I diritti della comunità lgbtq+
Quando leggerete questo articolo su la fonte, che con il consueto coraggio ha scelto di affrontare un tema ‘assai divisivo’, il corteo del Pride attraverserà le strade di Campobasso. I temi che porterà all’attenzione con l’allegria sfrontata e la consapevolezza dilaniante, con la voglia di riscatto che si coniuga al dolore di chi porta dentro di sé ferite nell’animo e troppe volte anche lacerazioni familiari e negli affetti, sono quelli che l’intera comunità deve avere il coraggio di guardare dritto negli occhi. Perché i diritti della comunità Lgbtq+ sono quotidianamente messi in discussione, come le recenti azioni giudiziarie contro le famiglie omogenitoriali per il riconoscimento dei figli dimostrano senza alcun fraintendimento.
Perché quanto accaduto nel corso della campagna elettorale ad uno dei candidati che ha affrontato quello che sapeva sarebbe successo – ahinoi – è la dimostrazione plastica di quanto ci sia da fare, di quanto coraggio occorra ancora, di quanto ci sia bisogno di parlarne. Lui si chiama Francesco Angeli ed è, come lui stesso si definisce, “orgogliosamente molisano”. Attivista per i diritti Lgbt+, è uno degli organizzatori del Pride, ha contribuito all’apertura di Arcigay Molise ed è stato il primo molisano ad avere una carica nazionale in Arcigay. Ne era il vicepresidente. È stato parte attiva nella realizzazione del “Centro contro le discriminazioni Molise” che ogni giorno accoglie vittime di omotransfobia. Come lo è lui, come è capitato durante la campagna elettorale quando è stato nel mirino di chi ha pensato bene di insultarlo, minacciarlo, deriderlo, offenderlo. Trattarlo come un diverso da emarginare.
Quale mese fa, a inizio maggio, ci siamo interrogati nel corso di un dibattito organizzato a Termoli, sui diritti della comunità Lgbtq+ in Molise. Immagino, con preoccupazione, che questa domanda saremo costretti a riproporla per molto tempo ancora viste le politiche – che non vedranno mai la luce nella direzione della salvaguardia dei diritti civili – che il centrodestra incarna nel proprio DNA.
Cosa fare perché i diritti siano davvero universali e non mere enunciazioni di principio, perché le azioni individuali, collettive e politiche perseguano lo stesso obiettivo di uguaglianza, parlino di conoscenza e solidarietà? Seguo – da sempre, con molta attenzione e con l’impegno personale e anche istituzionale fino a quando ho ricoperto il ruolo di consigliere regionale – le attività della comunità arcobaleno. Attività che esprimono bisogni ai quali troppo spesso non si presta ascolto e ai quali il governo Meloni risponde con politiche che non sono affatto in linea con la storia che il mondo ci consegna. Il centrodestra non ascolta e quando lo fa risponde con i no, abbandonando nell’indifferenza migliaia di persone che hanno diritti sacrosanti, gli stessi che sono scritti nella nostra Costituzione. Perché i diritti della comunità Lgbtq+ sono il termometro dei diritti umani e oggi, in Italia, fanno segnare temperature preoccupanti. Fatta eccezione per la legge sul cambio di sesso e quella sulle unioni civili, restano al palo ancora troppe questioni fondamentali. Che vengono a galla di continuo proprio perché sono questioni non risolte.
Storie vere, che parlano di vite sospese di bambine e bambini, di famiglie che non hanno pari accesso ai servizi, che incontrano ostacoli banali ma insormontabili, che sono cancellate come se non esistessero. Mentre, nella vita vera, i diritti camminano anche se trovano – purtroppo e ancora – sacche di resistenza come quelle evidenziate dagli haters che hanno letteralmente bombardato di insulti Francesco Angeli. Il linguaggio d’odio è anche questo un termometro dei diritti, negati a furia di insulti.
