Con l’entrata della Croazia nell’Unione Europea e la sua ambizione di affermarsi come “gigante energetico”, torna cruciale una discussione su problematiche ed opportunità che arrivano dal Mare Adriatico. Mentre il ministro degli Esteri croato Ivan Vrdoliar ribadisce l’aspirazione del suo Paese di divenire una “piccola Norvegia di gas a Nord e di petrolio a Sud”, trivellando lungo la linea di confine delle acque territoriali italiane, qualche miglia più a Ovest i fronti pro e contro le trivellazioni fanno muro contro muro, i primi celando emendamenti nello “sblocca Italia”, i secondi levando flebili voci isolate, dagli ambientalisti ai Comuni rivieraschi, passando per le Regioni.
Non è questa la sede per discutere circa l’opportunità di investire sugli idrocarburi, con buona pace dell’ecosistema e delle tartarughe caretta caretta. Quello che ci preme è sottolineare la tendenza della politica nostrana a dimenticarsi del proprio peso geopolitico e degli strumenti di concertazione attivi, sempre inaugurati con enfasi e troppo spesso accantonati. Ci sono spazi, nell’ Europa delle Regioni, dove discutere col dirimpettaio di problemi e strategie comuni: i tavoli della cooperazione territoriale. Perché non ha alcun senso ingaggiare battaglie se non si conoscono e non si sfruttano appieno le armi a disposizione. E rappresenta un autogoal l’idea di impedire le ispezioni dei fondali italiani senza indurre i croati a desistere o, nella peggiore delle ipotesi, a collaborare per ridurre gli impatti sull’ecosistema.
Se l’Unione da un lato favorisce la proliferazione di energie rinnovabili, definendo obiettivi e strumenti, gli Stati membri dall’altro godono ancora di un’autonomia decisionale che spesso cozza con gli stessi target europei. Ma, va ribadito, le tematiche in ballo interessano non più i singoli Stati, bensì una comunità che fatica a riconoscersi come unita e portatrice di interessi comuni. C’è la Croazia, con le sue legittime politiche energetiche, e c’è l’Italia cristallizzata in una miriade di posizioni apparentemente inconciliabili. Poco importa che da un decennio stiano lavorando per decidere insieme il futuro della lingua di mare che le divide.
È del 2006 la costituzione dell’Euroregione Adriatica, che ha posto tra le sue finalità la realizzazione delle “condizio- ni per lo sviluppo economico nel rispetto dell’ambiente”. Il Molise e Termoli in particolare, hanno svolto un ruolo fondamentale nella sua istituzione, per poi dimenticarsi dell’importanza strategica di quest’iniziativa, abdicando dal ruolo di leader. Così come avvenne per il progetto Fao- Adriamed, lanciato ai piedi del Castello svevo nel ’99 per “promuovere la cooperazione scientifica in tema di gestione delle risorse ittiche”, che dopo aver prodotto preziosi documenti, tuttora al centro delle riflessioni e delle politiche sulla pesca, ha chiuso i battenti a Termoli per continuare a vivere in seno alla Fao.
Ora siamo di fronte ad una nuova sfida: la macroregione. A differenza dell’Euroregione e dei Gruppi Europei di Cooperazione Territoriale (GECT), la macroregione non si costruisce intorno a criteri amministrativi o finanziari, non ha una personalità giuridica a sé, ma risponde al criterio della funzionalità. Ciò vuol dire che viene proposta dal basso, bottom-up, da regioni ed enti locali, per necessità pratiche, come risolvere problemi comuni a territori di diversi Paesi europei, e se avallata a livello nazionale e comunitario, si può avvalere di risorse finanziarie ed organismi istituzionali già esistenti per raggiungere i risultati auspicati. Il dubbio che questa nuova figura sia frutto di un tentativo malsano di riaffermare la centralità statale nelle politiche regionali dell’Ue è forte, ma la mission ufficiale è garantire la giusta flessibilità delle decisioni attraverso una governance multilivello che favorisca un equilibrato dialogo tra i diversi attori.
