i single e la chiesa
2 Febbraio 2011 Share

i single e la chiesa

 

Un nuovo anno che si apre porta con sé, sin dall’inizio, il peso e la gioia delle numerose attese di ciascuno. E credo ci siano due modi di attendere qualunque cosa: il primo è frustrante, logorante, svuota il tempo presente di tutto il suo valore, la quotidianità di tutte le sue ricchezze, perché è tutto teso nel raggiungimento del risultato, dell’obiet- tivo; quando il compimento del desiderio annebbia tutto il resto, si smarrisce il senso e la portata del cammino, e ci si annulla sprecando tempo, occasioni di arricchimento, momenti di singolare bellezza e condivisione. Quest’attesa non fa crescere, piuttosto deprime. C’è però un secondo modo di attendere, fecondo, ricco di esperienze attraverso le quali si coltiva se stessi e il proprio benessere interiore (ed esteriore, perché no, la cura di sé passa anche per una gradevole attenzione ad un profumo, ad un accessorio, ad un abito nuovo da indossare con semplicità, senza fanatismi). Questa è l’attesa che viene riempita in modo sapiente, l’attesa in cui si accumulano, come fossero tesori, esperienze di vita, di lavoro, di volontariato, relazioni umane, interessi, nei quali ci si specchia per irrobustire se stessi, disegnare una personalità riconoscibile e trattare bene la propria vita presente, come fosse un giardino da tenere ben curato e in ordine, per la gioia e la soddisfazione dei propri occhi… ma anche in vista di un incontro, al quale giungere ben preparati, non sprovvisti di un mondo interiore vitale, multiforme, “educato” alla gioia e alla pienezza.

È quasi San Valentino, festa-business che tuttavia non passa indenne sul calendario di chi non può festeggiarla in due. A una certa età – i 30, i 40… ognuno ci metta la sua  – attendere quell’incontro, attendere quel compagno che ancora non arriva (e che è andato via già tante volte), attenderlo nel secondo modo, non è semplice. Sentirsi interi e completi, realizzati, anche se ancora privi di una vita di coppia stabile, e magari di una maternità/paternità, è un traguardo ambizioso. È frutto di un accurato, paziente, faticosissimo cammino interiore costellato di fallimenti e momenti bui di sconforto. È frutto di una tenace educazione alla speranza che costa un quotidiano rimettersi in gioco, in barba alle paure e ai dubbi, in barba a tutte quelle mattine in cui vorresti alzarti con una marcia in più, e non ce l’hai, perché ti hanno lasciato per l’ennesima volta, perché stavolta proprio non sei corrisposto, perché lui o lei non è coinvolto quanto te, perché non sai se arriverà mai e bisogna ricominciare da capo. Anche se le forze e l’entusiasmo non sono più quelli dei vent’anni.

Single in cammino dèdita al mio faticoso ma vezzeggiato giardino, mi preparo a lavorare sodo anche quest’anno per vivere l’attesa in modo fertile. Ma, al principio di questo nuovo percorso dell’anima, lasciate che io mi auguri… che la Chiesa, stavolta, mi aiuti un po’ di più. Visto che la Chiesa – non tutta, ma troppa -, dei single si è dimenticata da un pezzo. O forse non li ha adottati mai: siamo i figli di serie b, quelli che possono cavarsela sempre da soli, quelli per le cui confessioni non c’è mai abbastanza tempo o ne resta solo per frasi sbrigative, standard, buttate lì senza aver fatto vero ascolto, oppure per interminabili monologhi viziati – in qualche caso – dalla sottile convinzione che la chiamata sacerdotale resta comunque un pizzico superiore alle altre. E dunque perché non considerarla? Abbiate pazienza, pastori del gregge: ma voi lo avete mai provato un bel maldipancia per amore? Ma come fate a cavarvela così di fronte ad una persona che magari sta piangendo in confessione perché le manca il suo ex? E un’altra domanda che mi dà il prurito: ma perché, per voi, quando si parla di “vocazione” se ne concepisce solo una? Perché “avere la vocazione”, fare “discernimento vocazionale” vuol dire avere a che fare con la tonaca e il seminario? Si può essere “chiamati” anche alla vita di coppia e quant’è più difficile scoprirlo, o continuare a crederci dopo tante esperienze deludenti, visto che preti ci si fa da soli, mentre è in due che ci si sposa. Chi ci aiuta, quando abbiamo la tentazione di non crederci più e invece dobbiamo solo avere un altro pizzico di pazienza?

 Le famiglie, poi. Possono essere disgregate, oberate, allargate, senza figli, con troppi figli, nuove, vecchie, senza il quoziente, dentro la crisi e fuori dalle finanziarie… Le famiglie sono l’unica realtà abilitata ad essere oggetto di cure. Noi no, restiamo sempre ai margini delle omelìe, dei confessionali, della parrocchia. Fare discernimento insieme a noi è difficile, costa, e chi lo nega? Ma se è il tuo “mestiere”, Chiesa, è ora che ti attrezzi a farlo nel migliore dei modi affinché non tocchi, a noi single, fare proprio tutto da soli, noi che abbiamo già dovuto imparare – pescando senza sosta nella nostra creatività e pazienza – a costruire speranza, a leggere fra le righe per scorgere il momento di Dio nelle nostre vite, a rielaborare lutti affettivi di una gravità devastante, a costruire ogni mattina la fiducia in un Disegno che, se sentiamo questa vocazione, si compirà, passi il tempo che ci vuole.

Non ci lasciare soli, Chiesa. Al figlio che ti chiede pane, non allungare una pietra. Concèntrati sulla tua missione, che è quella di portare la luce e la novità del Vangelo a chi cammina zoppicando. Aiutaci ad aspettare nel secondo modo: noi ce la stiamo mettendo tutta, ma tu dove sei? La pastorale familiare, scolastica, del lavoro, sanitaria, carceraria… che ricchezza, quanti nomi, quante sfumature. E noi? Beh, noi quest’anno ti vogliamo provocare: vogliamo una pastorale dell’attesa. Attendere, d’altronde, è il mestiere più difficile. Educa alla pazienza, al dominio di sé, alla mitezza, all’umiltà. Sièditi un po’, attendi con noi, entra nel confessionale, dèdicaci del  tempo. Non limitarti a tuonare dall’altare a cose fatte (o sfatte), non predicare col dito puntato che i matrimoni poi si sfasciano: pensa ad educare i fidanzati prima ancora che si incontrino e diventino due, ascoltali, orientali, asciuga le loro lacrime quando si sentono soli… e forse, domani, tu sarai più credibile e noi più felici.

Buon 2011, Chiesa. Ci conto.

Penelope

 

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