
Poesia contro l’oblio
L’oblio è il nemico numero uno dei poeti e di chiunque scriva letteratura in genere. Assume pertanto quasi i connotati di una sfida il titolo dell’ultima raccolta del poeta fiorentino Alessandro Franci, Debutto nell’oblio (Brindisi, Interno Libri Edizioni, 2024). Non si tratta di un debutto, in realtà, perché Franci (classe 1954) ha alle spalle una ragguardevole carriera: fra le sue ultime raccolte, La fragilità dei pesi (Firenze, SEF, 2020) e La lingua convenuta (Macerata, Vydia, 2022; da segnalare anche il romanzo Il mese della Luna, sul leggendario sbarco dei cosmonauti americani, uscito a Bologna per Gingko edizioni nel 2013). Ma ogni gesto poetico è una sfida alla dimenticanza, e dunque in qualche modo un «debutto» che rischia di inciampare «nell’oblio». La paradossale tenzone con gli ammanchi di memoria è da Franci condotta soprattutto fotografando e chiamando a raccolta una stirpe di cose obliate, di scarti e di rifiuti, proprio per sottolineare come anche in loro persista un’anima evocatrice, e dunque poetica, nonostante abbiano subìto una violenta emarginazione. E spesso sono oggetti puramente elencati, senza alcun verbo che li impegni in una azione diversa dal loro puro e semplice esistere e continuare, anche da esclusi, a manifestarsi: affinché, con il poeta, anche il lettore sia invitato a comprenderne il più profondo significato. In una recente intervista sulla rivista online «l’estroverso», Franci stesso ha presentato questo suo libro come «una finestra ideale affacciata sul magma della periferia reale e metaforica, quella del fango e dei liquami, dei parcheggi, degli asfalti, degli enigmatici messaggi che ho tentato, per anni, di interpretare».
Valga per tutti questo componimento:
I ferrivecchi, le auto smontate
i frigoriferi abbandonati
i boiler sfondati, taglienti di ossidi rossi,
i laminati delle coperture
dove le ruggini mordono i pali,
nelle discariche rifugio delle serpi
di cani a rovistare con i musi nei bidoni
nei tempi infiniti lungo le scarpate
prima della strada e dei segnali luminosi.
Ancora nella ricordata intervista, Franci spiega che a fargli da «scintilla (o lampada votiva che sia)» per la costruzione del libro «è la periferia, cioè il pittoresco curioso, il second’ordine, l’intrasformabile o il trasformato; non soltanto quindi il territorio antropizzato a margine della città, ma anche ciò che questo impone, cioè l’incomunicabilità, la cecità, i silenzi, o l’ovattata e perpetua ossessione di voci, suoni, immagini oscuramente incombenti».
Lo splendido album di «appunti rigati su cataloghi e schede/per sancire il nostro debutto nell’oblio» (p. 86) diviene così – contro ogni forma di dimenticanza -, un promemoria su ciò che, anche al di là delle apparenze, veramente conta nella vita ed è compito della poesia scoprire e rivelare: «un riassunto dell’ essenziale; ridotto all’osso».