Al di là delle forme che prenderà la cooperazione territoriale europea, ciò che dovrebbe starci a cuore è tornare a dire la nostra su questioni che ci riguardano da vicino perché incidono sul nostro quotidiano con una forza dirompente: non possiamo decidere del nostro futuro in termini di sviluppo sostenibile, agricoltura, turismo, criminalità, se non partecipiamo con autorevolezza e convinzione ai tavoli di concertazione. Ed è stata proprio questa riflessione ad ispirare un gruppo di giovani bassomolisani, tra i quali c’è chi vi scrive, nel cammino verso la costituzione di un’associazione che si occupi di rilanciare la centralità del Molise nelle politiche di vicinato e cooperazione, stimolando le istituzioni locali a partecipare alla sfida macroregionale. E che, soprattutto, presenti progetti concreti per la diffusione di culture e best practice tra le due sponde del mare comune, un esempio su tutti il lancio di un Festival Adriatico Ionico, con spazi dedicati a documentaristi, scrittori, musicisti, pittori e associazioni culturali dei Paesi che vi si affacciano.
Sarà un modo per tornare ad affermare la centralità di una regione di cui si discute lo scioglimento, ma anche, vogliamo sperare, uno stimolo ai giovani affinché invertano i flussi migratori e, tornando in Molise, ci aiutino a riportare cultura e occupazione al centro delle strategie politiche nella terra in cui siamo nati.☺
Con l’entrata della Croazia nell’Unione Europea e la sua ambizione di affermarsi come “gigante energetico”, torna cruciale una discussione su problematiche ed opportunità che arrivano dal Mare Adriatico. Mentre il ministro degli Esteri croato Ivan Vrdoliar ribadisce l’aspirazione del suo Paese di divenire una “piccola Norvegia di gas a Nord e di petrolio a Sud”, trivellando lungo la linea di confine delle acque territoriali italiane, qualche miglia più a Ovest i fronti pro e contro le trivellazioni fanno muro contro muro, i primi celando emendamenti nello “sblocca Italia”, i secondi levando flebili voci isolate, dagli ambientalisti ai Comuni rivieraschi, passando per le Regioni.
Non è questa la sede per discutere circa l’opportunità di investire sugli idrocarburi, con buona pace dell’ecosistema e delle tartarughe caretta caretta. Quello che ci preme è sottolineare la tendenza della politica nostrana a dimenticarsi del proprio peso geopolitico e degli strumenti di concertazione attivi, sempre inaugurati con enfasi e troppo spesso accantonati. Ci sono spazi, nell’ Europa delle Regioni, dove discutere col dirimpettaio di problemi e strategie comuni: i tavoli della cooperazione territoriale. Perché non ha alcun senso ingaggiare battaglie se non si conoscono e non si sfruttano appieno le armi a disposizione. E rappresenta un autogoal l’idea di impedire le ispezioni dei fondali italiani senza indurre i croati a desistere o, nella peggiore delle ipotesi, a collaborare per ridurre gli impatti sull’ecosistema.
Se l’Unione da un lato favorisce la proliferazione di energie rinnovabili, definendo obiettivi e strumenti, gli Stati membri dall’altro godono ancora di un’autonomia decisionale che spesso cozza con gli stessi target europei. Ma, va ribadito, le tematiche in ballo interessano non più i singoli Stati, bensì una comunità che fatica a riconoscersi come unita e portatrice di interessi comuni. C’è la Croazia, con le sue legittime politiche energetiche, e c’è l’Italia cristallizzata in una miriade di posizioni apparentemente inconciliabili. Poco importa che da un decennio stiano lavorando per decidere insieme il futuro della lingua di mare che le divide.
È del 2006 la costituzione dell’Euroregione Adriatica, che ha posto tra le sue finalità la realizzazione delle “condizio- ni per lo sviluppo economico nel rispetto dell’ambiente”. Il Molise e Termoli in particolare, hanno svolto un ruolo fondamentale nella sua istituzione, per poi dimenticarsi dell’importanza strategica di quest’iniziativa, abdicando dal ruolo di leader. Così come avvenne per il progetto Fao- Adriamed, lanciato ai piedi del Castello svevo nel ’99 per “promuovere la cooperazione scientifica in tema di gestione delle risorse ittiche”, che dopo aver prodotto preziosi documenti, tuttora al centro delle riflessioni e delle politiche sulla pesca, ha chiuso i battenti a Termoli per continuare a vivere in seno alla Fao.