La società cammina, i diritti si fanno largo ma lo Stato tira il freno a mano e alimenta gli odiatori seriali, che spesso ignorano quello di cui si parla ma sono spinti dalla marcia che il Governo ha ingranato. Una retromarcia. Troppi i vuoti normativi, gli equivoci che spesso ne derivano, le lacune che tardano a colmarsi, che non tengono conto del diverso cambio di passo imposto da una consapevolezza maggiore che la maggior parte dei cittadini hanno conquistato.
Facciamo qualche esempio, così da chiarire quello di cui si parla. La legge sulle unioni civili non rispetta ancora oggi il principio di piena eguaglianza nell’accesso al matrimonio e alle tutele accordate dal diritto di famiglia. Non esiste la piena equiparazione di tutte le famiglie attraverso il riconoscimento della responsabilità genitoriale alla nascita. La riforma della legge sulle adozioni, aperte anche alle coppie conviventi e ai single, indipendentemente dal loro orientamento sessuale è osteggiata con forza e quindi impossibile da realizzare. Ma quanta felicità viene sottratta – con colpa – ai tanti bambini che aspettano una famiglia che li ami, ai quali non importa se c’è un papà o se ce ne sono due, se la mamma non ha un compagno o una compagna. Le bambine e i bambini chiedono amore, accoglienza, un cuore che batta per loro. Ricevono disinteresse, politiche retrograde e incastonate in un passato cancellato dagli eventi, dai cambiamenti della società.
Quante famiglie monogenitoriali esistono comunque ma rientrano nella casistica del ‘possibile’ per le politiche di questo centrodestra? Quanti i genitori separati che affrontano la quotidianità con fatica, sacrifici ma con quell’amore che consente ai figli di vivere con serenità anche se in casa i pantaloni li porta la mamma, che spesso è anche il papà? Cosa c’è di diverso nelle storie e nelle quotidianità di chi viene etichettato come diverso? Di veramente diverso c’è quella subcultura radicata e difficile da estirpare, che ancora inquina i rapporti civili tra le persone, che alimenta dolore e discriminazioni, che non accoglie ma isola.
Nel 2020, con i colleghi di opposizione, abbiamo depositato una proposta di legge contro le discriminazioni e le violenze di cui sono vittime, ancora oggi, le comunità Lgbtq+. Ovviamente ferma nel cassetto di tutto quello che non hanno fatto il governo e la maggioranza di centrodestra. Sono riuscita, almeno, ad infrangere un tabù grazie ad un emendamento alla legge di stabilità del 2022 che consente vi siano all’interno della Commissione regionale delle pari opportunità i rappresentanti delle associazioni di tutela dei diritti della comunità arcobaleno. Un piccolo, grande risultato etico che guarda ai pari diritti di tutti e che si innesta su un tracciato già lastricato, come dimostra anche l’attivazione del primo Centro contro le discriminazioni fortemente voluto dall’ amministrazione comunale di Campobasso.
Un presidio dei diritti contro le discriminazioni che ritengo debba diventare un servizio permanente e strutturale per il Molise, da inserire all’interno del prossimo Piano sociale. Auspico che possa continuare questo lavoro ‘ai fianchi’ del potere politico che incarna quelle stesse posizioni che si rinvengono nel Governo che guida il nostro Paese. Auspico che le Istituzioni, gli enti locali e gli organismi di parità aderiscano a READY, la rete italiana delle Regioni, Province, Autonomie ed Enti locali dove si lavora insieme per prevenire, contrastare e superare le discriminazioni. Un’opportunità per le pubbliche amministrazioni regionali e locali di uno spazio non ideologico, di un luogo di incontro e interscambio di esperienze e buone prassi finalizzate al riconoscimento e alla promozione dei diritti umani della comunità arcobaleno che sarà cassa di risonanza per diffondere le azioni positive.
Le Istituzioni sono chiamate a fare – in nome di tutta la comunità che rappresentano – un passo in avanti, garantendo pari diritti e inclusione: non è un vessillo di cui fregiarsi, ma un traguardo di progresso. E i cittadini sono chiamati a fare in modo che questo tema non sparisca mai dall’agenda politica ma sia sempre spina nel fianco di chi ha ingranato quella pericolosa retromarcia.☺
