Un otto marzo in carcere
8 Aprile 2025
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Un otto marzo in carcere

L’8 marzo 2025 ha visto due eventi, assai diversi, legati alla carcerazione. A Mantova, le esequie di Elena Scaini. Avrei dovuto conoscerla lo scorso 9 febbraio, quando era in programma un incontro-laboratorio di poesia con recluse e reclusi di quell’ Istituto, ma un contrattempo mi ha costretto a rimandare. E lei, il 3 marzo, si è tolta la vita. Digitando ristretti.it, alla sezione «morire di carcere», è già rubricata nel dossier Suicidi, assistenza sanitaria disastrata, morti per cause non chiare, overdose come quindicesimo suicidio dei 33 casi di morte in detenzione da inizio anno. Mi ha informato della sua vicenda Lucia Papaleo, che coordina il volontariato mantovano. Il giorno stesso della scomparsa, mi ha inviato una delle ultime poesie di Elena, con cui partecipava a un loro Premio, eccola:

Paura

Il giorno è luminoso
ma il buio mi circonda.
La notte è oscura
e sono lontana da casa.
Non sono stata così sempre.
Amavo il giorno
la dolce luce
nonostante la paura
prevaleva la mia volontà.
Come supererò
la palude,
il dirupo?
Forse un sorriso
di chi tanto mi ama
e
non avrò più paura
del pericolo
della vita.

L’8 marzo, in facebook, Lucia ha postato una foto della sua Elena, che aveva voluto appoggiare sulla copertina di un libro di Umberto Piersanti appena uscito (presso Marcos y Marcos): L’isola tra le selve (poesie 1967-2024). E ha aggiunto: «Lei era un’isola tra le selve. Ho aperto il libro [di Piersanti] e la prima poesia è questa: “L’ anima – Io non avevo mai capito/ da dove l’anima viene tra gli spini/ ma l’anima è piccola, fatta d’aria,/ passa tra gli spini e non si graffia”. Sì, è così l’anima di Elena».
Quando, grazie alla foto, ho osservato in un commento quanto Elena fosse bella, Lucia mi ha risposto in un messaggio: «Sì era molto bella. Anche se io l’ho conosciuta con un’altra bellezza. Quella velata dai suoi stessi infiniti dolori per la colpa che sentiva».
L’altro evento si è svolto al carcere di Ranza – San Gimignano: un concerto (orga- nizzato con grande impegno dall’educatrice Rita Favente e dalla professoressa Gilda Penna) della Band dei reclusi, che si chiama «S.P.E.Ranza». Ignaro che già anni fa due professori di latino impegnati nel volontariato (Filippo Gioffrè e Ilario Giambrocono) avevano lì animato e allenato la squadra di calcio Spe Ranza, lavorando sull’ablativo del sostantivo latino spes («con speranza», appunto), chi ha trovato questo nome per la Band è partito dal Giubileo «Pellegrini di speranza» indetto da papa Francesco (che, dagli artisti e dal nutrito pubblico esterno presente, ha ricevuto un vigoroso applauso). Poi ha costruito sul toponimo dell’Istituto un breve acronimo, che è stato spiegato dalla voce leader, Domenico. Svelandone la chiave, ne approfitto per ricordare che tutti gli artisti vestivano un’elegante maglia nera con punti luce in forma di lustrini e scritto a caratteri variopinti:

Suonare
Per
Evadere
R
A
N
Z
A

Mi chiedevo quale mai associazione potesse aver loro procurato quella raffinata mise. La «terza chitarra elettrica» mi ha spiegato che quelle ‘divise’ se le sono fatte loro: con semplici pennarelli.
Coadiuvata da alcuni ‘maestri’ esterni, la Band ha eseguito un repertorio travolgente di musica leggera, tendenzialmente orientata verso il rock. E il pubblico si è scatenato in battimani, in ondate di braccia cerchiate dai braccialetti fosforescenti, e in frenetiche danze, invadendo anche lo spazio antistante la ribalta, dove colpiva veder ballare insieme le diverse figure dell’area pedagogica, e psicologhe, infermiere, studenti e studentesse tutor e personale del Polo Universitario di Siena (lì attivo per un centinaio di studenti), professoresse e professori universitari e delle scuole attive a Ranza, attivisti, volontarie e volontari di differenti gruppi, senza che restassero esclusi da discreti gesti di partecipazione anche agenti della Polizia Penitenziaria e la stessa generosa Direttrice, Mariagrazia Giampiccolo. Al centro della due-ore, un momento ‘classico’: nell’attonito silenzio, una raffinata soprano, Valentina Guarnieri, ha intonato un’aria del Rinaldo di Händel, di una bellezza tanto più da brividi in quanto così si apre: «Lascia ch’io pianga mia cruda sorte/ E che sospiri la libertà». Idealmente, la dedicavo a Elena Scaini.
Per fermare qualche appunto delle molte emozioni avevo la penna, ma non la carta: ho scritto sulla mano. Posso così ricordare che, all’esecuzione di Tango di Tananai, sotto i versi «Amore tra le palazzine a fuoco…» passavano – proprio in un giorno segnato dal venir meno di aiuti di intelligence americana e da paralleli (e conseguenti) sanguinosi attacchi russi – immagini dal fronte ucraino e dalle città in fiamme. E Domenico ha chiuso un suo pensiero per tanta gente che soffre, in quelle e in altre terre devastate dai conflitti, con parole tanto più toccanti se si consideri da chi e da quale palco siano state pronunciate: «Noi viviamo una situazione particolare… Ma non ci manca niente». E, dai detenuti, mimose per tutte le presenti.☺

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