Primula acaulis Hill.)
’U pappecaše è una pianta erbacea perenne molto comune, che si trova nei luoghi erbosi boschivi di tutta la penisola italiana; i suoi fiori si aprono quando le giornate cominciano ad allungarsi ed il freddo piano piano diminuisce. Il nome del genere, Primula deriva proprio dal fatto che essa è tra le prime piante a fiorire ed annuncia l’imminente arrivo della primavera e infatti viene chiamata anche primaverina. Acaulis, invece, significa “senza fusto”, ma in realtà vi è un fusto molto corto difficilmente distinguibile sul quale sono inserite le foglie. Dato che la piantina fiorisce quando gli insetti sono ancora pochi, i fiori spesso non vengono impollinati. Da questa caratteristica, Shakespeare, in Racconto d’inverno, trasse una metafora poetica, quella delle “pallide primule che muoiono nubili”. La sua nascita abbastanza precoce ha inoltre ispirato, nel linguaggio dei fiori, l’emblema della prima giovinezza.
Quando i fiori si aprono, emergono al di sopra delle foglie e formano una “cupoletta” (è un vero e proprio bouquet) che rende molto attraenti le piante anche per il bel colore giallo chiaro dei petali che formano quella meravigliosa corolla. Oggi, tuttavia, sono molte le varietà coltivate derivate dalla Primula acaulis, e i colori dei fiori sono disponibili in una vasta gamma di tonalità.
Ma la primula è apprezzata anche per le non poche proprietà medicinali. L’infuso di radici, foglie e fiori cura vertigini, palpitazioni, emicranie. Culpepper, un famoso medico e botanico inglese, racconta che le dame conoscevano bene l’unguento o il distillato di primula che usavano come preparato di bellezza o, almeno, per ristorare la bellezza persa con l’età. Il vino di primula, che si ottiene mettendo i fiori in una bottiglietta e coprendoli di vino bianco, favorisce la buona circolazione. I fiori essiccati forniscono un tè aromatico privo di azione eccitante. Sempre i fiori servono inoltre a profumare la birra e a migliorare il bouquet del vino; canditi, sono dolci deliziosi.
In alimentazione si possono utilizzare le foglie per preparare curiose pietanze: insalate crude miste, focacce e frittate ma si possono gustare anche aggiunte a molte altre verdure. Tutte le foglie, quelle meno giovani e quelle tenere, possono essere sbollentate in acqua, per 3-5 minuti, da sole o con altre verdure, e consumate come contorno passato in padella con una noce di burro, impiegate come ripieno per arrosti e condite con sale, aceto (o limone) ed olio. I fiori delle primule hanno un lieve e gradevole sapore e, a seconda della specie, sono più o meno profumati; possono essere usati per decorare le insalate o per profumare vini, liquori e macedonie o per farne delle marmellate.
Da piccolo, quando si andava con gli amici a raccogliere le primule, molte di esse, invece di andare a formare un bel mazzetto ornamentale, finivano in bocca ai raccoglitori, perché, appunto sono commestibili. Tutte le specie e varietà, incluse quelle ornamentali, che si acquistano nei garden center, sono parimenti commestibili (se non trattate con prodotti chimici).
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