Ora siamo di fronte ad una nuova sfida: la macroregione. A differenza dell’Euroregione e dei Gruppi Europei di Cooperazione Territoriale (GECT), la macroregione non si costruisce intorno a criteri amministrativi o finanziari, non ha una personalità giuridica a sé, ma risponde al criterio della funzionalità. Ciò vuol dire che viene proposta dal basso, bottom-up, da regioni ed enti locali, per necessità pratiche, come risolvere problemi comuni a territori di diversi Paesi europei, e se avallata a livello nazionale e comunitario, si può avvalere di risorse finanziarie ed organismi istituzionali già esistenti per raggiungere i risultati auspicati. Il dubbio che questa nuova figura sia frutto di un tentativo malsano di riaffermare la centralità statale nelle politiche regionali dell’Ue è forte, ma la mission ufficiale è garantire la giusta flessibilità delle decisioni attraverso una governance multilivello che favorisca un equilibrato dialogo tra i diversi attori.
Al di là delle forme che prenderà la cooperazione territoriale europea, ciò che dovrebbe starci a cuore è tornare a dire la nostra su questioni che ci riguardano da vicino perché incidono sul nostro quotidiano con una forza dirompente: non possiamo decidere del nostro futuro in termini di sviluppo sostenibile, agricoltura, turismo, criminalità, se non partecipiamo con autorevolezza e convinzione ai tavoli di concertazione. Ed è stata proprio questa riflessione ad ispirare un gruppo di giovani bassomolisani, tra i quali c’è chi vi scrive, nel cammino verso la costituzione di un’associazione che si occupi di rilanciare la centralità del Molise nelle politiche di vicinato e cooperazione, stimolando le istituzioni locali a partecipare alla sfida macroregionale. E che, soprattutto, presenti progetti concreti per la diffusione di culture e best practice tra le due sponde del mare comune, un esempio su tutti il lancio di un Festival Adriatico Ionico, con spazi dedicati a documentaristi, scrittori, musicisti, pittori e associazioni culturali dei Paesi che vi si affacciano.
Sarà un modo per tornare ad affermare la centralità di una regione di cui si discute lo scioglimento, ma anche, vogliamo sperare, uno stimolo ai giovani affinché invertano i flussi migratori e, tornando in Molise, ci aiutino a riportare cultura e occupazione al centro delle strategie politiche nella terra in cui siamo nati.☺
Con l’entrata della Croazia nell’Unione Europea e la sua ambizione di affermarsi come “gigante energetico”, torna cruciale una discussione su problematiche ed opportunità che arrivano dal Mare Adriatico.
Con l’entrata della Croazia nell’Unione Europea e la sua ambizione di affermarsi come “gigante energetico”, torna cruciale una discussione su problematiche ed opportunità che arrivano dal Mare Adriatico. Mentre il ministro degli Esteri croato Ivan Vrdoliar ribadisce l’aspirazione del suo Paese di divenire una “piccola Norvegia di gas a Nord e di petrolio a Sud”, trivellando lungo la linea di confine delle acque territoriali italiane, qualche miglia più a Ovest i fronti pro e contro le trivellazioni fanno muro contro muro, i primi celando emendamenti nello “sblocca Italia”, i secondi levando flebili voci isolate, dagli ambientalisti ai Comuni rivieraschi, passando per le Regioni.
Non è questa la sede per discutere circa l’opportunità di investire sugli idrocarburi, con buona pace dell’ecosistema e delle tartarughe caretta caretta. Quello che ci preme è sottolineare la tendenza della politica nostrana a dimenticarsi del proprio peso geopolitico e degli strumenti di concertazione attivi, sempre inaugurati con enfasi e troppo spesso accantonati. Ci sono spazi, nell’ Europa delle Regioni, dove discutere col dirimpettaio di problemi e strategie comuni: i tavoli della cooperazione territoriale. Perché non ha alcun senso ingaggiare battaglie se non si conoscono e non si sfruttano appieno le armi a disposizione. E rappresenta un autogoal l’idea di impedire le ispezioni dei fondali italiani senza indurre i croati a desistere o, nella peggiore delle ipotesi, a collaborare per ridurre gli impatti sull’ecosistema.
