mese che la tradizione popolare dedica alla commemorazione dei defunti, ci obbliga a pensare con più frequenza alla morte.
Oggi si parla di una civiltà della morte, una morte a battaglioni, una morte industrializzata, morte offerta, comprata, venduta, scelta, organizzata, mangiata nei cibi, bevuta nell’acqua, respirata nell’aria…; morte che sale con te sull’aereo, che viaggia sulla tua auto, divertita a spingerti lei stessa alla folle corsa; morte costata corpo ed anima, sentimenti e dignità, incontrata in un angolo di strada, sulla panchina di una stazione…
Oggi si dice che la morte – come altri avvenimenti di passaggio: nascita, matrimonio ecc…- ha perso la sua dimensione sacrale.
Oggi pare che la morte sia un avvenimento individuale: si muore soli, ci si mette via in fretta, non c’è più il conforto corale e sincero di una comunità; il sostegno emotivo e solidale della collettività, non c’è più la bella morte all’antica e se di bella morte si parla si pensa subito all’eutanasia col suo groviglio di interrogativi e di drammi.
Non mi addentro nel concetto di morte come realtà biologica, antropologica, storica, filosofica; ritengo che la morte, come la intendiamo noi nel linguaggio scientifico, non esiste veramente in quanto morire è come nascere, è un passaggio ad un altro piano di esistenza, o meglio, ad un altro stato di coscienza molto più profondo ed autentico, è un pellegrinare verso la Fonte per approdare ad una dimensione assai più felice, ad una dimora più bella. La morte è un mistero e come tale è ineffabile; l’Ineffabile, dopo il silenzio, si può tentare di esprimerlo solo con la musica e la poesia, perciò voglio condividere con voi alcuni versi di D. M. Turoldo che della Morte ha sempre affettuosamente cantato rendendole il vero sembiante di bellezza e di luce.
“Conosco ebbrezze
inaudite, gioie che mi fanno delirare
ma l’amplesso della Morte,
questo finir di morire
sono la mia montagna, la mia aurora stupenda,
la mia danza inimitabile”.
“Oh, la bella morte di chi
operoso e carico di anni
saluta i figli e tramonta come
dopo lungo giorno il sole si cala a sera”.
Carolina
mese che la tradizione popolare dedica alla commemorazione dei defunti, ci obbliga a pensare con più frequenza alla morte.
Oggi si parla di una civiltà della morte, una morte a battaglioni, una morte industrializzata, morte offerta, comprata, venduta, scelta, organizzata, mangiata nei cibi, bevuta nell’acqua, respirata nell’aria…; morte che sale con te sull’aereo, che viaggia sulla tua auto, divertita a spingerti lei stessa alla folle corsa; morte costata corpo ed anima, sentimenti e dignità, incontrata in un angolo di strada, sulla panchina di una stazione…
Oggi si dice che la morte – come altri avvenimenti di passaggio: nascita, matrimonio ecc…- ha perso la sua dimensione sacrale.
Oggi pare che la morte sia un avvenimento individuale: si muore soli, ci si mette via in fretta, non c’è più il conforto corale e sincero di una comunità; il sostegno emotivo e solidale della collettività, non c’è più la bella morte all’antica e se di bella morte si parla si pensa subito all’eutanasia col suo groviglio di interrogativi e di drammi.
Non mi addentro nel concetto di morte come realtà biologica, antropologica, storica, filosofica; ritengo che la morte, come la intendiamo noi nel linguaggio scientifico, non esiste veramente in quanto morire è come nascere, è un passaggio ad un altro piano di esistenza, o meglio, ad un altro stato di coscienza molto più profondo ed autentico, è un pellegrinare verso la Fonte per approdare ad una dimensione assai più felice, ad una dimora più bella. La morte è un mistero e come tale è ineffabile; l’Ineffabile, dopo il silenzio, si può tentare di esprimerlo solo con la musica e la poesia, perciò voglio condividere con voi alcuni versi di D. M. Turoldo che della Morte ha sempre affettuosamente cantato rendendole il vero sembiante di bellezza e di luce.
mese che la tradizione popolare dedica alla commemorazione dei defunti, ci obbliga a pensare con più frequenza alla morte.
Oggi si parla di una civiltà della morte, una morte a battaglioni, una morte industrializzata, morte offerta, comprata, venduta, scelta, organizzata, mangiata nei cibi, bevuta nell’acqua, respirata nell’aria…; morte che sale con te sull’aereo, che viaggia sulla tua auto, divertita a spingerti lei stessa alla folle corsa; morte costata corpo ed anima, sentimenti e dignità, incontrata in un angolo di strada, sulla panchina di una stazione…
Oggi si dice che la morte – come altri avvenimenti di passaggio: nascita, matrimonio ecc…- ha perso la sua dimensione sacrale.
Oggi pare che la morte sia un avvenimento individuale: si muore soli, ci si mette via in fretta, non c’è più il conforto corale e sincero di una comunità; il sostegno emotivo e solidale della collettività, non c’è più la bella morte all’antica e se di bella morte si parla si pensa subito all’eutanasia col suo groviglio di interrogativi e di drammi.
Non mi addentro nel concetto di morte come realtà biologica, antropologica, storica, filosofica; ritengo che la morte, come la intendiamo noi nel linguaggio scientifico, non esiste veramente in quanto morire è come nascere, è un passaggio ad un altro piano di esistenza, o meglio, ad un altro stato di coscienza molto più profondo ed autentico, è un pellegrinare verso la Fonte per approdare ad una dimensione assai più felice, ad una dimora più bella. La morte è un mistero e come tale è ineffabile; l’Ineffabile, dopo il silenzio, si può tentare di esprimerlo solo con la musica e la poesia, perciò voglio condividere con voi alcuni versi di D. M. Turoldo che della Morte ha sempre affettuosamente cantato rendendole il vero sembiante di bellezza e di luce.
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