Canne al vento. I mille utilizzi della pianta che cresce anche in terreni poveri
25 Luglio 2017
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Canne al vento. I mille utilizzi della pianta che cresce anche in terreni poveri

Durante una passeggiata o un viaggio non è raro notare dense macchie verdi in terreni umidi o lungo i margini dei fiumi: sono le canne, quelle descritte da Grazia Deledda. Unica scrittrice italiana insignita del Premio Nobel per la letteratura nel 1926, la Deledda vedeva gli uomini e le donne come esseri fragili, piegati come canne al vento (donde il titolo del suo romanzo più famoso, Canne al vento).

La canna comune (Arundo donax) è una pianta perenne dal fusto lungo, che presenta nodi e internodi. La sua nomenclatura presenta una ripetizione poiché il nome del genere deriva dal latino arundo o harundo, “canna”, e quello della specie dal greco donax, che significa ugualmente “canna”. Naturalizzata nelle regioni temperate e subtropicali, la canna raggiunge i sei metri di altezza, ma in condizioni favorevoli può superare anche i dieci metri. La riproduzione avviene prevalentemente per via vegetativa, attraverso rizomi sotterranei. Grazie a questi rizomi, la colonia di steli avanza a macchia d’olio ed estende la propria superficie. La canna comune preleva grandi quantità di acqua dal terreno per sostenere la sua rapida crescita e per questo la sua presenza indica sempre ricchezza di acqua nel sottosuolo.

I mille usi delle canne, come biomasse, nella produzione della carta e degli strumenti musicali

Da recenti ricerche la canna è risultata una tra le più promettenti specie erbacee da biomassa per uso combustibile, ma anche ricca fonte di cellulosa per l’industria della carta. Quale coltura perenne presenta importanti vantaggi ecologici, tra cui il limitato bisogno di lavorazioni del suolo, riducendo così il rischio di erosioni in ambienti collinari. Ma questa pianta vanta in realtà una coltivazione lunga migliaia di anni. Se gli antichi Egizi ne usavano le foglie per avvolgere le spoglie dei defunti, più spesso è stata utilizzata per creare siepi frangivento oppure per ricavare canne da pesca e bastoni da passeggio, o per produrre carta. I fusti duri hanno sempre trovato largo impiego come sostegno per piante rampicanti, per le viti e i pomodori. Il materiale che costituisce il fusto, per la sua flessibilità e per la sua resistenza, è stato utilizzato per il confezionamento di ance e di strumenti musicali a fiato, come oboe, clarinetto e sassofono. Per oltre cinquemila anni si è fatto ricorso alla canna per la produzione di flauti. Famoso è in particolare il flauto di Pan, formato da dieci o più canne di diverse dimensioni legate fra loro.

[caption id="attachment_19009" align="alignright" width="241"] Il flauto di pan[/caption]

La leggenda del flauto di pan

Secondo la leggenda, un giorno, durante una delle tante scorribande compiute insieme a Dioniso, Pan vide Siringa, la figlia della divinità fluviale Ladone e se ne innamorò perdutamente. Il suo amore però non era ricambiato, anzi, Siringa, vedendo il suo aspetto semiferino, fuggì terrorizzata. Non riuscendo a liberarsi dell’inseguitore, e giunta nei pressi di un fiume troppo profondo per essere guadato, la ninfa chiese al padre di essere trasformata e resa per sempre invisibile agli occhi del rustico pretendente. Ladone la trasformò quindi in una canna palustre. Pan tentò invano di distinguerla fra i diversi giunchi che crescevano lungo il fiume, ma alla fine dovette rassegnarsi: ogni stelo era esattamente uguale agli altri. Prese quindi una canna, la tagliò in pezzetti di lunghezza diversa e li legò assieme con dello spago. Fabbricò così lo strumento musicale che da quel giorno si chiamò “siringa” o “flauto di Pan”, e che lo avrebbe sempre accompagnato nella sua vita nei boschi. Con il flauto Pan si divertiva a spaventare i viandanti; suoi sono i rumori sinistri e inspiegabili che si odono di notte nella foresta e dalla paura che da essi scaturisce derivò il termine, utilizzato ancora oggi, di “terror panico”.

Gli utilizzi contadini delle canne palustri

Tra le curiosità ricordiamo che, anticamente, non mancava, nelle campagne, il consiglio di recare con sé una canna verde per difendersi dai serpenti i quali, ricevendo un colpo ben assestato, rimanevano stecchiti. Sempre in passato, i nostri contadini usavano anche infilzare i rospi con una canna ben lavorata a mo’ di lancia. Ma spesso rinunciavano a eliminare il rospo, memori di alcuni significativi versi di Francesco Orsi: “«Fermati!» disse il povero animale / «e che t’ho fatto, o Maso mio, di male. / Io non ti rubo nulla, anzi ti netto / i prati e i campi d’ogni tristo insetto»”. E memori anche della sua incisiva conclusione: “spesso l’uomo è più bestia della bestia”. In un gioco da ragazzi, invece, si credeva che un colpetto di canna sulla testa, accompagnato dall’anatema cime de halle n’n crisce cchiù!, ovvero “cresta di gallo non cresci più!”, aveva il potere di arrestare la crescita in altezza.☺

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