Se l’Unione da un lato favorisce la proliferazione di energie rinnovabili, definendo obiettivi e strumenti, gli Stati membri dall’altro godono ancora di un’autonomia decisionale che spesso cozza con gli stessi target europei. Ma, va ribadito, le tematiche in ballo interessano non più i singoli Stati, bensì una comunità che fatica a riconoscersi come unita e portatrice di interessi comuni. C’è la Croazia, con le sue legittime politiche energetiche, e c’è l’Italia cristallizzata in una miriade di posizioni apparentemente inconciliabili. Poco importa che da un decennio stiano lavorando per decidere insieme il futuro della lingua di mare che le divide.
È del 2006 la costituzione dell’Euroregione Adriatica, che ha posto tra le sue finalità la realizzazione delle “condizio- ni per lo sviluppo economico nel rispetto dell’ambiente”. Il Molise e Termoli in particolare, hanno svolto un ruolo fondamentale nella sua istituzione, per poi dimenticarsi dell’importanza strategica di quest’iniziativa, abdicando dal ruolo di leader. Così come avvenne per il progetto Fao- Adriamed, lanciato ai piedi del Castello svevo nel ’99 per “promuovere la cooperazione scientifica in tema di gestione delle risorse ittiche”, che dopo aver prodotto preziosi documenti, tuttora al centro delle riflessioni e delle politiche sulla pesca, ha chiuso i battenti a Termoli per continuare a vivere in seno alla Fao.
Ora siamo di fronte ad una nuova sfida: la macroregione. A differenza dell’Euroregione e dei Gruppi Europei di Cooperazione Territoriale (GECT), la macroregione non si costruisce intorno a criteri amministrativi o finanziari, non ha una personalità giuridica a sé, ma risponde al criterio della funzionalità. Ciò vuol dire che viene proposta dal basso, bottom-up, da regioni ed enti locali, per necessità pratiche, come risolvere problemi comuni a territori di diversi Paesi europei, e se avallata a livello nazionale e comunitario, si può avvalere di risorse finanziarie ed organismi istituzionali già esistenti per raggiungere i risultati auspicati. Il dubbio che questa nuova figura sia frutto di un tentativo malsano di riaffermare la centralità statale nelle politiche regionali dell’Ue è forte, ma la mission ufficiale è garantire la giusta flessibilità delle decisioni attraverso una governance multilivello che favorisca un equilibrato dialogo tra i diversi attori.
Al di là delle forme che prenderà la cooperazione territoriale europea, ciò che dovrebbe starci a cuore è tornare a dire la nostra su questioni che ci riguardano da vicino perché incidono sul nostro quotidiano con una forza dirompente: non possiamo decidere del nostro futuro in termini di sviluppo sostenibile, agricoltura, turismo, criminalità, se non partecipiamo con autorevolezza e convinzione ai tavoli di concertazione. Ed è stata proprio questa riflessione ad ispirare un gruppo di giovani bassomolisani, tra i quali c’è chi vi scrive, nel cammino verso la costituzione di un’associazione che si occupi di rilanciare la centralità del Molise nelle politiche di vicinato e cooperazione, stimolando le istituzioni locali a partecipare alla sfida macroregionale. E che, soprattutto, presenti progetti concreti per la diffusione di culture e best practice tra le due sponde del mare comune, un esempio su tutti il lancio di un Festival Adriatico Ionico, con spazi dedicati a documentaristi, scrittori, musicisti, pittori e associazioni culturali dei Paesi che vi si affacciano.
Sarà un modo per tornare ad affermare la centralità di una regione di cui si discute lo scioglimento, ma anche, vogliamo sperare, uno stimolo ai giovani affinché invertano i flussi migratori e, tornando in Molise, ci aiutino a riportare cultura e occupazione al centro delle strategie politiche nella terra in cui siamo nati.☺
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